La tenda che amava la pelle di rosa
Dopo lunghi inverni, interminabili bore
d’acciaio e di ferro radici
d’impegni promessi, e noci battute
su tetti di ghisa e piombee lancette
il tempo scoccava ad ogni ritardo
le corse sui viali in pietra scoscesi,
scattanti mascelle di ruote e ingranaggi,
così e più compressa l’avara superbia
di audaci imprese, eroici traguardi:
la maschera in gesso di un’anima in fasce,
cucciola al latte caldo d’infanzia,
racconta la storia di quelle mattine.
Al raggio di luce di crema e vaniglia,
sorgeva la bella domenica
cotone e farine, cacao e silenzio
di versi impacciati tra gli sbadigli
di piani e progetti entro il tramonto,
di storie e commedie di beffe fraterne.
Quel guscio di miele e schiocchi di vetro
sull’uscio di caldi e umidi inizi
odori di incontri e di gelsomini,
di sedie in veranda in legno di quiete
le tenda che amava la pelle di rosa.
Quanto vorrei che il dolce remoto
lieviti al caldo e a baci in fronte
questo robotico, scevro presente
vuoto di tutto e pieno di niente.
di Bruna Piacentino, all rights reserved