I MACCHIAIOLI: LE COLLEZIONI SVELATE AL CHIOSTRO DEL BRAMANTE

di Maddalena Crovella

I MACCHIAIOLI: LE COLLEZIONI SVELATE AL CHIOSTRO DEL BRAMANTE

di Maddalena Crovella

I MACCHIAIOLI: LE COLLEZIONI SVELATE AL CHIOSTRO DEL BRAMANTE

di Maddalena Crovella

Walter Benjamin disse che lo sguardo del collezionista è come quello di un mago: ha la capacità di penetrare l’oggetto attraverso il tempo, fino a perdersi nelle sue lontananze. Quando a mostrarsi, però, è lo sguardo di nove tra i più grandi collezionisti dell’Ottocento, allora il risultato è strabiliante. Dal 16 marzo al 4 settembre al Chiostro del Bramante si potrà rivivere la grandezza della pittura italiana ottocentesca in una mostra di 110 opere che oltre a rivelarci l’unicità dei Macchiaioli, testimonia l’amore incondizionato per la bellezza, il gusto raffinato e la personalità singolare di alcuni grandi mecenati italiani.

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La macchia è la protagonista assoluta dell’esposizione. Non ha confini né regolarità, ma prende forma dagli ideali e dalle tensioni dell’animo che agitano gli artisti vissuti nella seconda metà dell’Ottocento. Per tale motivo la pittura dei Macchiaioli non è mai una sola tecnica, mai un solo stile. Il colore è l’unico modo per entrare in contatto con la realtà, restituita tramite un’impressione verista, che anticipa e in seguito affianca l’esperienza più fortunata dei contemporanei francesi. L’esposizione si apre con le opere collezionate da Cristiano Banti, che rappresentano una prima fase di sperimentazione e distacco dalla pittura accademica settecentesca. Tra i ritratti che accolgono i visitatori, a catturare l’attenzione è la grande tela di Gordigiani, Ritratto di Alaide Banti, in cui la fanciulla, amata dal pittore Boldini, siede avvolta da un abito azzurro con lo sguardo offuscato da un amore irrealizzabile. I soggetti privilegiati di tutto il movimento pittorico restano i paesaggi e i ritratti, a cambiare è la forma d’espressione, l’uso del colore e del tratto.

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Telemaco Signorini, Il ponte della pazienza (1856)

Dalle strade assolate di Abbati e le figure al tramonto sul Ponte della pazienza di Signorini, si passa alle opere racchiuse nella collezione di Diego Martelli, in cui gli esperimenti della macchia si riversano in una verifica di convincimenti estetici, nell’affermazione degli ideali di libertà che appartengono a una generazione prossima ai moti garibaldini. Nella collezione di Rinaldo Carniero, invece, gli artisti si rifugiano nella quiete della campagna, nei bagni di luce di una strada al mezzodì, nel silenzio del primo pomeriggio. Una tranquillità costantemente turbata da una presenza militare e una chiamata al dovere che trovano espressione nelle tele di Giovanni Fattori. L’artista, tra i più amati del movimento pittorico, nella cavalcata dei Cavalleggeri in vedetta o nell’Appello dopo la carica, si sofferma sulle esperienze dei soldati, quasi sempre a cavallo, ritraendo i momenti più significativi della vita militare.

Con le tele collezionate da Edoardo Bruno si apre il percorso dedicato alla seconda generazione di artisti, in cui la fuga dagli ideali borghesi di fine ‘800 è portata agli estremi. La macchia, che cattura e potenzia la luce, aggredisce i paesaggi con pennellate rapide e corpose, amplifica i moti interiori dei volti e s’impreziosisce di nuovi soggetti e tecniche di composizione. Le gramignaie al fiume di Niccolò Cannicci mostrano tutto il fascino della sua tavolozza argentata che si materializza in pennellate perlacee, azzurrine e brune. I flutti delle acque al tramonto, mossi dalle gramignaie, creano un paesaggio profondamente suggestivo che offre una delizia per lo sguardo e una riflessione sul tempo scandito dalla luce e dalla fatica del lavoro.

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Niccolò Cannicci, Le gramignaie al fiume (1896)

Altra tela di spicco è Cucitrici di camice rosse di Borrani, vera icona della pittura macchiaiola, che proiettandoci nell’intimità di un interno domestico fornisce un punto di vista diverso sui processi storici in atto. Il tono austero dei volti e il muto colloquio delle donne, suggeriscono la struggente attesa e la partecipazione attiva delle donne alla causa dei mariti. La sezione successiva è dedicata alle stanze di casa Sforni, mecenate fiorentino che ama collezionare tavolette di piccolo formato, accostandole spesso a kakemono giapponesi. Spiccano il Ritratto della moglie di Oscar Ghiglia e le opere mai viste del Fattori, tra cui Ritratto di Donna. Anche la collezione appartenuta a Mario Galli ci fa dono di un dipinto di Fattori mai esposto in precedenza, La ciociara, che immortala il volto di Amalia Nollemberg, ragazza molto piacente amata dal pittore. Proseguendo il percorso attraverso le prestigiose collezioni di Enrico Checcucci e Camillo Giussani, possiamo ammirare i capolavori di Sernesi, come Pasture in montagna e le opere dell’impressionismo italiano di Zandomeneghi e De Nittis. La macchia conosce una nuova funzione, il soggetto dei dipinti rimane ancorato al realismo di metà Ottocento ma i toni si fanno più cupi, l’aria fumosa e rarefatta, le pennellate più veloci.

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Telemaco Signorini, Ponte Vecchio a Firenze (1880)

Ultimo dipinto della mostra è l’opera che rese celebre il collezionista Mario Borgiotti: Ponte vecchio a Firenze di Telemaco Signorini. La tranche de vie del ponte fiorentino è senza dubbio una delle vedute urbane più affascinanti di tutta la pittura italiana. Il dipinto fatto di bruni e grigi, offre l’ultima intensa occasione di ammirare dal vero il passato. Il visitatore è catturato dall’immagine delle botteghe illuminate per metà dal sole, dai riflessi delle signore nelle vetrine. È l’ultima magia. Lo sguardo resta ancorato al dipinto e non esce del tutto dall’esperienza dei macchiaioli, ma si perde tra i passanti, i bambini impazienti, come quel mendicante in cerca di qualcosa, là tra la folla.

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