La Posta del Coach
Seconda puntata

La Posta del Coach (2°)

La nuova rubrica di The Freak nella quale un mental coach
un allenatore mentale, Berardo Berardi, risponderà ai quesiti dei lettori

di Berardo Berardi
di Redazione The Freak

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La nuova rubrica di The Freak nella quale un mental coach
un allenatore mentale, Berardo Berardi, risponderà ai quesiti dei lettori

di Redazione The Freak
di Berardo Berardi

Benvenuti alla Posta del coach, l’angolo dove rispondiamo ai vostri quesiti su tematiche legate ai vostri obiettivi ed alle vostre situazioni complesse.

Io sono Berardo Berardi e sono, appunto, un mental coach. Un allenatore mentale. Il mio ruolo è quello di affiancare persone e aziende, aiutandole nell’impegnativo compito di focalizzare e raggiungere gli obiettivi, in qualsiasi ambito, professionale, aziendale, personale, sentimentale.

Faccio questo, attraverso un confronto nel quale, con le giuste domande, supporto chi si è rivolto a me, nel mettere in ordine, pensieri, ragionamenti, stati d’animo e ad utilizzarli nel modo migliore.

Oggi rispondiamo al quesito di Francesca la quale mi scrive quanto segue.

<<Caro Berardo, Ti pongo questa domanda. Qualche giorno fa, ho letto sulla bacheca di un importante counselor italiano, un suo post, in cui faceva un annuncio particolare. Il post recitava cosi:

“Sono tanti anni che porto avanti questo appuntamento settimanale con voi, ed è quindi con tanto dispiacere che rimando alla settimana prossima, la diretta del giovedì.

Chi mi conosce da un po’ sa quanto sia importante, per me, il valore della trasparenza. E la mia situazione familiare, legata alla salute di mia madre, mi porta preoccupazione e tensione.

Sento la necessità di dare spazio al mio bisogno di ascolto e di cura di me stesso, in questo momento critico.

Vi abbraccio e vi do appuntamento a giovedì 20 maggio, sempre alle 14.30. 

A presto”

Chissà se un vero professionista agisce così. Non è un giudizio, ma solo una domanda che mi sono posta.

E che ho deciso di rivolgere a Te. Che ne pensi?”>>

Cara Amica, grazie per il quesito, ricco di spunti. 

Per prima cosa, Ti dico che conosco il professionista di cui hai postato questo messaggio. Non lo nomino per motivi di privacy e, del resto, chi lo conosce saprà riconoscerlo dal post che stiamo riportando. 

Non entro nel merito della sua decisione ma, intanto mi espongo dicendo che, per Lui, che peraltro non credo mi conosca, nutro massima stima ed ammirazione. Mi capita di seguire i suoi video e prendo sempre grandi contributi, in un’ottica di una mia crescita personale. E, quindi, intanto, gli giunga la mia stima e la mia incondizionata solidarietà per il momento che sta vivendo.

E, nel risponderti, preciso che non sono nelle condizioni, come del resto dici Tu, di esprimere alcun giudizio. 

Quello che, invece, intendo fare è prendere spunto da alcuni suoi passaggi. “Un vero professionista si comporta così?” Immagino che la Tua domanda potrebbe essere completata così “oppure, in quanto professionista dovrebbe tenere fede agli impegni presi, indipendentemente dalle sue vicende personali?”

La domanda ne sottende un’altra: “qual è il comportamento corretto da tenere, nel rispetto di un valore? E da qui, secondo me, scaturiscono altre domande: “quale comportamento è professionale e quale non lo è?” “E, inoltre, chi dice cosa è professionale e cosa no?” “Chi lo stabilisce?”

Ti sarà capitato di constatare, osservando discussioni tra persone che conosci oppure in un talk in televisione che le persone difficilmente si astengono dal prendere posizione, sposando nettamente una o per l’altra tesi e, di conseguenza, esprimendo giudizi sui comportamenti tenuti da altri.

Un eventuale confronto su questo tema potrebbe svilupparsi in questo modo. Da una parte qualcuno che sostiene: “non si è comportato in maniera professionale, perché un vero professionista, qualunque sia la vicenda personale stia vivendo, quando deve fare il suo lavoro mette tutto da parte e si concentra solo su quello che deve fare”.

Dall’altra parte qualcuno potrebbe sostenere il contrario, dicendo: “si è comportato in maniera molto professionale, perché un vero professionista, sapendo di non poter essere lucido e al 100%, evita di fare un qualcosa tanto per fare, consapevole che difficilmente potrebbe dare il meglio”.

E’ solo un esempio, il dibattito potrebbe continuare con altre argomentazioni dall’una o dall’altra parte. 

Ma, chi prende posizione, parte da un presupposto di sapere, per certo, quali comportamenti possano essere reputati professionali e quali no. Ed io torno con la domanda: “chi stabilisce quali siano i comportamenti professionali?” 

In realtà, in questo tipo di discussioni, spesso le persone non tengono presente un aspetto che è tutt’altro che marginale: 

“che cosa sono i valori e come funzionano”. 

