La Legge di Stramaccioni

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Articolo di Nicolò Giaccaglia

Non voleva dirlo a nessuno, per scaramanzia. Sia subito dopo la conquista della Next Generation Series: la Champions League dei giovani che diventerà presto una competizione ufficiale dell’Uefa sia il giorno seguente (ieri ndr) presso gli studi di Skysport 24 aveva ribadito che “quello che mi ha detto il Presidente me lo tengo per me”. Evidentemente Moratti non si era limitato alle congratulazioni di rito.

Andrea Stramaccioni, laureato in giurisprudenza, si siede sulla panchina dei “grandi”, terzo allenatore della stagione 2011/2012 dopo Gasperini e Ranieri, per le ultime nove partite di un campionato cominciato, proseguito e finito malissimo.

Il più giovane tra tutti i colleghi (tre anni in meno del suo stesso capitano) che prende le redini della rosa con l’età media più alta, paradosso di una squadra che non sembra avere mezze misure, o tutto o niente.

Romano di nascita e con un passato di medio livello (primavera del Bologna), Stramaccioni, causa un grave infortunio, intraprende precocemente i primi passi della carriera di allenatore nelle giovanili della Romulea dove ottiene ottimi risultati contro squadre ben più attrezzate. Da lì a Trigoria il passo è breve.

Bruno Conti al quale non passa inosservato il minimo afflato calcistico che la capitale possa offrire gli regala la panchina degli Esordienti della Roma. Da quel momento è una scalata continua. In pochi mesi salta quattro categorie fino ai Giovanissimi Nazionali che porta alla vittoria del tricolore di categoria nel 2006, successo bissato nel 2010 ma, questa volta, con gli Allievi Nazionali (con cui vince anche uno dei più importanti tornei di categoria, l’Arco di Trento).

La sua storia con i giallorossi termina l’estate scorsa poiché non ottiene la panchina più ambita, quella della Primavera, da anni feudo incontrastato di papà De Rossi.

Roberto Samaden, responsabile tecnico del settore giovanile neroazzurro, non se lo fa ripetere mezza volta e lo contatta offrendogli la panchina della Primavera interista fresca orfana di un altro ottimo allenatore (quel Pea che sta portando il Sassuolo in serie A), vincendo la concorrenza di Arrigo Sacchi che lo voleva alla guida dell’Under 17 italiana.

Il resto è storia recentissima e ci presenta un tecnico emergente capace di leggere come pochi le partite, che predilige il 4-2-3-1 di mourinhana memoria, ma che nondimeno, sa adattarsi agli interpreti di cui dispone. Una persona pacata, rispettosa, ai limiti dell’aziendalista (altra frase celebre “se Moratti chiama io rispondo sempre”) ma che, a ben vedere, sa farsi seguire dai propri giocatori come solo il vate di Setubal sapeva fare.

Onestamente Stramaccioni non è la soluzione ai problemi dell’Inter ed è chiaro che sia stato scelto nell’ottica di valorizzare quei giovani che già fanno parte della rosa della prima squadra (Obi, Faraoni, Juan Jesus, Poli) e di introdurre con cautela i migliori prospetti che la Primavera offre (Bessa, Duncan, Crisetig). Una decisione vecchio stile Moratti, d’istinto, sulla spinta emotiva di una sconfitta bruciante a Torino e di una splendida vittoria a Londra. Una scommessa rischiosa sopratutto per il tecnico che rischia di bruciarsi la carriera in quel tritacarne sportivo e mediatico che solo l’Inter sa essere.

Se deve essere rifondazione che almeno parta dai giovani avrà pensato Moratti. Non per niente chi ha intrapreso questa via oggi si gode la più forte squadra nella storia del calcio, composta per più della metà da giovani provienenti dalla cantera e con un tecnico che a 41 anni vanta in bacheca qualcosa come 13 trofei. Moratti si accontenterebbe della metà. Anche i tifosi.

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