Manzoni, la peste
e il Coronavirus

Pandemie a confronto:
La peste di Manzoni e il Covid

di Ludovica Tripodi

Manzoni, la peste
e il Coronavirus

Pandemie a confronto:
La peste di Manzoni e il Covid

di Ludovica Tripodi
promessi sposi e covid

Manzoni, la peste
e il Coronavirus

di Ludovica Tripodi

La frenesia di questi mesi e lo stato surreale che sta vivendo il nostro bel Paese mi hanno fatto pensare ad un progetto tanto ambizioso quanto – speriamo – utile per stimolare riflessioni non solo apocalittiche ma anche – ancora una volta speriamo – utili alla nostra parte razionale, che dovrebbe essere propria di tutti gli esseri pensanti.

Quei due capitoli de “I Promessi Sposi”, quei due capitoli noiosi, descrittivi, prolissi, ma splendidi, ricordati come il picco più alto della produzione letteraria del Manzoni, il XXXI e XXXII per la precisione, che ci raccontano di una Milano in preda alla peste, in balia di un morbo diffusosi in maniera esorbitante e mortale. Proprio di questi due capitoli voglio parlare e della divisione episodica manzoniana: la calata dei Lanzichenecchi a Milano, la peste a Milano, l’infuriare della malattia in città, la caccia agli untori, la processione dell’11 giugno 1630, il culmine dell’epidemia ed il bilancio delle vittime.

Questo tentativo di analisi comparativa non muove necessariamente nell’ottica di trovare analogie tra i due tipi di contagio ma, anzi, cerca di innescare nel lettore una riflessione a contrario, con la speranza di smorzare – non sminuire – spavento e agitazione.

Queste premesse mi portano a cominciare il mio tracotante “esperimento” citando, per l’appunto, le parole del Manzoni che definiscono la mission– termine quantomai moderno- del suo racconto ovvero “di far conoscere insieme, quanto si può in ristretto, e per quanto si può da noi, un tratto di storia patria più famoso che conosciuto”.

Più famoso che conosciuto, ecco la chiave.

A metà del XVII, a Milano l’epidemia di peste si propagò principalmente a causa dell’estrema povertà e privazione in cui il popolo si trovava dopo due anni di carestia e guerra, quella per la successione di Mantova, che vide la Spagna opposta alla Francia.

Il contagio fu portato in Lombardia dalla discesa dei Lanzichenecchi, tra i quali vi era il paziente zero, Pietro Antonio Lovato. Alessandro Tadino, membro del Tribunale della Sanità e autore del famoso Ragguaglio citato innumerevoli volte da Manzoni, comunicò al governatore milanese Don Gonzalo Fernandez de Cordoba il rischio incombente sulla città, chiedendo provvedimenti di prevenzione: il governatore rispose che bisognava confidare nella protagonista del romanzo manzoniano: la Provvidenza.

In tutto il territorio, teatro dell’avanzata dei Lanzichenecchi, furono riscontrati sporadici casi di contagio: il famoso medico Lodovico Settala, testimone della precedente epidemia di fine 500’, informò il Tribunale della Sanità che la peste era ormai presente nel lecchese e nel bergamasco e che era quindi necessario un cordone sanitario per impedire che si entrasse in città se provenienti dalle zone rosse appena citate.

Ma “le preoccupazioni della guerra erano più pressanti”: pochi giorni dopo fu celebrata una festa pubblica per la nascita del primogenito di Filippo IV di Spagna ed il carnevale cittadino, senza alcun timore di diffusione del morbo, a dimostrazione di un’incredibile negligenza delle autorità sanitarie e politiche milanesi nell’applicare misure di prevenzione per evitare la propagazione della peste che arrivò trionfalmente a Milano, terribile ed infernale.

Il Tribunale della Sanità ordinò la quarantena nel lazzaretto per tutti i malati e per le persone sospette e/o infette e la voce popolare inneggiava alle “dimissioni” delle autorità politiche e sanitarie.

Poi accaddero fatti inspiegabili. Un giorno di maggio alcuni testimoni credettero di vedere persone che ungevano con alcune e strane sostanze un asse di legno ed il giorno seguente in molti punti della città le mura e le porte imbrattate di una sostanza giallognola, uno scherzo di cattivo gusto che scatenò il panico ed una psicosi verso i cosiddetti untori, sui quali si riversò il furore popolare in cerca di capri espiatori.

Mi perdoneranno gli amanti dello scrittore milanese per questo riassunto inglorioso e quantomai riduttivo, ma conoscere la nostra letteratura che, in questo caso, è anche vettrice di storia, può aiutarci ad affrontare l’attualità del nostro tempo. E non perché la storia si sia ripetuta – nessun paragone minimamente fondato con la pestilenza che colpì il milanese nel XVII secolo – ma per aiutarci a capire che affrontare l’emergenza con panico è tipico dell’essere umano, cercare l’Edipo, il capo espiatorio, è tipico dell’essere umano, avere comportamenti inconsulti ed irrazionali è tipico dell’essere umano. Cerchiamo di bilanciare l’emergenza al nostro tempo, capendo che tutto ciò che sta accadendo serve a limitare una situazione potenzialmente dannosa, con razionalità e senza polemica, non cercando l’untore, ma tentando di rendere la realtà che stiamo vivendo non più “famosa” ma “conosciuta”.

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