Tanto ti ho odiata, offesa nel cuore
per quelle speranze assopite,
per quelle vedute ristrette
di mare e di sabbia
ammutolite.
Tanto parlavi di sale e libeccio,
che bella e superba danzavi tra i ricci
ignara di quei richiami d’aiuto,
degli ululati ai riflessi di luna,
giĂą alla Torre, pronta a cadere.
Ed ora mi illumini ad ogni ritorno,
le urla bianche sono canti alla riva
gabbiani al muretto, e spicchi di sole
e venti di polline su gocce compagne,
e chicchi dorati su strade piĂş zitte.
Mi muovi e commuovi ai passi del giorno,
ai tormenti, silenti, al calo del Dio
che rosso papavero in volto si china
su un vetro di vele, ai piedi del monte.
Che forse mi amasti, ma troppo veloce,
adesso maturo come frutti di fico
e le tue saggezze conservo in conchiglie,
di perle e famiglia, di casa e coralli,
di storia e misteri, e popolo in festa.
Si affaccia il Paese alla tua mano tesa,
e abbracci piangendo
un cuore rinato.
di Bruna Piacentino, all rights reserved