L’Inganno o del chiarore e dell’oscurità

di Aretina Bellizzi

L’Inganno o del chiarore e dell’oscurità

di Aretina Bellizzi

L’Inganno o del chiarore e dell’oscurità

di Aretina Bellizzi

Ci sono solo colori tenui nella tavolozza che Sofia Coppola usa per dipingere le protagoniste de L’inganno. Una vasta gamma di chiari da subito contrasta con l’oscurità del bosco in cui è immersa la casa che abitano e con il buio terrore della guerra che si sente ma non si vede. È solo rumore a distanza e paura, una minaccia alla vita ritirata e tranquilla del seminario, guidato dalla signorina Marta (Nicole Kidman), mai intaccata da nulla. Mai, fino a quando, con il comandante John (Colin Farrell), tutto ciò che sembrava altro e lontano irrompe prepotentemente nell’esistenza delle ragazze ed entra in quella casa bianca e avulsa dal mondo. Lui, che si materializza come un alieno e viene accolto come un estraneo, finisce presto per diventare un pericolo. Oscuro e misterioso viene accolto con ambiguità e inquietudine in un’atmosfera umida e lattiginosa che sembra rappresentare il mondo femminile, il grembo materno che dà la vita ma può anche dare la morte. Quando cala la notte, queste giovani donne bruciano, insieme alle candele, di desiderio e gelosia. La guerra è entrata prepotentemente dentro la casa, si è insinuata tra di loro e le agita nell’intimo fino a trasformarle in Erinni.

La vendetta però è misurata, quasi sottotono, il turbamento e lo sconcerto vengono rapidamente nascosti sotto pizzi e merletti, sotto abiti sempre più chiari, dentro un lenzuolo bianco ricucito ad arte. Tutto rimane soffuso generando un’inquietudine ancor più subdola perché apparentemente inspiegabile. Rare sono le esplosioni dentro il film, tutto sembra controllato, i gesti ripetuti in modo quasi maniacale. Questa sensazione da eterno ritorno dell’identico è suggerita dal ripetersi di alcune inquadrature, dall’incrociarsi di alcuni sguardi. Si ottiene così un potente effetto di contrasto quando la rabbia si fa irrefrenabile e gli istinti diventano incontenibili, quando la guerra diventa manifesta e il nemico dichiarato.

La regia raffinata ed elegante della Coppola gioca con l’orizzonte d’attesa dello spettatore, frustrandolo a più riprese. Crea ripetutamente atmosfere cupe in cui la luce anche quando c’è, ed è forte, contribuisce stranamente all’oscurità (merito anche di una fotografia accurata). Quando giunge l’ora del crepuscolo si attende sempre che accada il peggio ma poi tutto si fa lieve, nascosto, umbratile. Tutto genera non paura, non stupore ma turbamento.

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