La ragazza di Manchester

di Simone Bonfiglio – SimBo

La ragazza di Manchester

di Simone Bonfiglio – SimBo

La ragazza di Manchester

di Simone Bonfiglio – SimBo

Era l’estate del 1983 ed io avevo appena compiuto ventitré anni. Lavoravo per la seconda volta consecutiva in un hotel della riviera romagnola facendo ogni sera pianobar. Finito di cenare i clienti e gli abitanti del paesino si venivano a sedere al bar ed ascoltavano le canzoni che avevo in scaletta. Carola era una mia coetanea che veniva da Manchester e si era stabilita in Italia per cinque mesi a casa di una famiglia abbiente. Era venuta perché voleva affinare la sua conoscenza della lingua italiana per poterla poi insegnare, una volta completato il proprio percorso universitario.

Avevo l’abitudine di chiudere la mia ora di musica con una ballata romantica degli anni ’60, “Unchained melody”. Mi piaceva vedere le coppie di innamorati che lentamente si muovevano nel buio della sala, quei baci nascosti, avvicinando i volti, accennati e delicati. Nessuno teneva gli occhi aperti, era come se ognuno di loro si promettesse l’amore su quelle note senza farsi sentire. Carola era sempre seduta allo stesso posto, ogni tanto ci guardavamo ma non avevo ancora avuto l’occasione di poterle parlare. Non aveva i classici tratti mediterranei e avevo capito che fosse venuta da qualche parte del nord Europa.

Poi una delle tante sere venne a complimentarsi per il mio modo delicato di cantare e per la mia voce, a tratti graffiante. Parlava già un ottimo italiano, ci presentammo e trascorremmo il resto del tempo a parlare. Lei voleva imparare termini nuovi ed io avevo voglia di migliorare quel mio inglese maccheronico. Le piaceva la mia simpatia, quel mio modo di fare quasi da imbranato. Mi capitava sempre quando avevo davanti una ragazza che mi piaceva. In fondo anche io le piacevo e se le facevo un complimento arrossiva immediatamente. Eravamo attratti uno dell’altra e lo avevamo capito fin da subito.

Nei giorni a seguire iniziammo ad uscire assieme e mi raccontò che usciva da una relazione con un ragazzo più grande di lei. Avevano avuto alti e bassi, il finale era stato turbolento e per capire se valesse la pena continuare si era presa una pausa lontano, a migliaia di chilometri dalla casa in cui convivevano. Tentavo di rimanere un po’ distante perché sapevo che iniziare una storia in queste situazioni avrebbe portato solo guai. Il problema vero è che alcune scelte non dipendono dalle nostre volontà, dove c’è di mezzo il cuore si rimane inermi a subire le conseguenze dell’amore.

Successe tutto senza che me ne rendessi conto e lei non si tirò mai indietro, tutt’altro. Aveva trovato la tranquillità di cui aveva bisogno, la comprensione, la leggerezza di un ragazzo che aveva la sua stessa età e che voleva le sue stesse identiche cose. Gli amori dell’estate sono sempre stati i più pericolosi ed i più belli. Quel fuoco che brucia e ci brucia troppo intensamente. Il falò sulla spiaggia, una chitarra che suona per gli innamorati, fare l’amore con la pelle e brillare alla luce della luna che si riflette tra le increspature del mare.

Le avevo giurato che non appena avessi finito col lavoro sarei andato a trovarla, per una o due settimane. Era entusiasta e lo ero anche io vedendola felice. Godemmo a pieno di ogni giorno trascorso assieme, non volevo guardare il calendario che accorciava il tempo da vivere con Carola. Nel frattempo avevo anche imparato a parlare discretamente l’inglese e quando sbagliavo qualche termine scoppiavamo in una fragorosa risata e poi in un profondo silenzio che riempivamo di sguardi intensi e infiniti. Era la mia prima vera cotta, mi aveva travolto con il suo modo di fare e il suo modo di dimostrarmi affetto. La amavo.

Ed intanto era arrivato settembre e con esso l’ora di andare via per Carola, l’ora di staccarsi per la prima volta dopo quei mesi in cui avevamo condiviso tutto. Un volo la attendeva, l’autobus nella piazza del paese era in moto e la marmitta tossiva fumo nero. Si sedette all’ultimo posto in un angolino e mi salutò mentre dal corso centrale quel vecchio catorcio si allontanava in quella canicola che ancora attanagliava quel pomeriggio di quell’estate del 1983. Quella sera cantai la ballata per gli innamorati con le lacrime che mi solcavano il viso e con la voglia di raggiungerla al più presto a Manchester. Quelle poche ore da solo mi erano bastate per capire di tenerci veramente tanto, più di quanto potessi immaginare.

“Cos’è l’estate? L’estate è ombrelloni colorati sparsi sulla spiaggia, lettini e teli sulla sabbia. È musica che si diffonde nell’aria infuocata dal sole che stenta a tramontare. Serate che non vuoi andare a dormire e mattine in cui non ti vuoi alzare.  Una cotta per una ragazza o un ragazzo che poi non vedrai per anni. Ti maledirai ma lo rifaresti un’altra volta e poi un’altra volta ancora. L’estate è un temporale, lampi e tuoni che si propagano nell’atmosfera, l’odore forte della pioggia sulla terra riarsa. I libri sulla mensola che ti guardano e ti fanno pensare che hai finito solo l’altro giorno ma tra poco è l’ora di ricominciare. È ballare col tuo drink preferito in mano e con l’altra sfiorare il fianco di chi ti piace tanto. L’estate dura quanto basta per lasciarti quel nodo in gola, per dire che, mannaggia, te ne serviva giusto un altro po’. Per affermare che come tutte le cose belle, anch’essa dura troppo poco.”

Avevo finito anche per quella stagione il mio lavoro al pianobar e preparai le valigie. Non vedevo l’ora di essere da Carola, baciarla, stringerla. Non riuscivamo a sentirci da qualche settimana ma a quei tempi non esistevano tanti modi se non il telefono fisso o qualche lettera da inviarci. Volevo farle una sorpresa. Sapevo che abitava ancora nella casa che aveva condiviso in passato col suo ex. Sembrò un viaggio interminabile ma era solo l’ansia dell’attesa di rivederla il più presto possibile. Ad un taxi consegnai il bigliettino in cui c’era scritto l’indirizzo in cui portarmi. Dal marciapiede, la porta era distante cinque scalini. Suonai al campanello e attesi che arrivasse ad aprirmi. Sentii il rumore di passi avvicinarsi, si aprì la porta.

Si affacciò un uomo, dalla descrizione che lei mi aveva fatto qualche mese prima capii di chi si trattasse. Risposi con un semplice “Sorry”, gli voltai le spalle e me ne andai. Carola era tornata a vivere con il suo vecchio ragazzo. Andai in aeroporto, acquistai il primo biglietto disponibile e ritornai a casa. Non l’ho mai più sentita né vista ma ogni tanto quando torno a sentire “Unchained melody” mi torna in mente lei e quel bel periodo di trentasei anni fa e, nonostante abbia maledetto più volte quell’essermi lasciato andare con una sconosciuta, concludo la mia riflessione dicendomi che tornerei a farlo. Non c’è un motivo in particolare ma lo rifarei. E ancor’oggi spero che tu sia allegra e sorridente come tanto tempo fa.

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