La Sicilia secondo Camilleri

La Sicilia secondo Camilleri

La recensione di un opuscolo poco conosciuto nato dalla collaborazione del Maestro con Repubblica Palermo

di Piero Corigliano
di Redazione The Freak

La Sicilia secondo Camilleri

La Sicilia secondo Camilleri

La Sicilia secondo Camilleri

di Piero Corigliano
di Redazione The Freak

La Sicilia secondo Camilleri

La Sicilia secondo Camilleri

La recensione di un opuscolo poco conosciuto nato dalla collaborazione del Maestro con Repubblica Palermo

di Redazione The Freak
di Piero Corigliano

La Sicilia secondo Camilleri.

Capace di scrivere nel suo studiolo freneticamente e per molte ore di seguito, generoso come pochi altri “maestri” di bottega, saggio e competente sui dettagli delle complesse vicende umane raccontate, straordinariamente intuitivo sui singoli aspetti delle molteplici componenti della realtà: capacità che gli donava la forza di creare con la sua penna, trame e storie fulminanti e originali, che solleticavano sempre di più la curiosità dei suoi lettori.

Ecco è così che mi piace descrivere la personalità di Andrea Camilleri, scrittore dotato di straordinario ingegno ed umanità, che venivano trasposti frequentemente nei romanzi del mitico commissario Salvo Montalbano, ma che il maestro empedoclino riusciva a distillare anche nei suoi racconti, nei romanzi storici e nel suo lavoro di regista ed autore sia per il teatro che per il piccolo schermo.

Insomma, al di fuori degli scorci romanzeschi e degli intrecci polizieschi e umani tipici della fortunatissima serie televisiva ambientata nella magnifica (e immaginifica) Vigata, c’ è ancora un mondo da scoprire ed è una fortuna che il Maestro ce ne abbia lasciato una testimonianza.

Perché sono una sintesi del suo pensiero, della sua morale spesso scomoda e controcorrente e del tragico e del comico che si mischiano spesso, nelle vicende tipiche della popolazione Siciliana e non solo, anche fuori dal contesto delle indagini e degli splendidi scenari che hanno appassionato milioni di Italiani.

Una testimonianza del pensiero di Camilleri pre-Montalbano e fuori dal celebre scenario di Vigata ce la dà La Sicilia secondo Camilleri, un interessantissimo opuscolo, uscito con Repubblica appena pochi mesi fa e ancora reperibile on-line, per chi volesse leggerlo. Rappresentativo di una collaborazione dello scrittore con Repubblica Palermo risalente alla seconda metà degli anni 90’.

La sagacia del maestro si unisce mirabilmente alla competenza, derivante dalla sua variegata esperienza, e alla perspicace ironia, nel tratteggiare le caratteristiche delle persone e delle vicende della amatissima terra Siciliana e dell’ Italia intera.

Si parte con le importanti considerazioni sul fenomeno mafioso, combattuto efficacemente dalle forze dell’ ordine perché isolato e reso più sterile dai cittadini autoctoni, coraggiosi e capaci di un cambiamento rilevante, comportamentale nei confronti di Cosa Nostra, considerata non più un corpo estraneo all’ isola, ma una metastasi da rigettare ad ogni costo.

Vi è poi un focus sui suicidi per ragioni sentimentali, manifestazione di una incapacità più al maschile che al femminile nell’ accettare la fine delle vicende sentimentali, spesso amplificata dalle tendenze dei mezzi d’ informazione a trattare i sentimenti delle persone come talk-show a buon mercato per il pubblico; in un paragrafo lo scrittore sottolinea le metafore e i giri di parole utilizzati dai politici potenti per mistificare nei confronti della gente comune le loro meschinerie e “farfanterie” (non possono mancare, in questo caso, le incredibili similitudini con i drammatici fatti più recenti).

Interessanti le osservazioni sul Ponte sullo Stretto, ritenuto un’opera virtuosa ed efficiente per i posti di lavoro e il meccanismo virtuoso che sarebbe in grado di generare, unendo due regioni, costando zero per il contribuente italiano, diminuendo il deficit delle Ferrovie e avendo ormai superato le preoccupazioni derivanti dagli esami di fattibilità potenziale.

Curioso il paragrafo sulla valenza degli idiomi dialettali, vera e propria barriera contro l’omologazione linguistica europeizzante e autentico simbolo identitario delle popolazioni locali.

Molte sono le attenzioni che lo scrittore riserva alla sua terra, non sapendo ancora che di lì a pochi anni le vicende di cui sarebbe stato protagonista Montalbano avrebbero ottenuto un successo enorme, rendendo oggetto di ammirazione e finanche di idolatria i luoghi della Sicilia, dove si sarebbero svolte le riprese degli episodi della serie televisiva del noto commissario.

Sono quanto mai significative le pagine in cui si denuncia la connivenza fra lo Stato, come rappresentato perifericamente sul territorio siciliano, e la mafia nell’ epoca di poco posteriore all’ Unità d’ Italia: una collusione documentata e certificata, non solo al Sud ma anche al Nord, rispetto alla quale lo scrittore avverte sconcerto e smarrimento e della quale tuttavia occorre documentare i risvolti e i lati oscuri, che risalgono ai secoli scorsi.

Nel resto del libro-testimonianza Camilleri consiglia la visita di un Parco-museo, critica le lentezze ed inefficienze della giustizia italiana, una macchina burocratica che può essere messa in crisi da un granello di sabbia fuori posto, fatta di incredibili e illogici transiti di carte e fascicoli tra un Palazzo e l’ altro, fra una sede e l’ altra.

Offre una rivalutazione del fenomeno del “brigantaggio”, spesso oggetto di distorsioni storiche sui fatti relativi all’ Unità d’ Italia, spesso narranti in chiave plebiscitaria vicende in realtà svoltesi in maniera molto diversa; critica le doppiezze e le debolezze morali di chi per onore di propaganda spinge il popolo all’ omologazione verso tutto ciò che viene “imposto” dall’ alto e soffoca così la libertà di pensiero e di opinione.

Del resto tanto per i propagandisti, quanto per i creduloni “il gregge è rassicurante e la pecora nera è un’ eccezione” e la diversità può diventare spesso un’ espressione non di ricchezza e di confronto, ma di paura da parte dei deboli nei confronti delle differenze e dell’ altrui pensiero. Viene criticato il filosofo Manlio Sgalambro, “maestro cattivo” e non cattivo maestro per le sue idee incomprensibili e faziose sul fenomeno mafioso, ridotto a una banale astrazione da combattere con il semplice uso della logica.

Il “maestro” empedoclino in tal modo si lascia andare a considerazioni nient’ affatto scontate e regala riflessioni che sono espressione della sua ars critica. E che riletti a più di vent’anni di distanza, appaiono tanto personali quanto originali, non sempre rintracciabili nei libri di Montalbano, nei quali pure la narrazione lascia spazio ad incontri caratterizzati da grande umanità, dove la tensione narrativa si stempera per scendere nei dettagli più particolari e personali delle vicende.

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