La Terza Repubblica italiana. Storia di un populismo

di Giovanni Buccheri

La Terza Repubblica italiana. Storia di un populismo

di Giovanni Buccheri

La Terza Repubblica italiana. Storia di un populismo

di Giovanni Buccheri

Mai nessun leader populista, nella storia recente era riuscito a ottenere così tanti voti. Oggi abbiamo una certezza, comincia una nuova storia, un nuovo scenario, una nuova epoca, inizia la terza Repubblica Italiana.
Cerchiamo di fare un passo indietro, scavando nell’intimo politico, per cercare di capire come la nostra Nazione ritorni ad un bipolarismo che vede contrapporsi due forze antisistema.
Rappresenta plasticamente la nascita di un nuovo sistema di partiti e di nuovi stili di comunicazione Giano, il dio bifronte, colui che sa vedere il futuro e il passato, il dio della porta, che può guardare all’interno e all’esterno. Giano è anche associato all’idea del movimento ciclico, di passaggio radicale da una condizione ad un’altra, ben raffigura, quindi, l’affermarsi di un profondo sentimento di antipolitica condotto da diversi attori politici nell’ambito della crisi della Prima repubblica.
Delegittimazione dei partiti e della classe politica, valorizzazione delle forme di democrazia diretta che pone il potere nella mani di un leader carismatico; idea di un popolo formato da gente comune poco impegnata nella vita politica e diffidente nei confronti dell’élite; attribuzione della responsabilità della crisi alla diffusione dell’immigrazione, all’aumento delle criminalità e un peggioramento radicale delle condizioni di vita della popolazione. Su questo si basano le proposte populiste.
La prima condizione attraverso cui prendono vita i partiti populisti è la diffusione di un profondo sentimento di antipolitica, ovvero di rifiuto netto delle istituzioni tradizionali, che nasce da sensazioni di espropriazione della sovranità popolare e di tradimento dell’idea del popolo-sovrano.
La crisi della legittimità politica porta alla formulazione di una denuncia violenta del sistema politico vigente, con il conseguente rifiuto del sistema dei partiti e l’originarsi di una dimensione antisistema e antipartito costitutiva del populismo. Alla base vi è la necessità di rifondare la democrazia dall’interno, di rimodellarla su misura delle esigenze del popolo mantenendo sempre e comunque salda l’idea che a legittimare qualsiasi movimento politico debba essere la sovranità popolare e non un semplice e passivo rispetto delle forme procedurali.
La visone liberale della democrazia privilegia la componente costituzionalista facendo prevalere sulla sovranità popolare la divisione e l’equilibrio dei poteri. Partendo da ciò, Margaret Canovan ha interpretato il populismo come “appello al “popolo” in rivolta contro la struttura consolidata del potere o contro le idee e i valori dominanti della società, volto a raddrizzare la bilancia del potere in modo tale che un governo autenticamente popolare possa continuare ad esistere”.
I movimenti populisti hanno il compito di ristabilire l’equilibrio tra le due tendenze democratiche: da una parte una democrazia forte, quella dei partigiani che tendono a vedere le istituzioni giuridiche come degli ostacoli da eliminare, che privilegia la sovranità assoluta del popolo, la partecipazione attiva e diretta dei cittadini al governo (democrazia redentrice); dall’altra gli scettici e i pragmatici che chiedono di scendere a compromessi, che il sistema democratico limiti e gestisca i conflitti attraverso una mediazione che escluda la violenza, si mostrano più preoccupati al mantenimento dell’ordine pubblico e della difesa e al consolidamento dello stato di diritto (democrazia pragmatica). Durante la crisi della Prima Repubblica si assiste ad un allargamento del bacino elettorale sensibile alla proposta politica populista, elettorato composto principalmente da membri dei ceti meno abbienti, quali operai, disoccupati, contadini, commercianti e artigiani, accomunati da sentimenti di totale sfiducia nei confronti delle istituzioni, degli attori politici, in generale del sistema istituzionale in vigore. A seguito del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, e delle numerose inchieste della magistratura, la delegittimazione dei partiti e del sistema governativo ha interessato anche quella fetta di elettorato che in tempi non sospetti aveva mantenuto un atteggiamento di consapevole distacco nei confronti delle istituzioni. Sfiducia nei partiti e negli attori politici per i ceti bassi e medio bassi, presa di coscienza delle classi più istruite della necessità di ridimensionare il potere politico a favore delle grandi imprese economiche e finanziarie provocano cambiamenti cognitivi e affettivi della rappresentazione della scena politica, terreno fertile per l’avanzamento dell’antipolitica populista.
