L’ultima bambina d’Europa

di Federica Piacentini

L’ultima bambina d’Europa

di Federica Piacentini

L’ultima bambina d’Europa

di Federica Piacentini

Francesco Aloe – L’ultima bambina d’Europa (AlterEgo Edizioni)

“Questa mia persona cadrà un giorno come questa lucerna, e sarà spento il lume della vita.” Così lo scultore Michelangelo Buonarroti commentò la propria morte a seguito di una visita inattesa di Giorgio Vasari. Si cade, scomposti come il Cristo della Pietà detta “Bandini”, sorretti dalle braccia di Nicodemo, il capo reclinato sulla spalla e poggiato alla fronte di Maria. I profili dell’uno e dell’altra perduti nella roccia grezza. Ci si adagia nell’amore di un padre e di una madre, quando restano.

L’ultima bambina d’Europa getta un sassolino nell’anima e solleva increspature morali. Edito dalla coraggiosa AlterEgo Edizioni, Francesco Aloe non risparmia neppure il titolo: l’ultima bambina d’Europa. Come se il moribondo continente, che in questa storia è lo specchio del nord-Africa dei nostri giorni, fosse stato travolto senza speranza di redenzione dalla sofferenza, dal terrore e dall’indifferenza e fosse rimasta a baluardo un flebile e vigorosa vita, piccina e muliebre. Quando ho ricevuto questo romanzo sapevo bene che sarebbe stato un viaggio intenso. Mi sono perduta in una storia semplice e potente, che stringe il cuore in una morsa. La scrittura pulita, misurata, accorta dell’autore, con i punti fermi ripetuti, come un monito a fermarsi, riflettere, immaginare, suggerisce di non bighellonare tra le pagine, perché quest’Europa distrutta e disastrata, violenta e dimenticata, è la stessa terra che centinaia e centinaia di migranti attraversano ogni giorno al di là della Sicilia, alcuni morendo tra le dune, altri tra le onde, nel “mare cannibale” che ha condotto la mia memoria alle teste mozzate dei Fantasmi di Portopalo.

Immaginiamo che il mondo si rovesci, mi ha detto Francesco. Immaginiamo di perdere agiatezza, sicurezze, serenità, di non avere acqua potabile, cibo, abiti puliti, farmaci, un’auto e con questa penuria di mezzi e forze percorrere l’intera penisola. Immaginiamo di vedere atrocità d’ogni tipo per le nostre strade, di rischiare stupri, rapine, assalti. A ogni passo la ragione ci chiederebbe se ha un senso andare avanti, se ha senso tentare di affrontare anche la crudeltà degli scafisti per raggiungere, in uno scenario apocalittico ribaltato, le coste libere, sicure e pulite della Libia. Immaginiamo di essere migranti e forse la nostra visione delle cose, in questi tempi spigolosi in cui la Francia ha invece rigettato ogni fascismo e razzismo, potrebbe capovolgersi. Questo piccolo testo, in cui ha sede la granitica ostinazione della vita, non racconta d’Africa: parla di noi, di cosa siamo diventati, di cosa rischiamo di diventare. I protagonisti, un uomo, una donna incinta e la loro bambina, attraversano le regioni italiane con il solo obiettivo di una vita migliore, che non è qui, tra le colline senesi e il sole magnifico della costiera amalfitana: è in Africa, dove i gabbiani virano ancora sugli scogli bassi del litorale. Queste tre figure senza nome, poiché portano il nome di ciascuno di noi, incontrano la paura e il dolore, “i sentimenti dominanti dei tempi nuovi”. I pochi uomini che restano li aggrediscono, tentano di ucciderli, li vendono per un posto su una barca, l’ennesima, che affonderà nel Mediterraneo.

Non c’è retorica nella prosa di Aloe, viceversa il lettore è investito da un’onda alta di speranza, commozione e fede. Come affidarsi a un Dio che permette ogni efferatezza? Un Dio che lascia morire come bestie, senza pietà? Che ha privato gli uomini di quella dote, detta empatia, più forte di qualsiasi udito per ascoltare il cuore di chi ci è accanto? È un mondo ingiusto e senza Dio, si pensa a un certo punto, in cui tutto è inghiottito dal caos e dal non-senso. Tra le pagine, per converso, pare che Dio agisca, che qui e là aiuti la sua creatura – una bambina, una forza femminile, da cui ogni sentimento gioioso e pacifico può nascere, rinascere e prosperare – a raggiungere la salvezza. Torna dunque il tema letterario della Provvidenza, che non ha più il volto angelico della Madre Santa o il dito puntato di un Dio dalla lunga barba: questa nuova spiritualità ha il volto provato, stanco e umano dell’amore paterno e materno. È una forma di sopravvivenza che passa attraverso la malattia, l’errore, l’ira, la morte interiore, la morte fisica, la resurrezione. Alla speranza, come unica proiezione futura della preghiera senza Verbo, si aggrappano la Donna, l’Uomo e la Bambina, che ricordano i protagonisti di Cecità: come nel capolavoro di Saramago, l’umanità ha perduto i suoi occhi fisici e morali. Non restano che quelli spirituali per chi riesce a elevarsi dagli istinti ferini del buio dell’anima e della ragione.

