MELLON COLLIE AND THE INFINITE SADNESS: THE SMASHING PUMPKINS

di Redazione The Freak

MELLON COLLIE AND THE INFINITE SADNESS: THE SMASHING PUMPKINS

di Redazione The Freak

MELLON COLLIE AND THE INFINITE SADNESS: THE SMASHING PUMPKINS

di Redazione The Freak

Gli Smashing Pumpkins si presentano alla terza prova ufficiale della loro, breve, carriera tirati a lucido e in formazione completa dopo un promettente, ma immaturo disco di esordio, Gish (1991) e un brillante secondo album, Siamese dream (1993), definito da alcuni critici un capolavoro, pesantemente costruito su muri di chitarre ipersature, alternate a dolci e tenere ballate acustiche. Si comincia a intravedere qua e là la personalità di Billy Corgan, cantante e chitarrista principale del gruppo, dotato di una timbrica vocale molto particolare, nasale e stridula, sottile e aspra, che tuttavia affascina per sensibilità e profondità, freschezza e irriverenza. Le composizioni della band sono quasi tutte firmate Corgan, mettendone in luce i tratti da protagonista, dominatore assoluto e accentratore, che tende ad oscurare gli altri, pur validi, componenti della band, che sono James Iha, seconda chitarra, D’ Arcy Wretzky, al basso e il batterista Jimmy Chamberlin.

Eppure in questo nuovo disco che vede la luce alla fine del 1995, non appare solo un seme, un embrione, ma un frutto bello, gustoso e compiuto: la personalità di Corgan esce fuori prepotentemente, definitivamente, nei suoni e nelle liriche, regalandoci un viaggio bellissimo e appassionante nell’ Universo rock. ‘Mellon collie’ è, dunque, un album rock and roll, ma che di questo universo ne esplora ogni pianeta, ogni stella, ogni angolo, ogni recesso, mettendosi a nudo, come un vero poeta del rock, svelando compiutamente le doti che si intravedevano nelle prime composizioni del gruppo e facendo brillare la propria stella di una luce pura e autentica.
Lo scorrere delle tracks dell’ album mette in evidenza la sua natura, di concept album, che rappresenta la giornata-tipo di un giovane uomo, scandita nei suoi diversi momenti: la prima parte si chiama “Dawn to dusk”, dall’ alba al tramonto, la seconda parte è intitolata “Twilight to starlight”, dal crepuscolo alla notte stellata. Le canzoni sono tutte caratterizzate da un senso di debordante teatralità e pretenziosità, ma sebbene non siano tutte riuscite creano un lavoro indimenticabile e per certi versi unico, che trova una collocazione importante nella storia del Rock.

Le liriche sono imperniate su un certo, profondo pessimismo giovanile, molto in voga negli anni 90′, ma Mellon Collie (parola che in inglese non esiste, essendo semanticamente molto simile a “melancholy”, malinconia) rappresenta un prodotto musicalmente più maturo e rifinito rispetto a tutti i dischi del movimento grunge che, grazie ai Nirvana e a decine di altre band sulla scia della band di Cobain, avevano spopolato nel rock alternativo nei primi anni 90’s. La malinconia e l’ “infinita tristezza” evocate dal titolo sono sentimenti di cui il disco è impregnato totalmente, a scanso di equivoci.. tuttavia Mellon Collie non suona come un album totalmente cupo o depresso, per la potenza, l’ efficacia evocativa e il tratto emozionale delle canzoni.
L’ apertura è affidata al giro di piano circolare della title-track, brano solo strumentale che scorre dolcemente, come una cantilena sognante.
A seguire troviamo “Tonight, Tonight” il cui maestoso inizio scandito da una sinfonia di archi è il preludio a un autentico inno sulla bellezza del vivere qui e adesso, in una dimensione romantica e sognante, ma sincera e profonda, come il timbro vocale di Corgan, che si ama o si odia, ma è indiscutibilmente genuino in questo bellissimo pezzo di rock-opera.
E di fronte a frasi come “Time is never time at all, you can never ever leave without leaving a piace of youth” o “believe, believe in me, believe, in the resolute urgency of now” non si possono non provare brividi autentici, reali, come quando sembra che per noi non ci sia altro che la notte, che ci inghiotte con le sue mille sfumature e ci impegna a vivere, vivere davvero l’ attimo, con un senso di urgenza e con la voglia di essere in un luogo indefinito dove rendere l’ esistenza un attimo eterno ed implacabile.
Dopo gli incanti della notte, arriva la furia di “Jellybelly” a spazzare via tutto, mettendo in chiaro quello che gli Smashing Pumpkins sono effettivamente, cioè una rock band.
E il “welcome to nowhere” urlato da Corgan suona come un grido di sfida e di battaglia, che ci fa sprofondare in questa terra di nessuno, dove si perdono le mappe, i confini e i riferimenti.
“Zero” irrompe con un riff di chitarra Sabbathiano, dirompente, la canzone è carica di energia e fra i muri di chitarre distorte lascia intravedere uno sfogo amaro e negativo, di un protagonista che non nutre alcuna stima di se stesso e rifiuta persino di specchiarsi nella propria immagine; sentimenti tipici di un adolescente e che ciascuno, forse, può dire di aver provato in quella fase della vita.
“Here is no why” è l’ omaggio di Corgan alla noia adolescenziale, la narrazione delle giornate ripetitive e solitarie di un ragazzo immaginario, che non riesce a intravedere un motivo nella propria esistenza. Musicalmente è un brano rock di buona fattura.
L’ immaginario protagonista delle liriche sembra dunque essere una persona comune, lacerata da ansie e incertezze, contraddizioni che non sembrano trovare una facile via d’ uscita.
La sesta traccia tuttavia, pur continuando sulla scia del leit motiv pessimistico, non lascia indifferenti, per l’ interpretazione Corganiana che sorretta da una band in perfetta forma, raggiunge livelli di intensità e pathos difficilmente emulabili: è “Bullet with butterfly wings” martellante e acidissimo brano rock and roll a tinte grunge, capace di raggiungere vette di lacerante dolore.Tra vuoti e pieni, silenzi e improvvise esplosioni chitarristiche, rullate di batteria precise e potenti e velenosi squarci di rabbia repressa e carica di effetto nella voce dell’ egocentrico leader. “Despite all my rage, i ‘m still just a rat in a cage” suona il ritornello, mentre il finale “what is lost can never be saved” è la conferma del nichilismo imperante; il brano avrà grande successo e diventerà un abituè nei concerti del gruppo.
“To forgive” rilassa decisamente gli animi, tra un senso di utilità (o inutilità?) del tempo che affiora e momenti di nostalgia dell’ infanzia, quasi una forma di riflessione sul presente e il passato. E’ un pezzo lento e cantato piano da Corgan, che mostra di riadattarsi facilmente anche al formato ballad.
“An ode to no one” riprende invece i Pumpkins incazzati con il mondo, unendo l’ irruenza del punk alla forza del metal, senza suonare affatto scontata.
Il verso “Destroy the mind, destroy the body, but you cannot destroy the heart” suona come un altro potente grido di battaglia per la generazione ribelle e disperata, di cui Corgan si erge a portavoce. Segue “Love” un originale brano sull’ amore, un synth-rock tra i più sperimentali del disco, sospeso tra minimali effetti chitarristici che lo tengono in un difficile e pretenzioso, ma riuscito equilibrio.
“Cupid de Locke” e “Galapogos” sono due dolci e splendide melodie dalle quali farsi cullare senza troppi pensieri, la prima soffice e sognante, la seconda caratterizzata da quell’ infinita e inspiegabile malinconia che marchia a fuoco il disco, come un timbro indelebile.
“Muzzle” e “Porcelina of the vast oceans” innalzano invece i Pumpkins su vette di hard-rock notevolissime, con un grande slancio di vitalità la prima, nella quale Corgan afferma tutta la sua fragilità di essere umano e mortale e il timore di essere dimenticato “prima che tutte le cose abbiano una fine”; la seconda svela delicati slanci prog, con diverse parti strumentali e momenti di pausa alternati a dirompenti attacchi di chitarra, basso e batteria, e i vocals psichedelici di Corgan a richiamare figure mitologiche, descrizioni immaginarie e oniriche.