I valori, comunemente intesi, rappresentano ciò che, per Noi, è importante. Scegliamo, giorno per giorno, cosa fare e cosa non fare, in base ai nostri valori. Tanto è vero che sono anche definiti, bussola della vita.

L’amicizia, l’amore, la professionalità, la famiglia sono tutte espressioni linguistiche, con cui indichiamo alcuni, tra i valori più comuni. E, magari, nei contesti nei quali ci muoviamo, amici, famiglia, luogo di lavoro, riteniamo che tali valori siano, bene o male, condivisi dagli altri. Il che, in effetti, è presumibilmente vero. 

Quello che, però, trascuriamo è che un qualsiasi valore, nella sua sintesi linguistica, è solo un’etichetta su un barattolo: professionalità, amicizia, rispetto, amore, sono solo etichette linguistiche. 

Che vuol dire? Vuol dire che, per capire quali sono i reali valori che muovono noi stessi e le atre persone, sarebbe necessario dichiarare o appurare quali sono quelli che vengono chiamati criteri di soddisfazione del valore. 

Mi spiego meglio. Prendiamo una coppia di fidanzati, nata da poco. La ragazza dice al ragazzo: “Amore, per me la cosa più importante è il rispetto. 

Mi aspetto di essere rispettata da Te”. E Lui risponde: Ma certo, Amore mio, ci mancherebbe. Anche per me è la cosa più importante. Ed io Ti rispetterò in ogni circostanza”. 

Fantastico. Sembra la partenza di una grande storia. 

Diciamo che, da quello che si vede in giro, non sempre le cose procedono per il meglio. Ma, allora, visti i propositi di partenza. Che cosa non funziona? Non funziona, nel caso dell’esempio della coppia, il fatto che ognuno dei due, in partenza, non dichiara all’altro che cosa intende per rispetto e, cioè, quali sono i comportamenti che si attende dall’altro per sentirsi rispettata/o. 

Nello specifico, in un’eventuale dichiarazione di questo tipo, il ragazzo avrebbe potuto, per esempio, dire: “Stai tranquilla, io Ti rispetterò sempre. Per esempio, se faccio tardi, Ti avviso per tempo”. Questo potrebbe andare benissimo, se questa regola enunciata, fosse di soddisfazione del valore rispetto anche per Lei. 

Ma nell’ipotesi in cui la ragazza avesse quest’altra regola: “Se mi rispetti non devi fare tardi” ecco che l’iniziale esultanza, sarebbe vanificata, all’atto pratico, dalla scoperta che i criteri di soddisfazione di quel valore, nella concezione di ognuno dei due, sono diversi. 

Ecco perché dico che il valore, in quanto espressione linguistica è un’etichetta su un barattolo. Ognuno ha il suo barattolo, su cui c’è la stessa etichetta del barattolo che hanno gli altri. Ma il contenuto è diverso, da barattolo a barattolo.

Eppure, ogni giorno assistiamo a dibattiti su quali comportamenti, tenuti da altre persone, rispettino questo o quel valore:

“Quella persona, non è innamorata, perché un uomo innamorato accontenterebbe in ogni cosa la propria donna”. 

“Quella donna è egoista perché ha lasciato il marito ed i figli, solo perché non andavano d’accordo.” 

“Quel counselor, non è un professionista, perché un vero professionista, non manca mai ad un appuntamento”. 

Potrei continuare all’infinito con gli esempi.

Difficilmente, però, qualcuno si pone queste domande:

“Ma, sono consapevole che sto prendendo come parametro di misura i miei criteri di soddisfazione?”

“E sono consapevole che i miei criteri non sono universali, ma sono soltanto i miei e che, più che probabilmente, quelli di chiunque altro sono diversi dai miei?”

“Ancora, sono consapevole che, forse, un chiarimento preventivo e reciproco sui criteri di soddisfazione, tra me ed i miei interlocutori, renderebbe il dibattito più costruttivo?”

“Insomma, per concludere, sono consapevole che i miei criteri non sono universali, che non c’è alcun libro della vita, in cui sono scritti, ma che ognuno ha i suoi e giudica il mondo in base a quelli?”

Ecco, se facessimo questo salto di consapevolezza, a mio giudizio, i rapporti umani sarebbero più costruttivi.

Probabilmente smetteremmo di emettere così facilmente giudizi e ci porremmo più frequentemente nella posizione degli altri. 

Il tema è vasto e il contributo che ho potuto dare è solo un semplice spunto di riflessione. Però, a mio giudizio, può essere un bell’inizio. Amica mia, Ti ringrazio per il quesito.

La pratica di queste domande, stanne, certa, Ti porteranno lontano e miglioreranno grandemente la qualità della Tua vita.

Mi auguro di aver risposto in maniera soddisfacente, per Te. 

A tutti voi, amici, do appuntamento al prossima puntata, nella quale risponderemo ad un nuovo quesito, nell’ambito della “posta del coach” di “The Freak”.

Una risposta

  1. Bravissim. Chiaro e lineare. Mi hai smontato il mito del linguaggio dei fatti concludenti🤣🤣…ho capito che quei fatti cui io do il valore di essere concludenti…nella realtà lo sono solo per me!!!!!! Ho capito bene????

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