Il risultato delle elezioni è chiaro: il centrosinistra ha stravinto, mentre il centrodestra deve fare i conti ora con una sonora sconfitta. La sfida più importante era senza dubbio quella di Roma, dove non c’è stata alcuna sorpresa: alle 15:01 di ieri infatti era già evidente a tutti che al Campidoglio sarebbe andato l’ex ministro Pd del governo Conte, Roberto Gualtieri, e non il rivale Enrico Michetti (qui le interviste di The Freak pre-elezioni a Gualtieri e Michetti).

nei festeggiamenti post voto
Ma perché è andata così? Cosa hanno sbagliato i due leader della destra, Salvini e Meloni, mentre qual è stata la mossa vincente di Letta & co.?
Ho provato a racchiudere tutto in 5 buoni motivi:
1. La scelta dei candidati
Non c’è dubbio che la scelta dei candidati sia stata determinante. Il centrosinistra ha puntato “sull’usato sicuro”, uomini e donne di partito noti al proprio elettorato. Mentre il centrodestra ha scelto di puntare sulla cosiddetta società civile. Ma per governare, per esempio, Roma serviva qualcuno che sapesse affrontare ogni giorno questioni complesse. E un signor Nessuno (non è un caso che uno degli slogan della campagna elettorale sia stato “Michetti chi?”) ha spaventato anche una parte degli elettori di destra. Al primo turno molti di loro hanno preferito Carlo Calenda e al ballottaggio sono rimasti a casa.
A Michetti (così come agli altri candidati moderati di altre città) sarebbe servito sicuramente più tempo per farsi conoscere ma, diciamo la verità, una campagna elettorale non si improvvisa dall’oggi al domani. Non basta essere un ottimo avvocato e un buon oratore radiofonico per buttarsi nella mischia. Ci voleva qualcuno in grado di affrontare le sollecitazioni e gli attacchi mediatici, inevitabili e scontati per una sfida così importante. In grado di trasmettere entusiasmo e soluzioni concrete. E qui andiamo al secondo punto.
2. L’inadeguatezza della classe dirigente
Al centrodestra non mancano i leader. Che piaccia o no, Salvini e Meloni sono due politici moderni, in grado di attrarre consenso. Ma sotto di loro, sembra esserci il vuoto. Sarà forse il limite del leaderismo (qualcosa di simile è avvenuto anche con Berlusconi), sarà forse l’incapacità di sapersi imporre da parte degli altri, di parlamentari e dirigenti di secondo piano, ma la classe dirigente del centrodestra sembra povera di idee e volti noti.
Il centrosinistra storicamente soffre e fatica a trovare leader stabili e duraturi, ma ha un gruppo dirigente riconoscibile. Così quando c’è da trovare un candidato, riesce più facilmente a individuare qualcuno che sappia identificarsi con il proprio elettorato. Un elettorato concentrato sempre più al centro e sempre meno in periferia. Ecco il terzo punto.
3. L’astensionismo delle periferie
L’astensionismo ha vinto ovunque, soprattutto però in periferia. E questo ha inevitabilmente favorito il centrosinistra. Da diverse elezioni ormai (vedi elezioni europee 2019) la destra si attesta nelle periferie, mentre la sinistra vince nelle Ztl. Mancando quel voto dunque – a Tor Bella Monaca, per dirne una, ha votato solo il 32% degli aventi diritto, undici punti in meno rispetto al II Municipio (quello dei Parioli) – è venuto meno anche una parte importante del bacino di Lega e Fdi. Che alla fine dei conti ha pesato. Così come hanno pesato le ultime vicende.

4. Le vicende delle ultime settimane
Prima il caso Morisi, poi l’inchiesta di Fan Page e infine l’assalto alla Cgil. Tre vicende che hanno inevitabilmente influito, perché hanno scoraggiato soprattutto gli elettori più moderati. Quelli che avrebbero votato il centrodestra a trazione sovranista “turandosi il naso”. E che invece probabilmente hanno preferito fare altro.
Al contrario queste vicende hanno ricordato agli elettori di sinistra quanto fosse importante questo voto.
5. La mobilitazione di piazza
La manifestazione antifascista di sabato scorso a piazza San Giovanni poi – “Una manifestazione di tutti”, secondo Maurizio Landini della Cgil dove però erano evidenti simboli e cori “di parte” – ha tolto qualsiasi dubbio all’elettorato duro e puro di sinistra che, anche sull’onda di un pericolo fascista più o meno strumentalizzato, ha risposto alla chiamata delle urne facendo il proprio dovere.