La prima parte del disco, indubbiamente la più riuscita, si conclude con “Take me down” che viene affidata alla rassicurante voce di James Iha e suona come un’ intimista e profonda canzone d’ amore, rappresentando il ritorno ad una sorta di rassicurante normalità dopo la notevole carrellata di songs dai tratti variopinti e teatrali.
La seconda parte dell’ album “Twilight to starlight” appare come la meno riuscita, ma considerato che un lavoro da 28 canzoni non è un qualcosa di molto frequente, qualche passo falso si può, a parer mio, in qualche modo giustificare alla band di Chicago, assegnando all’ Opera più ambiziosa della loro produzione un voto comunque alto.
L’ inizio del lato secondo è affidato a “Where boys fear to thread” brano rock grintoso e ritmato costruito su un bel riff di chitarra elettrica, ma i Pumpkins danno forse il meglio di sé in “Bodies”, punk-rock veloce e spinto in modo forsennato da chitarra e batteria, con Corgan che irrompe col verso ‘Love is suicide’, a sottolineare con enfasi e sintesi l’ ambivalenza e il sapore dolce e amaro del sentimento amoroso.
“Thirty-tree” è una ballad raffinata ed elegante e “1979” un singolo che si iscrive nel peculiare filone pop-wave, dal grande successo di pubblico, cantato con dolcezza e trasporto emotivo, mentre i sette minuti di “X.Y.U.” sono un hard-rock rabbioso e chitarristico. Il picco lo si raggiunge con la mitica “Thru the eyes of Ruby” canzone inclassificabile in un genere preciso, ma splendida, con un crescendo strumentale e vocale superbo, e improvvisi cambi di ritmo, che suggellano il passaggio dal crepuscolo alla notte stellata.
“We only come out at night”, “Beautiful”, “Lily” e “By starlight” sono tranquille e lunari canzoni, che si inscrivono nel filone del pop melodico, dimostrando come i Pumpkins sapessero adattarsi, a livello compositivo e timbrico, anche al format pop più convenzionale, sempre arricchito da un pizzico di velata malinconia.
“Stumbleine” e “In the arms of sleep” sono canzoni lente e tristi, senza particolari spunti degni di nota, mentre “Tales of a Scorched earth” è un esperimento industrial che appare confuso e non riuscito.
“Farewell and goodnight” chiude in bellezza augurandoci una dolce buona notte e regalandoci attimi di pace, dopo la notevole cavalcata di oltre due ore di musica.

Gli Smashing Pumpkins, raggiunto quest’ acme creativo, si sarebbero poi mantenuti su livelli più che dignitosi nei secondi anni Novanta (Adore e Machina), per poi sciogliersi in formazione originale; lo scioglimento avrebbe dissolto del tutto anche l’ ispirazione di Billy Corgan, incapace di ripetersi nuovamente sui livelli degli anni d’ oro.

di Piero Corigliano, all rights reserved

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