La poesia dell’incerto

di Stefano Labbia

La poesia dell’incerto

di Stefano Labbia

La poesia dell’incerto

di Stefano Labbia
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La poesia ha bisogno di essere letta, più che scritta. La poesia dipende da chi la legge. Più che da chi la scrive. È un flusso di emozioni alternato a battito, a vita, ad amore o a rabbia. Scuote le coscienze in ogni caso. È sempre vera, la poesia. Ha bisogno di noi tutti. Ha bisogno di qualcuno che creda in Lei. Dipende da noi, la poesia: dai nostri occhi, dalle nostre pupille che seguono riga dopo riga, verso dopo verso, punto dopo punto. Quanto dà e quanto potrebbe dare, la poesia. Quando ci coglie un dubbio, una pena, un’incertezza, basterebbe afferrare una raccolta.

In una raccolta, di un poeta, scelta a caso, c’è tutto, facilmente. C’è riso, c’è impeto, c’è sogno. C’è bacio, c’è petto che vibra. C’è amore. C’è vita. E tutto quello che nella vita accade. C’è tempesta, c’è sabbia, c’è roccia, c’è acqua. C’è pioggia che scroscia, e fermento, e maledizione, e preghiera. La poesia dona a noi certezze, punti cardine, fermi, da cui (ri)partire. Basta saperli trovare. Scovare. Sono lì, davanti a noi. Davanti ai nostri occhi. Siamo noi gli incerti, perché lei sa. Vuole solo essere abbracciata. E letta. E amata. Ed odiata. Perché la poesia, Lei… Lei accetta tutto da noi. Accetta di essere letta, bruciata, strappata, cancellata, violentata. Letta di fretta, letta lentamente, letta male, letta fugacemente, a fior di labbra. Gridata. Urlata. Stuprata nell’anima. Accolta. Amata. La poesia è tutto. Cresce e nasce in noi, ed arriva al lettore che la trangugia, la divora, la mastica e a volte poi la sputa malamente, con dolore, vergogna, sdegno. La poesia a volte è fobica. Teme. Ci teme. Teme l’oggetto del suo desiderio. Teme ciò che narra, ciò che può descrivere, ciò che conosce. Ciò di cui parla. E le nostre reazioni. È vera e viva, la poesia. Perché è fatta di noi. Di pagine, e carne e inchiostro. E mutevole ai nostri occhi, interpretabile in vari modi, perché, come diceva Terenzio, “Tante sono le persone e le opinioni. Ognuno ha il suo modo di vivere e pensare.”. E di interpretare, aggiungo io.

La poesia ci accetta. Non ci giudica, salvo rare eccezioni. La poesia non dice bugie. Non mente,(quasi) mai. E resiste. È lì. Resiste a noi, al corso degli eventi, alle guerre. Alle morti – più o meno – celebri. Ai Capi di Stato. Ai Faraoni. Ai dittatori. Agli Imperatori e alle Regine. Alle annessioni, alle scissioni, allo scisma, alle divisioni. La poesia è tenace. Ha denti ed ossa dure. La poesia non può essere uccisa. Mai. Lei… Lei vivrà per sempre. Per sempre dentro di noi. Nella nostra memoria. Su carta. E nel sangue. Nel sangue e nelle vene di chi vivrà. Perché ci sarà sempre un poeta, al mondo. Poeta che è Suo schiavo, amante, suddito. E molte altre cose. Il poeta vive per Lei. E deve farsi trovare pronto, ogni volta che Lei si farà trovare. Lo andrà a trovare. Lo sveglierà dal torpore sonnolento del “pane et circensem” dell’oggi. Il poeta vive per Lei. Vive di Lei. Non è forse vero che si ricorda una poesia ma non il poeta, spesso e volentieri? È raro che Lei faccia del male. E se lo fa… se capita… Lo fa per il nostro bene. Perché impariamo. Perché possiamo infine crescere. E vivere. Ed amare. Ed innamorarci. Tra noi. E di Lei.

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