“Giudici”. Camilleri, Lucarelli e De Cataldo raccontano il mestiere di decidere

di Redazione The Freak

“Giudici”. Camilleri, Lucarelli e De Cataldo raccontano il mestiere di decidere

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“Giudici”. Camilleri, Lucarelli e De Cataldo raccontano il mestiere di decidere

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Il libro “Giudici”, nato dalle mani esperte dei giallisti Camilleri, Lucarelli e De Cataldo, vuole proporsi come una mera silloge di racconti. Ma non lo è.

E’ bello pensare che sia stato scritto senza spirito polemico , che basti un semplice scorcio della vita di questi uomini per chiarire che la prima cosa che un giudice impara è la terzietà .

Che quando un giudice sembra accanirsi contro qualcuno non è animato da simpatia o interesse altro, ma da quella fame di giustizia che non ha proprio nulla a che vedere con il potere.

C’è qualcuno che va oltre le intimidazioni e le calunnie, che agisce al disopra, che sa come le cose devono andare, che risponde quando la legge tace.

“Giudici” ci mostra cosa questi uomini sono per davvero, cos’erano ai tempi della mafia embrionale, come sono adesso. Come si gestiscono nel pericolo, come si comportano nella quotidianità. Quali sono le loro debolezze, e i motivi “ qualche volta eroici, qualche volta umani, troppo umani ” che li spingono avanti.

In questo libro i giudici sono restituiti al lettore nella loro essenza più vera, che ci viene a tratti da invidiare, a tratti da ammirare, a tratti persino da compatire.

È giudice un uomo che ignora imperterrito la criminalità che lo vuole abbattere finché questa non si riduce a un niente, come in Camilleri.

È giudice una “Bambina” che non ha paura di fidarsi dello Stato che rappresenta (Lucarelli).

È giudice l’Ottavio Mandati di De Cataldo, un eroe di tutti i giorni, che si sente sconfitto, da sveglio e nei sogni, da un sistema in cui il potere vale tutto, che si guarda allo specchio e vede un “perbenista un po’ coglione”, ma che il giorno dopo va in tribunale, come se nulla fosse.

Sfogliando le pagine di “Giudici”, si insinua sempre più pervasiva una sensazione.

Un luogo comune che prima era arma di difesa e calunnia negli ambienti della malavita sta prendendo piede nella diffusa opinione sociale: chi doveva ripristinare gli equilibri e difendere i perseguitati rischia, paradossalmente, di passare per sovversivo e persecutore.

Il mestiere di decidere secondo giustizia è il più gravoso, e diventa temerario in una società  pronta a contestare e puntare il dito, un beffardo tribunale dei giudicanti. Una società  cattiva. C’è da augurarsi che, come in questi racconti, i giudici continuino per la loro strada, che fingano che quest’aria intrisa di rabbia e supponenza non vi sia. E forse prima o poi sparirà.

 

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