Dalla costa si trascorrono diversi giorni di viaggio prima di incontrare gli uomini nudi. Sono ormai una specie in via di estinzione e si fa di tutto per proteggere il loro habitat naturale. Quando li vedi passeggiare per strada scalzi con i piedi infossati nella terra e le mani impiastrate di colori, rimani bloccato nel passo; immobile su un pensiero vertiginoso.
Ti avvicini lentamente, senza che se ne accorga. Scatti una foto, e continui a fissarlo immobile pensando a quella palese ed immediata nudità. Inspiri lentamente, trattieni il fiato, e fai ancora un altro passo avanti, così vicino da sentirti voglioso di spogliarti. Poi, però, la mente dilata uno spazio dell’immaginazione; dilaga nel ricordo della Conquista, della colonizzazione e dei lunghi anni trascorsi ad insegnare la buona creanza, a indicare la giusta morale religiosa, e a punire chi, ingannato dal Demonio, continuava a perpetuare orrendi culti e a macchiare con tinte la pelle olivastra.
Dopo i primi anni le macchie si sono convertite in marchi fatti con fuoco e ferro abbrustolito. Abbiamo fatto portare da casa i migliori vestiti di seta, di lana, di bolle: decine di bolle su tutto il corpo. Abbiamo chiamato i migliori poeti, ingegneri, politici e li abbiamo vestiti con le nostre idee. Nonostante ciò continua questa nudità nei pochi che sono rimasti, che zampillano da una selva all’altra, e che dilatano di notte le orecchie per sentire meglio la lingua della foresta.
Questa nudità è imbarazzante perché è potente per gli occhi di chi si veste. La forza della scoperta. Non puoi mai essere certo se sia il segno della più infima qualità d’uomo o della libertà assoluta. Ci spaventa come simbolo dell’assenza di leggi, di fede, di armonia, ma è un nudo fuori dal mondo che, disprezzato in pubblico, si anela nelle segrete. È anche traccia di un’indole mansueta, di una innocenza infantile che, con un buon medico e pochi anni di spirito paternalistico, si corregge e raddrizza.
Bisogna spostarsi ancora un po’ più a destra, dietro un albero, per continuare a vedere quel raro spettacolo. Un nudo solo ma buono. Un bambino cresciuto troppo in fretta, senza alcuna capacità di socializzare. Si guarda intorno, alza gli occhi al cielo al passaggio frondoso di vento e uccelli; ed è là inerme, senza compiere nulla per se stesso e senza prendersi cura e proteggersi dalle intemperie. Sono selvaggi, cosa ci vuoi fare? Per di più nudi e semplici: troppo crudi di certo.
Quando si ritorna sulla strada illuminata, voltandosi più volte con lo sguardo attento all’angolo da cui si dipana quella oscura via, e si ripensa meravigliati a cosa si è appena visto ci si accorge che non si era soli, ma che per tutto il tempo, dall’altra sponda, due anziani cacicchi, seduti e con foglia di coca in bocca, hanno assistito alla scena. Sono ruminanti silenziosi. Hanno gli occhi spenti, ma sono vestiti con cura: con orologio al polso, e un crocifisso intorno al collo. Si spalleggiano pesanti, borbottano, accennano una risata borghese e continuano a scandagliare come maschere la via deserta dall’angolo d’ombra risparmiato dall’afa. Sono loro: quelli che abbiamo vestito; che abbiamo pettinato. Quelli che, ciononostante, si sentono denudati e che, dicono nella loro lingua, vorrebbero continuare ad andare in giro scapigliati.
di Edoardo Orlandi, all rights reserved