L'ultima bambina d'Europa

“Come fai tu a essere così sereno?” Chiede la Donna nel romanzo. L’Uomo risponde: “Non lo sono. Ormai nessuno lo è.” Siamo eroi in cerca di una serenità che ci hanno portato via bomba dopo bomba, in Europa, in Africa, in Medio Oriente. Il mondo è iniziato e finirà con una famiglia, con quel battito sacro che non può essere zittito. E la famiglia è una ed è stata chiamata “umanità”. Questo vuol ricordarci Francesco Aloe: non dimentichiamo che potremmo trovarci noi su una delle zattere disperate che collegano i due vasti continenti. Non dimentichiamo di essere grati e fortunati per quei piccoli lussi, come il vegetarianismo, che in altre condizioni sarebbero impensabili. Non dimentichiamo di condividere la fortuna di essere nati in una nazione antica e democratica facendoci carico dell’accoglienza. Dimentichiamo spesso che la vita altrove è merce di scambio e che i diritti dell’uomo sono violati in ogni istante. Dimentichiamo spesso che il mare grosso spaventa e non restituisce i suoi marinai, anche se coraggiosi. Questo romanzo dice: provate a immaginare insieme a me, proviamo insieme a cambiare la rotta di questi tempi. Affinché si salvi, l’umanità dovrà migrare nel cuore libero delle nuove generazioni. Scrive Aloe: “Cos’è successo al mondo?” ed il padre risponde a sua figlia: “Non lo so.”

Non sappiamo cosa sia successo in questi anni, dalla caduta delle Torri, ma sappiamo cosa sta accadendo oggi. Sappiamo che il flusso dei migranti non si arresterà e continuerà a rendere rosso il nostro mare. Sappiamo che le guerre generano rifugiati e che le crisi umanitarie sono la diretta conseguenza di orribili scelte politiche ed economiche internazionali. Sappiamo che molti preferirebbero starsene a casa propria, se non fosse stata distrutta, e che la Turchia incassa denaro da Bruxelles senza prendersi cura dei bambini siriani, i quali vengono sfruttati come manodopera a basso costo. E se fossero i nostri figli, i nostri nipoti? Se fossero i nostri, di bambini? Ciononostante, non abbiamo la forza di aprirci a queste esistenze, perché vogliamo custodire la quiete della nostra anima. Ecco perché le storie sono il solo mezzo per gettare sassi nella coscienza. Ecco per quale ragione questo breve gioiello di narrativa ambisce non soltanto a rivelare le terribili oscurità di un mondo alle porte della calda e assolata Sicilia, ma anche ad accompagnare ciascun lettore nel gigantesco faro dell’immedesimazione: se vivi il dramma, lo comprendi. Ogni dettaglio, in questa vicenda che dipinge un’epoca, ha il dovere di rendere verosimile ciò che altrove è reale. Ogni similitudine è un ulteriore strumento di comprensione, mai fine a se stesso ma indispensabile perché nessuna esperienza, la più atroce e la più bella, cada nel cesto dell’indifferenza. “Mi spiace”, dice l’Uomo alla Bambina. E in questa battuta il mio cuore si è fatto sabbia, come se volessi scusarmi anch’io verso quella porzione di mondo che stiamo gustando, un cucchiaio per volta, come un dessert a fine pasto, ubriachi e gonzi. Ed è a questo punto della storia che quello scricciolo diviene una forza, come in Ladri di Biciclette: il bambino segue il padre, si dispera per lui, lo consola. Resistiamo, come ai tempi del film capolavoro di Vittorio De Sica, ed è nella piccola e media editoria che s’annida il racconto impavido di questi anni.

Ho letto L’ultima bambina d’Europa con passione, aggiungendo alla forza narrativa di Francesco Aloe la mia nota attenzione alla continua sciagura dei migranti e dei rifugiati. Vi suggerisco di fare altrettanto. Questo romanzo è utile a coloro che non hanno mai lasciato il proprio paese e non sanno cosa significhi affrontare l’ignoto e custodire dolci memorie. È utile a coloro che non immaginano cosa possa significare sopravvivere ed essere privati di tutto ciò che invade le nostre fortunate e rassicuranti quotidianità. Questo romanzo è utile a coloro che credono di avere molte risposte: qui troverete molte domande che faranno vacillare le vostre torri di sapone. Questo romanzo vi racconterà cos’è l’amore e quale volto ha. Infine farà crescere in voi la convinzione che una storia è un seme: porterà i suoi frutti e nasceranno nuove speranze.

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