La mia storia d’amore con Darou Salam e con l’Associazione Insieme comincia un pomeriggio di ottobre a Roma, al terzo piano di Via Parenzo, la sede della facoltà dove studio giurisprudenza da quattro anni.
Sara, la figlia di Ovidio e Grazia, medici illuminati, durante uno dei periodi più difficili dei miei 22 anni, è seduta accanto a me, proviamo a studiare insieme procedura civile, ma lei non riesce a ignorare quello che mi passa dentro.
Mi guarda negli occhi e mi parla di Darou Salam, mi conosce da qualche mese ma è come se mi conoscesse da una vita, probabilmente perché conosce i miei sogni: non quelli di gloria, di chi sogna dai tempi del liceo di cambiare questo Paese, ma quelli che avevo da bambino. Glieli ho raccontati una sera davanti a un bicchiere di vino, in una di quelle notti in cui ho avuto davvero paura di perderli, e di perdermi.
Mi prende quasi letteralmente per i capelli e mi promette di portarmi in Africa insieme a loro, mi chiede soltanto in cambio di non disperdere quei sogni ma soprattutto quella fantasia, perché a febbraio in Africa qualcuno ne avrebbe avuto bisogno: sono più di 100 bambini, hanno gli occhi di chi ti sta aspettando.
Così l’11 di febbraio salgo insieme alle mie due Sare del cuore, a Giulia, Grazia e Marilisa, a Ovidio, Giampietro e Graziano, a bordo del volo Milano-Dakar alla volta di quello che Celine chiamerebbe un “viaggio al termine della notte”.
La nostra squadra ha già la forma di una famiglia: somigliamo tutti, chi più chi meno, ai protagonisti di Mediterraneo, il film di Gabriele Salvatores, Premio Oscar nel ‘92, che ho amato fin da bambino e che mi fa sentire fiero di essere italiano. Portiamo dentro le nostre valigie il cuore grande dei bresciani e dentro di noi il coraggio, l’altruismo e la fantasia che ci rende inconfondibilmente italiani.
Arriviamo a Dakar, Assjia ci accoglie con un sorriso che si distende dentro di me con la promessa di restarci per sempre. Musatapha ci apre le porte del suo van, ed è come salire su una macchina del tempo: i villaggi che attraversiamo mi riportano dentro quei sogni che facevo da bambino; uomini, case, strade, alberi: sembra tutto inventato da un Dio capriccioso che dopo aver creato infiniti mondi si è divertito a mescolarli insieme.
“Scende ruzzolando sui tetti di lamiera, indugiando sulla scritta ‘bevi Coca-Cola’, scende dai presepi vivi appena giunge sera, quando musica e miseria
diventan cosa sola”: una vecchia canzone di Battisti mi presenta la sera. Verrà la notte, poi l’alba e saremo già a Darou Salam.
La mia storia d’amore con Darou Salam comincia in quel cortile, in mezzo a distese di sabbia infinite e infiniti boschi di braccia tese. Sono “i nostri bambini”, così me li presenta Graziano, che ha negli occhi la dolcezza di quando faceva il pasticciere.
“La gioia della vita, la vita dentro agli occhi dei bambini denutriti, allegramente malvestiti, che nessun detersivo potente può aver veramente sbiaditi”
Ancora Battisti che suona nella mia testa, mentre le nostre braccia sono già all’opera: il trio Dario-Piero-Graziano è già a lavoro per imbiancare le pareti di Darou Salam, affiatatissimo come il tridente Maradona-Giordano-Careca. Nessuno di noi svelerà mai chi dei tre fosse Maradona, ma ho avuto come l’impressione che l’uno lo fosse per l’altro. Ovidio e Grazia cominciano a visitare i bambini in una stanza che, d’improvviso, si trasforma in un ambulatorio da campo. Giulia e Marilisa mettono su un’organizzazione che neppure in Italia si vedeva da tempo: sono dappertutto, dove passano loro funziona tutto. Le due Sare poi, non conoscono la fatica e rimarresti ad ammirarle per ore, per quanto sono buffe e per quanto gli vuoi bene.
Fatu è la piccola del villaggio, il suo sorriso disseta e i suoi occhi portano il sole dappertutto. Bekai è forse il più grande, sembra Atlante che regge il villaggio sulle sue spalle: resto ammaliato dalla sua leadership silenziosa, starei fermo a osservarlo per ore. Baye è il fratello che tutti vorremmo avere, è cresciuto a Darou Salam ma non ha mai lasciato il suo paese perché sa che nessuno lì può fare a meno di lui, compresi noi.
Il cortile è un biliardo di bambini che conosco a memoria. Giocano a palla senza pallone, a basket senza canestro, a tutto senza niente. Soltanto con la fantasia. Quando arrivano i palloni, le reti, i canestri, la meraviglia travolge il villaggio, investe ognuno di noi. Sovrasta la fantasia. Il biliardo diventa un flipper di bambini che giocano con tutto. Se chiudo gli occhi ancora le sento: tutte le voci del verbo vivere.
Passano le nuvole e i pomeriggi sul villaggio, i muri sono quasi tutti dipinti di bianco, ma Piero aspetta ancora il suo “pirlo”. Graziano sta vivendo al mio fianco una seconda giovinezza: ne conosce una più del diavolo ma in realtà è un angelo. Sara B. passeggia con Baye e Sara T. è ormai per tutti la Luciana. Marilisa ha un cuore immenso: lo sento battere da lontano e mi emoziono, Giulia mi mostra le foto che ha scattato a Buba, qualunque cosa farà nella vita secondo me sarà bravissima. Ovidio e Grazia hanno appena finito di visitare l’ultimo bambino del villaggio, sono i medici che vorresti si prendessero cura dei tuoi figli, perché mettono il loro amore sopra ogni cosa che fanno.
Tramonta il sole nei tuoi occhi Fatu, finisce il nostro viaggio.
E nel mio cuore resta il cortile di Darou Salam, e ci sei sempre tu che corri: signora libertà, signorina fantasia…
di Dario Artale, all rights reserved