L’Orchestra di Losanna ospite all’Auditorium: Beethoven protagonista indiscusso

di Redazione The Freak

L’Orchestra di Losanna ospite all’Auditorium: Beethoven protagonista indiscusso

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L’Orchestra di Losanna ospite all’Auditorium: Beethoven protagonista indiscusso

di Redazione The Freak

Domenica 14 aprile 2019

E’ pomeriggio all’Auditorium Parco della Musica e come ogni pomeriggio domenicale che si rispetti, il fragore regna sovrano tra i suoi immensi spazi. Uno sciame di visitatori confluisce a pieno ritmo lungo la cavea centrale, prima di smistarsi in direzione dei lunghi corridoi interni che conducono alle tre Sale da concerto.

Lo stesso non può dirsi di me che, al contrario della maggioranza, continuo ad avanzare a passo lento verso la Biglietteria della Sala Santa Cecilia: la calma è direttamente proporzionale al mio anticipo.

E’ qui che l’omonima prestigiosa Accademia Nazionale tiene ogni anno la sua stagione concertistica e quest’oggi mi vede impaziente di ascoltare l’attesissimo concerto dell’Orchestre de Chambre de Lausanne.

L’orchestra di Losanna è stata fondata nel 1942 e da allora non ha smesso di collezionare importanti riconoscimenti, diventando oggi una delle orchestre da camera più richieste d’Europa. A partire dal 2015 il suo direttore è lo statunitense Joshua Weilerstein, classe 1987, figlio d’arte e bimbo prodigio.

Weilerstein è un giovane direttore di talento puro: ragione alquanto ovvia per chi, come lui, è posto alla direzione di importanti orchestre europee e statunitensi in una così evidente precocità. Dietro la camminata buffa e lo sguardo genuino, si nascondono il genio della sua creatività nonché il perfezionismo dei suoi studi. Lo spettatore, visibilmente incuriosito, attende di vederlo all’opera.

Anche per me è giunto il momento di sistemarmi in platea: fila 13, posto 17. La sala pullula di spettatori, una moltitudine di accenti e di lingue di diversa nazionalità risuona bisbigliando tra i 2800 posti a sedere. File di luci disegnano forme geometriche e tracciano costellazioni di led lungo la superficie della volta in ciliegio.

Sono passate da poco le 18:00. L’orchestra fa il suo ingresso in sala e converge fiera sul palco con i suoi quaranta elementi, muovendosi elegante tra il luccichio degli archi e lo sfarzo scintillante degli strumenti a fiato, mentre le luci si affievoliscono ed il silenzio presto invade l’atmosfera. Gli strumentisti prendono posto, li raggiunge prontamente anche il direttore.

Weilerstein avanza sicuro e scandisce il passo con una naturale musicalità. All’entusiasmo iniziale di presentazione segue presto una concentrazione assoluta.

L’esibizione ha inizio. L’orchestra accoglie il pubblico in grande stile, secondo quella che ormai si prefigura una prassi consolidata nelle esibizioni di Weilerstein: inserire brani di compositori contemporanei. Scelta questa che parrebbe giustificata dalla sua età anagrafica ma che è in grado altresì di sottolineare una spiccata sensibilità nel voler avvicinare alla musica classica un pubblico sempre più giovane.

La prima opera ad essere eseguita è Con Brio di Widmann, un’ouverture da concerto composta nel 2008 per aprire la Bayerische Rundfunk a Monaco. Il compositore tedesco sognava di costruire con la sua musica delle analogie con Beethoven e, per riuscire nel suo intento, scelse di utilizzare la stessa strumentazione delle Sinfonie. Il brano inizia con una sequenza saltellante di accordi nitidi e sonori, prevalgono “furia ed insistenza ritmica” e si evocano con naturalezza le fioriture, le ripetizioni ossessive e l’umorismo di Beethoven. L’esecuzione è di forte impatto per l’uditore che si mostra attonito e manifestamente rapito dal ritmo incalzante. L’effetto prodotto è destinato a durare all’incirca dodici minuti prima che le luci tornino ad invadere la sala e segnino il termine della prima esecuzione.

