La morale di “MafiaCapitale”

di Sabrina Cicala

La morale di “MafiaCapitale”

di Sabrina Cicala

La morale di “MafiaCapitale”

di Sabrina Cicala

 

È che ci vuole impegno per capire questi italiani che passano da “la mafia a Roma non esiste” a “lo sapevamo tutti” nel tempo di una notte di arresti. Serve uno sguardo più lontano del vittimismo da bar per comprendere la portata rivoluzionaria di indagini, che non sono la formalizzazione del mantra “tutto è mafia”. La conseguenza, si sa, sarebbe che nulla lo è. Mafiacapitale va letta all’interno di un numero: 416 bis. Il ritardo nella contestazione del reato di associazione di stampo mafioso è da imputare alla difficoltà incontrata dalla Procura nell’adattare una fattispecie creata ad hoc nel 1982 per le lupare siciliane ai legami capitolini senza snaturarne la sostanza. Uno Stato di diritto vuole che di diritto ci si serva, l’azione penale non deve esaudire i desideri di giustizialismo. È per questo che nelle parole del codice va ricercato il reato, non tra gli spazi bianchi delle sue righe. Il metodo mafioso, come effetto di intimidazione che deriva dal vincolo associativo, non si esaurisce nell’uso della minaccia esplicita o della forza, che nei luoghi d’origine ha consolidato il controllo del territorio.

A Roma il controllo è sociale. Si radica nei rapporti orizzontali che non lasciano segno, se non quello dei nomi di politici e impiegati pubblici a libro paga dell’organizzazione. La mafia qui si ramifica grazie alla capacità relazionale dei suoi protagonisti che ha portato alla creazione di un cartello nella gestione di appalti pubblici, servizi di assistenza e gestione dei centri di accoglienza dei migranti, attività di smaltimento dei rifiuti. L’accumulazione del potere mafioso ha trovato il suo humus nella reciprocità dei vantaggi, nella spartizione concordata degli affari che fa arricchire tutti quelli che mettono a disposizione le loro qualifiche e conoscenze.

Non è più solo mafia di importazione, ma è autoctona e pluriforme. La grandezza e la complessità della città non permette la riproduzione del modello tradizionale di struttura rigida e familiare in un determinato territorio: gli abitanti dei piani alti e puliti si pregiano di essere intoccabili perchè dialogano con chi di fatto muove le redini dell’economia e della politica romana. Il fulcro ontologico del 416 bis è la spendita dei rapporti, invisibile sistema corruttivo fatto di favori e favoritismi, tanto più pericoloso perché afferisce alle debolezze dell’uomo. Mafiacapitale è fatta di protagonisti, non di vittime. È una storia di volontà, non di costrizione.

è la teoria del mondo di mezzo compà. ….ci stanno… come si dice… i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo… e allora vuol dire che ci sta un mondo.. un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici come è possibile che quello…

l’idea è quella che il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra. . cioè.. hai capito?… allora le persone.. le persone di un certo tipo… di qualunque cosa… .si incontrano tutti là. . . tu stai lì…ma non per una questione di ceto… per una questione di merito, no? …allora nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno”

Le sinergie che derivano da questo sistema sono moltiplicatori di ricchezze e di potere che hanno immanente la mafiosità. La minaccia è implicita nell’alternativa all’appartenenza al sistema: chi non si fa coinvolgere è escluso da possibilità imprenditoriali, considerazioni sociali e politiche.

Per 87 volte i magistrati, negli atti, parlano di “mafia capitale”, perché si guardi il 416 bis senza i pregiudizi della storia. Il ritardo nella magistratura è dipeso dalla abitudinarietà della contestazione per come è nata e per come l’abbiamo conosciuta. Se è vero che questa contestazione è tardiva rispetto al manifestarsi del fenomeno, ci consoli il fatto che sia garantistica nell’aver voluto rispettare la fisionomia della fattispecie penale.

Sapevamo tutti, in fondo, che la mafia è la” monarchia” di Roma. Ma ci vuole un esame di coscienza per capire questi italiani che con il mondo di mezzo ci convivono e che troppo spesso condividono. Ci vuole più di una notte di arresti per scardinare la mafiosità come sistema culturale. È la morale di Mafiacapitale, forse siamo tutti coinvolti.

di Sabrina Cicala

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