L’ippogrifo

di Redazione The Freak

L’ippogrifo

di Redazione The Freak

L’ippogrifo

di Redazione The Freak

 

Cavolo, nemmeno due secondi fa quella lì sembrava l’Inghilterra. Ci ho messo mezz’ora a capire cosa mi ricordava ed ora non ha più forma o meglio, non riesco più a darle una forma. L’uomo a quattro braccia si è appena fatto ingoiare dall’incudine e l’ha fatta diventare una testa di lupo. E quel faccione cos’ha da ridere? Ecco, ha anche chiuso gli occhi e adesso è diventato un pallone da football. Accidenti, durano troppo poco; beh, in compenso ce ne sono parecchie. Prima che faccia buio riesco solo a vedere una iena cavalcata da un tizio con cappello e bastone. In treno certe volte non si riesce a fare altro che guardare le nuvole: troppo sonno per leggere, troppo poco per dormire, di studiare non se ne parla, la musica è sempre la stessa, il panorama è piatto. Tutti quelli che viaggiano hanno di questi trucchetti, che fanno loro dimenticare quanto sia squallido e triste aver imparato a memoria tute le fermate e dimenticare puntualmente il compleanno di un amico. Non ne parlano per non sentirsi ridicoli, ma tanto ce li hanno, ognuno ha il suo. Io, a volte, guardo le nuvole, che c’è di male? Quando si fa qualcosa di noioso come viaggiare, che impedisce di dormire, studiare ecc., si è capaci di perdere ore intere a pensare a cose di una semplicità  quasi primitiva, primordiale e, senza accorgersene, si è già  arrivati, bisogna riaccendere il cervello. E allora qualcuno è capace di inventare teorie, ragionamenti, peregrinazioni della mente in quel mondo che sta creando senza rendersene conto. Io, per esempio, guardando le nuvole e dando loro una forma, ho pensato che quelle sagome che siamo tanto convinti di aver inventato forse esistevano davvero, finché non abbiamo alzato gli occhi dalla terra al cielo, o dall’orizzonte a ciò che immediatamente lo sovrasta. Chissà, magari quelle nuvole avevano davvero la forma di un’astronave, di un cavallo alato, o di un drago che sputa fuoco; poi, appena le guardiamo, tentano di dissolversi, anche se non ci riescono del tutto. Si dissolvono quanto basta per farci star lì a cercare di capire cosa ci ricorda quella massa di vapore che sembra ovatta. È come se si offendessero, perché considerate l’ultima spiaggia di occhi che non avevano più nulla da guardare, di menti che non avevano più nulla a cui pensare. Forse se alzassimo davvero gli occhi con la convinzione sincera di vedere volti, oggetti o, perché no?, intere storie, le vedremmo davvero. Se tutto questo fosse vero, credo di capire come le nuvole si sentirebbero, perché secondo me accade la stessa cosa ad alcune persone: riescono ad essere se stesse in maniera pura ed assoluta solo finché non si sentono osservate e giudicate. In quel momento cercano di dissolversi, o comunque di nascondere la loro forma così com’è, netta e ben definita. E così mostrano solo un alone, lasciando agli altri la possibilità  di disegnare mentalmente un ippogrifo, uno squalo, un coniglio, o tante di queste cose insieme, e di sbagliare magari, per poi avere l’opportunità  di dimostrare qual è la forma che avevano prima di essere osservate. Adesso e scesa la sera, e mi viene da pensare che la stelle sono unite con delle linee finché non le guardiamo; così sembrano tanti puntini messi lì a caso, oppure tanti buchi in un involucro nero, perché il cielo, quello vero, è tutto di luce, e noi possiamo solo immaginarlo. Sì, è vero, sono solo fantasticherie di uno che si annoia in treno, ma forse le persone sono davvero come le nuvole e le stelle, e io credo sia meglio così: se le nuvole avessero una forma, se la notte non fosse buia e se le persone fossero come sembrano, cosa avremmo da scoprire?

Racconto di Alessandro Magliozzi. Su gentile concessione dell’autore.

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