Mafia: storia infinita? La risposta deve essere “NO”!

di Isabella Inguscio

Mafia: storia infinita? La risposta deve essere “NO”!

di Isabella Inguscio

Mafia: storia infinita? La risposta deve essere “NO”!

di Isabella Inguscio

Si è conclusa lo scorso venerdì la Summer School “Lazio senza Mafie”, un’esperienza formativa promossa dalla Regione Lazio, finalizzata a creare una fitta rete di conoscenze di una piaga che affligge il nostro Paese – pensate un po’- da prima ancora dell’Unità (dapprima limitatamente a zone geograficamente coincidenti con il Mezzogiorno, ma che oggi interessa indistintamente ogni parte della Nazione): la Mafia.

Attraverso le testimonianze ed il confronto con esponenti della Magistratura e delle Forze dell’Ordine, con docenti universitari e giornalisti, quotidianamente impegnati nello studio della criminalità organizzata nel suo continuo mutare e nella lotta contro la stessa, si è quindi cercato di comprendere quel fenomeno che, insieme alla pasta ed alla pizza, rappresenta nell’immaginario internazionale uno dei connotati caratterizzanti la fisionomia dell’Italia. 

Alla lunga sottovalutazione o, addirittura, negazione del fenomeno mafioso nel suo complesso, si contrappone oggi una maggiore consapevolezza della sua pericolosità, per quanto permangano difficoltà nel riconoscerne l’esistenza in alcune parti d’Italia, tra queste: il Lazio.

 La mafia che, come la definisce Isaia Sales, è il “potere della violenza che vive oltre gli uomini che negli anni lo esercitato”, fonda il suo successo plurisecolare su una serie di elementi peculiari: in primis, la sua capacità di saper “convivere” con le istituzioni. Fatti salvi gli anni delle grandi stragi, infatti, la Mafia realizza una “criminalità di relazione”. Nata sotto il dominio dei Borbone, prolificata nello Stato unitario, ha seguitato e seguita a esistere (sebbene con poteri difformi nel tempo) proprio grazie alla capacità di convivenze ed interazione con il potere costituito che, in origine, si serviva della sua capacità di gestione del territorio per mantenere e garantire l’ordine pubblico.

Ciò ha reso possibile il successo intramontabile delle mafie, forti anche del consenso popolare, che ne rappresenta altra componente fondamentale. Infatti, gli anni di omertà, generata dal timore reverenziale, hanno reso possibile un radicamento profondo della Mafia che porta alcuni studiosi come Sales ad affermare: “Quando fenomeni criminali come le mafie durano tanto a lungo, ciò vuol dire che esse non sono riconducibili a storia criminale ma fanno parte, a titolo pieno, della storia d’Italia”.

La Mafia, nelle sue varie declinazioni, è quindi un fenomeno arcaico che assume un ruolo utile rispetto agli interessi dei potenti. Gli ordinamenti pre-statuali, come la mafia, quindi non sono vincenti grazie alla violenza, ma grazie al modo in cui la violenza viene utilizzata in rapporto alle classi dirigenti.

La mafia è “violenza di relazione” che si rapporta con altri interessi e che partecipa del potere.

Affiancandosi a ciò la sottovalutazione del fenomeno mafioso da parte del governo centrale, restio ad avviare un’efficace azione repressiva, l’accordo fra politici e mafiosi in sede locale (in virtù del quale i primi si assicuravano il consenso elettorale delle popolazioni, mentre i secondi ottenevano in cambio la gestione della riscossione dei tributi), la possibilità di incidere sulle finanze dei comuni e sulle forze di polizia condizionandone l’attività investigativa, il ricorso alle cosche per sconfiggere il Brigantaggio, hanno contribuito a rendere possibile la penetrazione della mafia nelle istituzioni legali.

Nel tempo però anche la Mafia ha subito profondi mutamenti, “imborghesendosi” sempre più grazie alla commistione tra attività criminali e legali (frutto oggi di un investimento nel mercato di proventi illeciti) che ha ritardato a lungo la capacità di contrastare efficacemente il fenomeno. Ciò ha prestato il fianco alla possibilità di impiantare, in modo quasi indisturbato, “nuovi centri operativi” in ogni parte di Italia, in particolare quelle ove si decidono le sorti economico/finanziare del nostro Paese (si pensi a Roma e Milano).

Eppure nonostante questo sia ampiamente dimostrato e cristallizzato in una pluralità di pronunce che riconoscono al Centro ed al Nord Italia la presenza delle mafie tradizionali o di “nuove” mafie autoctone, la popolazione tende a considerare questa un problema ancora tanto lontano da sé, “non è «cosa nostra», la mafia è al sud. Qui il problema sono i trasporti, la spazzatura e tanto altro, ma non la Mafia”. Sembra così di essere catapultati indietro nel tempo, quando il negazionismo e l’indifferenza facevano da padrone.

Così non è. Occorre aprire gli occhi per estirpare un cancro sociale che accomuna oggi tutto il territorio, da Nord a sud. Punto di partenza fondamentale (nel quale credo fermamente e che non perdo occasione di ribadire) quindi è rappresentato dalla conoscenza: cultura ed informazione sono due armi potentissime, ed alla portata di tutti (se solo si volesse), per capire ciò che ci circonda ed avere il coraggio di prendere scelte consapevoli che aiutino a non vanificare i successi ottenuti nella lotta alla mafia dalla Magistratura e non solo.

È per questo che oggi “Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!” (Peppino Impastato).

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