Lucio

di Vittoria Favaron

Lucio

di Vittoria Favaron

Lucio

di Vittoria Favaron

Era un Natale del 1993, e in Italia era successo di tutto. E io non lo sapevo perché ero troppo piccola, ingenua e inconsapevole per capire il mondo che ruotava intorno alla mia casa che per me era l’unico spazio manifesto nella mia piccola vita.

Gli amici dei miei, con i loro abiti anni 90, le spalline, le scarpe di vernice, le giocate a carte e le sigarette che si fumavano senza pensieri, anche se c’erano.

L’assenza di ogni social network e di ogni distrazione che non fosse la buccia di mandarini per la tombola, le carte del burraco o del poker, le chiacchiere confidenziali e lo stereo a cassette e 45 giri di mio fratello come oggetto indispensabile e di accompagnamento.

Le musicassette. Una vita fa. E poi Lucio. Perché era quella la musica, era quello il sottofondo che non diveniva più tale, quando una mano alzava il volume e tutti in attenti timpani cessavano distrazione e si mettevano in ascolto.

Attenti al lupo. Tutti in piedi. E tutti in procinto di ballare, di ridere, di mettersi in fila e con la noncuranza di passi che non cercano precisa esecuzione, iniziare a ballare, a cantare.

E tu osservi loro, sei piccola e minuta, e gli altri sembrano giganti, e assorbi la musica e le risate e quel suono ti piace, e ridi anche tu.

E quel brano è un altro ricordo e un altro modo per amare quell’infanzia che non stacchi dal cuore per la sua spensieratezza inconfondibile e potente, per quelle risa accese e quelle parole come quel 4 marzo 1943, quell’afflato di bologna e di malinconia, che tu iniziavi a comprendere, perché si può  essere candidamente malinconici anche a  5 anni quando assapori la bellezza e la riconosci, in ogni caso.

E poi c’è una veranda. E non hai più 5 anni. E hai bisogno di cullare la luna e passare la notte. Hai bisogno di una musica intima e vera. Hai bisogno di parole che non senti spesso. Hai bisogno di una ballata come Anna e Marco, di una filosofia come Disperato Erotico Stomp, di una verità come Piazza Grande, di una speranza come Futura, di un inno e un manifesto come L’ultima Luna, di un ricordo come Milano, di un canto poetico, Com’è profondo il mare, di un pianto come Felicità .

E hai bisogno di Lucio, che quando lo ascolti non riesci a vedere le cose con lo stesso afflato. Scopri nuove nostalgie, solitudini ed emozioni, e non ti senti più solo, più da parte.

Senti la provincia e l’urlo verso l’Italia, senti tutta la passione di un uomo piccolo e forte, di un arlecchino e di un maestro, di un cappotto infeltrito in giro per i portici bolognesi, di un sorriso sornione lanciato a Chicco De Gregori, e di immaginartelo affacciato verso il mare delle Tremiti a fumare, un po’ felice.

E senti che un altro pezzo dei tuoi giorni andarsene con lui e ti lascia un amaro fortissimo, come se fosse un parente, un amico, un confidente, una frazione di certa quotidianità .

Amarezza. E ancora nostalgia. E malinconia. E il sipario è calato, anche su di te, per l’ultima struggente volta.

Saluti, applausi, lacrime.

Ciao Lucio.

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