Lettera a Dj Fabo

di Leonardo Naccarelli

Lettera a Dj Fabo

di Leonardo Naccarelli

Lettera a Dj Fabo

di Leonardo Naccarelli

Caro Dj Fabo, 

sono giorni che cerco, invano, le parole per scrivere questa lettera. Leggo e rileggo la tua storia e penso solo “Mi dispiace”. 

Mi dispiace che la tua sofferenza sia divenuta oggetto di uno sterile e feroce dibattito politico. Mi dispiace che tu abbia dovuto vivere in un Paese che ha bisogno di una vittima per parlare di un problema, di una lacrima in favor di camera per accorgersi di un dramma. Mi dispiace, insomma, che non si sia mai, in questo Paese, abbastanza maturi per fare un rispettoso passo indietro di fronte al dolore altrui. 

Cosa si direbbe, in un Paese civile, di un uomo come te, che ha bramato la morte perché la vita non era più un’opzione? Che, se è stata una scelta consapevole, non si è nel diritto di giudicare. L’Italia non è, evidentemente, un Paese civile. Mi piacerebbe dire che tutto ciò non sia avvenuto in mio nome, che io non sia stato corresponsabile dell’indifferenza e della miopia nei tuoi confronti e di tutti quelli come te. 

Ma io, Not in my name, non posso dirlo. Questo perché io stesso ho eletto in Parlamento dei rappresentanti affinchè, proprio in mio nome, governassero questo Paese e dessero soluzioni ai problemi dei cittadini. Non so se per convenienza od incapacità, è innegabile che, in tema di suicidio assistito, non si è riusciti nemmeno ad arrivare alla soglia del dibattito parlamentare. Da un lato era prevedibile, data una classe politica in balia delle oscillazioni degli umori dell’elettorato, dato un tema divisivo nell’opinione pubblica, il risultato non può che essere la paralisi, l’ignavia.  

Eppure, signor Fabiano, questa non sarà una lettera di sole lamentele. Anche in Italia, ogni tanto, ci possono essere delle novità da raccontare.  

Te lo ricordi Marco Cappato? Per averti accompagnato in Svizzera, ormai due anni fa, è stato accusato di aiuto al suicidio. La settimana scorsa la Corte costituzionale si è espressa circa la legittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale, rubricato appunto “Istigazione o aiuto al suicidio”. Occorre ancora attendere per il deposito della sentenza ma, tramite un comunicato stampa, la Corte divulga il contenuto della decisione: non potrà essere punito chi agevola il proposito di suicidarsi di chi è affetto da una malattia irreversibile che gli cagiona sofferenza fisiche e/o psichiche, sempre che il proposito di cui sopra sia frutto di una scelta consapevole e volontaria. 

È una pronuncia di capitale importanza, eppure non ti immagino entusiasta. Cappato dice che ti stai imbarazzando per “il casino che hai combinato”. Per me invece prevale il senso di sorpresa: perché ci avete messo così tanto per affermare un principio tanto ovvio? Era un qualcosa di eccessivamente difficile? 

Il motivo è lo stesso per cui abbiamo dovuto attendere il 2017 per le unioni civili ed il 2018 per il testamento biologico; lo stesso per cui, in Italia, la legge 194 del 1970 è inapplicata per le obiezioni di coscienza: in tema di diritti civili esiste, in Italia, una zavorra che risponde al nome di bigottismo cattolico. Un bigottismo mosso da un’immensa ipocrisia di fondo: io non voglio che nessuno possa decidere circa la mia esistenza ma mi batterò affinché io possa decidere sulla tua.  

Il Cardinale Menichelli sostiene che il dolore va lenito e non usato come pretesto di morte. Ci mancherebbe altro, nessuno lo nega. Va, tuttavia, sottolineato che il dibattito sul fine vita si pone in uno stato successivo alla degenza del paziente. Discorrere di eutanasia ha un senso soltanto nel momento in cui il dolore non può essere alleviato, quando la morte rappresenta un’invocazione del corpo che, semplicemente, non ce la fa più. È come se uno dicesse: il divorzio è sbagliato perché i litigi vanno superati e non possono portare alla disgregazione della famiglia. Semplicemente non ha senso. 

Inoltre, la pronuncia costituzionale è stata definitia aberrante perché lo Stato abdica dal difendere la vita, ponendosi in un’ inaccettabile posizione di neutralità tra la morte e la vita. I diritti del malato sarebbero comunque tutelati dalla possibilità di rinunciare alle cure e di ricorrere alla sedazione profonda. Adesso però mi chiedo: in che modo le pratiche in questione proteggerebbero in maggior misura la vita del paziente? Tutte le pratiche in questione sono idonee a cagionare la morte del soggetto; cambia solo come e dopo quanto tempo tale evento avverrà.  

Scusa per la digressione ma era necessaria.

Caro Fabiano, devo essere sincero: io non credo che, nella pratica ospedaliera, vi saranno grandi rivoluzioni. A più voci si richiede l’introduzione del diritto all’ obiezione di coscienza che sarà ampliamente esercitato, specialmente negli ospedali religiosi. 

Ciò che resta, però, è la statuizione del principio e l’idea che, nella società italiana, qualcosa si stia muovendo. Si dice spesso che “se ami qualcuno, devi saper lasciarlo andare”. Caro Dj Fabo, dalla scorsa settimana l’Italia ti ama un po’ di più. 

Ovunque tu sia, stammi bene, 

Leonardo Naccarelli 

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