Le famiglie di Cannes: Shoplifters, Capharnaüm, Se Rokh

di Alessandra Carrillo

Le famiglie di Cannes: Shoplifters, Capharnaüm, Se Rokh

di Alessandra Carrillo

Le famiglie di Cannes: Shoplifters, Capharnaüm, Se Rokh

di Alessandra Carrillo

Le famiglie di Cannes: Shoplifters, Capharnaüm, Se Rokh

I film che trionfano a Cannes arrivano anche a Roma

Strana concezione di famiglie a Cannes. Trionfa quella di Hirokazu Kore-eda, nel film giapponese Manbiki Kazoku (Shoplifters, che in Italiano sarà tradotto “Un Affare di Famiglia”): una famiglia strana nella composizione, in un film che è però proprio un analisi vera del senso di famiglia. Cosa è una famiglia? Quella che ci capita? Quella che scegliamo? Quella che forzatamente in un modo o nell’altro viviamo? Quale è quella che fa bene? Quale quella che fa male? Brucia di più una scottatura sul braccino di una bimba o che questa impari a rubare? Qual è l’importanza delle parole “papà”, “mamma”, “nonna”?

In una fotografia mai satura, forse nella timidezza di non sbocciare in colori invadenti, nel voler rimanere a raccontare le piccolezze della vita senza clamori, i cinque protagonisti si alternano nei loro momenti privati, dietro la porta di un bagno, o mentre si rattoppa un vestito, o al fuoco di vestiti bruciati dove si accende una lacrima, ed un’altra è versata sotto una gonna troppo corta, nel silenzio di una chat room, mentre fuori diluvia e dei noodles restano a nudo, nell’umido appiccicaticcio di una combinazione truffaldina che si trasforma in passione modesta.

Si sorride ai rituali dei bambini prima dei furti, agli sguardi di una nonna senza aspettative, alla tenerezza della voglia di essere genitori di chi non lo è davvero, alla dolcezza di una ragazza che in fondo vuole solo amare. E si resta a disagio nel volerli giudicare eticamente, e ci si lascia prendere dalle loro storie eteree, ma pure vere e ci si chiede cosa sia giusto: meglio morire soli o pagarsi un’assicurazione affettiva? Chi è che in verità non fa del male anche ai suoi cari?

Un film che lascia con tante domande e per questo vince la Palma d’Oro, che altrettanto si vociferava sarebbe potuta andare al film che invece ha vinto il Premio della Giuria: Capharnaüm della regista libanese Nadine Labaki.

Simile nell’indagare la famiglia, quella però del Libano più povero, in un cafarnao che letteralmente significa “accumulazione disordinata di oggetti” – di baracche, sporcizia e povertà estrema, la regista segue il piccolo Zain (uno straordinario Zain Al Rafeea che in quella realtà ci vive davvero) in una fuga di casa, lontano da quei genitori che vuole citare a giudizio per averlo messo al mondo.

In aula il suo avvocato è la stessa Labaki, ma la storia è soprattutto fuori, nelle strade di sofferenza e sopravvivenza, ed in quello sguardo dolce e severo di chi, a 12 anni, ha una vita consumata ed allo stesso tempo sente la responsabilità di prendersi cura prima di una sorella vera e poi di un fratellino trovato per caso.

C’è chi vi ha visto la furbizia di cercare la storia di povertà estrema con dei bambini, ma in tutta onestà, la realtà è quella e Labaki la racconta attraverso le immagini, la musica e le sequenze che seguono i ragazzini mentre si muovono alla periferia di un luna park che sa poco di gioco e piange latte: è un film dove alla fine senti il peso del mondo, fortissimo e di disperazione, ma riconosci il coraggio in uno sguardo ed un sorriso che significano vita.

Uno scontro con la famiglia vi è anche in Se Rokh (Three Faces) dell’iraniano Jafar Panahi che non ha potuto essere presente a Cannes proprio perché il suo Paese, l’Iran, gliel’ha impedito. Un film di divieti sociali e volti di donne che combattono il sistema del pregiudizio, attraverso la libertà dell’arte. Una giovane aspirante attrice che sembra si suicidi perché la sua famiglia non accetta la sua scelta, un’attrice riconosciuta in Iran (Behnaz Jafari) che accorre per salvarla dopo aver ricevuto un suo video messaggio, ed un’anziana donna che si intravede da lontano, danzatrice dell’animo e strega del paesino immerso tra spazi vuoti e selvatica aridità della natura. Lui, Jafar Panahi interpreta se stesso, in questa sfida sottile, in cui regala all’arte il potere di provare a cambiare.  

 

Vince il Premio per la Miglior Sceneggiatura, assieme a Lazzaro Felice, il film della nostra Alice Rohrwacher, di cui si è già parlato qui.

  1. Tutti i film citati fanno parte del programma “Da Cannes a Roma” che in questi giorni ripropone alcuni dei film visti in terra francese a Roma nei cinema Eden e Giulio Cesare: http://www.aneclazio.it/wp-content/uploads/2018/06/Programma_cannes_2018.pdf

di Alessandra Carrillo, all rights reserved

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