I pilastri politici della XVIII Legislatura sono partiti reazionari, volti alla ribellione e al capovolgimento delle istituzioni, pertanto condizione necessaria dovrebbe essere la totale esclusione dalle istituzioni, dei partiti nel programma politico. In realtà è un movimento che nello stesso istante in cui propone di eliminare la funzionalità del partito, entra a pieno titolo all’interno delle istituzioni e di quella politica da cui, come da programma, si sarebbe dovuto allontanare. Ad un primo approccio il populismo si presenta come un “antisemitismo”, un “negativismo”. Tuttavia, confinarlo all’interno di questa accezione significherebbe ridurlo ad una visione di complotto, “attribuirgli in modo esclusivo il teorema delle forze occulte, nonché a denunciarne lo stile paranoide che sarebbe sostenuto da passioni basse o negative (come il risentimento)”. La visione anti-populista del populismo viene recuperata dalla riabilitazione storiografica del movimento americano verso la fine dell’Ottocento: il populismo non è un movimento antisemita di estrema destra, quanto un sistema democratico riformista e progressista, viene difeso come “reazione allo statalismo centralizzatore e all’onnipotenza della “nuova classe “ (l’espertocrazia) in nome del federalismo, della democrazia diretta legata all’autonomia locale del pluralismo culturale”. Il modello neo giacobino del Front National è l’immagine più appropriata del populismo come stato-nazionale di impronta bonapartista, elemento comune ad ogni forma è la critica delle élite. Da una parte il rifiuto netto del sistema vigente, dall’altra, l’ interesse a ricostituire un nuovo partito, a riscuotere consenso affidando la diffusione del messaggio ad un leader trascinatore delle masse: la proposta populista presume di staccarsi dalla politica finendo per ritrovarsi, invece, identificata all’interno di sistemi già esistenti in primis quello democratico.
Esempio del dualismo “dentro – fuori dalle istituzioni” sono Forza Italia, Lega Nord e il Movimento 5 stelle. Essi hanno saputo sfruttare al meglio le idee populiste e conquistarsi non solo un largo consenso elettorale, ma anche la possibilità concreta di legittimazione, diffusione e affermazione delle tematiche populiste.
La diffusione del populismo ha provocato una ridefinizione degli assetti politici tradizionali: la conflittualità politica veniva tradizionalmente ricondotta all’opposizione destra/sinistra, ad essa venivano associate tutte le controversie, qualsiasi tipo di dibattito di carattere socioeconomico e politico, veniva giudicato categorizzandolo in uno dei due poli (ad esempio il conflitto capitale/lavoro). Negli ultimi decenni si assiste ad un allargamento dell’asse politico per cui la competizione storica destra/sinistra si estende all’interno di un bacino ideologico più grande: vengono introdotti nuovi temi quali l’etnocentrismo o l’autoritarismo, spostando una grossa fetta di elettorato che, non identificandosi più in nessuna delle due fazioni tradizionali, interpreta le questioni attraverso le idee populiste, che rappresentano, pertanto, un possibile fronte di orientamento politico (si rimarca nuovamente il paradosso dentro-fuori dalle istituzioni).
Molti elettori lontani dalla politica si ritrovano rappresentati nel modello ideologico populista, così avvicinandosi all’universo istituzionale, ma con profondi sentimenti negativi nei confronti della classe politica. In Italia, il bacino di utenza sul quale il populismo può contare è molto più ampio che nel resto d’Europa dal momento che si sono contemporaneamente costituite le condizioni più favorevoli per un più adeguato sviluppo: l’ indebolimento delle capacità comunicative e di mediazione dei tradizionali movimenti di massa, la crescita della possibilità di affermazione di una leadership personale e infine l’ enorme influenza dei sistemi di comunicazione e di fruizione di massa sulle scelte e sugli orientamenti politici.