Ci si immerge presto nel nucleo dell’esibizione e, con l’inizio della seconda esecuzione in programma, prende subito avvio il Concerto in la maggiore K 488 di Mozart, il più universalmente noto ed eseguito del compositore ed uno tra i prediletti da Beethoven.

Ecco che fa il suo ingresso in sala il giovane pianista francese Lucas Debargue, ospite attesissimo dell’evento. Debargue percorre il palco in tutta la sua figura longilinea, la chioma folta e “messy” in perfetto stile bohémien e le dita affusolate delle sue mani chiare, luminose. Ha l’aria schiva, un po’ sovrappensiero, non sembra voler familiarizzare con il pubblico, piuttosto preferisce procedere in direzione del pianoforte senza guardarsi troppo attorno, come se fosse avvolto da un’aura di equilibrata e sognante solitudine.


Esibizione del pianista Lucas Debargue

Alle prime delicate note del pianoforte l’uditorio si carica di commozione e l’apparente freddezza iniziale del pianista lascia spazio soltanto alla sua pregiata espressività. L’eleganza regna sovrana tra le braccia di Debargue, i movimenti si fanno ora più convulsi ora più tenui, le palpebre si schiudono come pervase da visioni lontane. è un’esecuzione ricca di spunti intimamente poetici. L’organico rinuncia ai timbri più aspri e crea un colore di fondo più dolce e pastoso, insieme morbido ed evocativo. Il pianoforte si erge protagonista in questa composizione e si fonde con l’orchestra in un dialogo di profondo lirismo e di assoluta eleganza. Il pathos musicale è di indubbia bellezza. Il pubblico è in visibilio e si abbandona a strepiti di gradimento ed a lunghi applausi a fine esecuzione.

Tra la seconda e la terza esecuzione si inserisce un breve intervallo, quel tanto che basta per rifocillare la mente dello spettatore e fargli assaporare un ultimo grandioso ascolto.

L’ultima composizione chiuderà ed incornicerà l’intero concerto e non può che presentarsi come la sua vera punta di diamante. L’opera in esecuzione questa sera è la Quinta Sinfonia di Beethoven, così celebre che non necessita di presentazione alcuna. Tra le Sinfonie di Beethoven la Quinta si è imposta nella coscienza collettiva come la più paradigmatica, ovvero come quella che riassume ed esemplifica meglio i tratti della personalità dell’autore.

Quinta Sinfonia di Beethoven

Si narra che il giovane Ludwig, profondamente segnato dall’inquietudine per la sordità crescente, abbia composto i famosi “tre più uno” colpi iniziali rappresentando metaforicamente il suo “destino che bussa alla porta”.

L’orchestra interpreta perfettamente la valenza tragica del primo tempo e presto si dimena nel fitto reticolato di conflitti beethoveniani, preannunciati dall’improvvisa accensione degli ottoni e poi spenti dal tema tranquillo e portante dei violoncelli.

Dalla visione fatalistica iniziale si approda al Finale ed alla risoluzione di tutti i conflitti esposti, con una trionfale fanfara che annuncia una conversione ottimistica, come a voler sancire che il destino, seppur avverso, non riuscirà a dominare e domare l’autore. Il Finale, pertanto, non deve porsi in contrapposizione al primo tempo, quanto invece in complementarità ad esso.

Si conclude così il concerto dell’Orchestra di Losanna intitolato proprio alla Quinta Sinfonia.

Il percorso musicale pensato dall’Orchestra scandisce questo mio tardo pomeriggio, guidandolo verso la dialettica di Beethoven, verso i meandri inesplorati della coscienza umana, del suo essere entità finita e fallibile. Non per questo, secondo Beethoven, si nasce per vivere nella disperazione ma piuttosto per accettare di avere insieme gioia e dolore e si potrebbe finire col credere che “i migliori tra gli uomini raggiungano la gioia solo attraverso la sofferenza”.

Fu in quello sforzo ardito di comunicare la sua saggezza che Ludwig Van Beethoven varcò le soglie dell’immortalità.

di Enrichetta Glave,all rights reserved

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