La crisi della Seconda repubblica ha fatto sì che si instaurasse nel cittadino quel desiderio di sentirsi rappresentato da membri della propria classe sociale. Il populista conosce il bisogno del cittadino, sa interpretarlo e soprattutto sa comunicare, sa tradurre la propria proposta nelle parole che la massa ha bisogno di ascoltare.
I giovani non hanno più fiducia nella politica perché hanno avuto in cambio dal politico di turno incertezze e precariato. Essi vedono la politica come una cosa che a loro non appartiene e che non va vissuta attivamente e in forma partecipativa.
Le promesse non mantenute, gli scandali, la corruzione e i giochi di potere sono le ragioni per le quali regna lo scetticismo tra le nuove generazioni, diventate l’oggetto escluso da una politica e una cultura formatesi in un mondo parallelo all’universo giovanile. Si può dire che la politica giovanile sia inesistente, salvo una limitata porzione di giovani che mostrano interesse verso la politica, che presentano maggiori probabilità di andare a votare alle elezioni nazionali, di essere iscritti a partiti e gruppi politici o di prender parte a manifestazioni (ma ciò sarebbe dovuto ad un ambiente non ostile).
Le nuove generazione nel campo politico sono create e costruite all’insegna della disaffezione, di apatia nei confronti della politica ed una delle cause è l’incertezza. L’identità si forma attraverso le risposte che ogni individuo riesce a dare all’incertezza, risposte che si costruiscono sia individualmente che socialmente, e vivendo in società dove le classi dirigenti non riescono ad essere sostegno e quindi a far trasformare le loro incertezze in certezze, i giovani non riescono ad essere fiduciosi. Si ha incertezza nel futuro, incertezza di una vita stabile, di un lavoro che soddisfi le proprie aspettative e così via. La conseguenza, o per meglio dire l’unica via di protesta di questo precariato esistenziale qual è se non la critica alla classe dirigente e/o la scarsa partecipazione alla vita politica ed elettorale?
I giovani sono l’amplificatore del risentimento politico della società italiana. Attraverso i social network va in scena la rappresentazione esatta del termine disaffezione. Tra i principali social network i giovani hanno libero accesso alla stesura breve e diretta di scritti che hanno il solo scopo di ridurre al nulla la politica o i suoi esponenti.
Tutto questo è terreno fertile per i populisti che fanno di queste tematiche i punti salienti delle loro campagne elettorali. Si possono immaginare partiti e i movimenti populisti come fonti di ancoraggio dei giovani per far rinascere e riscoprire il valore della partecipazione attiva alla politica?
Al grido del leader “Uno di voi”, i giovani riescono ad immaginare una speranza, un ipotetico passaggio dall’incertezza alla certezza. La strada da percorrere non è facile, ma questo non vuol dire che si debba gettare la spugna. Gli strumenti per offrire buone dosi di fiducia alle nuove generazioni ci sono, come il recupero del senso della collettività. Se si comprende l’importanza del proprio rapporto con gli altri e del proprio contributo all’interno della società, si può trovare ottimismo anche nell’approccio con il mondo della politica, considerandola uno strumento di aiuto alla società. I partiti e i movimenti populisti non sempre riescono a diventare ideologia delle nuove generazioni perché l’alto grado di disaffezione nei confronti della classe dirigente nella sua interezza non riesce a far scindere il bene dal male o il corrotto dall’incorrotto, ma è innegabile che i nuovi slogan populisti possono essere un’ancora per il riavvicinamento dei giovani all’interno della partecipazione attiva alla vita politica, senza distinzioni su basi etiche o culturali.
Fra meno di quindici giorni si insedia il nuovo parlamento che potrà contare oltre il 50% tra deputati e senatori che ha dato ampio respiro a temi come il disagio economico, l’immigrazione, salario minimo e il ribaltamento delle istituzioni. Tutto questo nasce grazie ad una politica che non è stata in grado di affrontare la grandi sfide del XXI secolo portando la nazione a una nuova era che ha come perno una forza antisistema. La terza Repubblica sta per iniziare ma rischia già di arrivare a capolinea, perché un parlamento fatto di solo opposizione non ha futuro, se non la distruzione della democrazia.

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