La crepa nel cuore

di Redazione The Freak

La crepa nel cuore

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La crepa nel cuore

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“Ho dormito male stanotte, sai Jean” – disse Martin stirandosi il viso con le mani mentre, con gli occhi seri, si scrutava nello specchio del piccolo corridoio.

“Ho dormito male stanotte, sai Jean” – disse Martin stirandosi il viso con le mani mentre, con gli occhi seri, si scrutava nello specchio del piccolo corridoio.

“Davvero Martin? Mi dispiace …. c’è qualcosa che ti turba?” – rispose Jean con ingenuità. Si preoccupava facilmente. In più, non sopportava vedere Martin turbato. Soprattutto al mattino, quando era convinta che il giorno era tutto da costruire e che in qualche modo tutti potevano ripartire da zero.

“Davvero Martin? Mi dispiace …. c’è qualcosa che ti turba?” – rispose Jean con ingenuità. Si preoccupava facilmente. In più, non sopportava vedere Martin turbato. Soprattutto al mattino, quando era convinta che il giorno era tutto da costruire e che in qualche modo tutti potevano ripartire da zero.

“Oh Jean cara non te ne preoccupare ti prego, soffrirei ancora di più se vedessi che le mie parole in qualche modo ti appesantiscono. Hai già troppe cose a cui pensare e poi siamo amici solo da poco tempo.” Tra sé e sé aggiunse: “Amici … Non so neanche se siamo amici, io conosco solo i tuoi lunghi versi che scrivi sui tovaglioli alla fine di ogni cena. Certo, conosco anche i tuoi gusti musicali … quella orrenda roba indie come la chiami tu, da cui ti fai fare il lavaggio del cervello. E riconosco i tuoi calzini stesi … sono sempre quelli spaiati, o i più corti di tutti, con delle fantasie assurde e decisamente puerili. Ah, e poi conosco i tuoi sguardi incazzati, mi fai paura certe volte.” Non glielo disse però, la conosceva da troppo poco tempo e anche se condividevano lo stesso pulcioso appartamento non le aveva mai parlato di sé. Almeno non direttamente. Preferiva che lei ascoltasse, scomodamente seduta sulla sedia della cucina, i suoi lunghi monologhi sugli ultimi libri letti o sui film visti, anche su quelli un pò datati per la verità. Sperava che lei fosse intelligente a sufficienza per capirlo senza che lui si esponesse per davvero. E poi era un uomo per l’amor del cielo … e lei una ragazzina, per giunta ignorante come una capra in materia di cinema e di letteratura.

“Martin mi tratti sempre come se fossi una ragazzina. Cosa credi che io non possa capire? O che non possa darti un consiglio valido e sensato? Pensi che io sia come un bastoncino di vetro che se lo agiti troppo si spezza? Certe volte sento che per te sono una conoscente qualunque e non un’amica da trattare alla pari”.

“Hai ragione Jean” – disse lui sorridendo. Era proprio vero che la considerava una pivella. Non sapeva nulla del mondo e di certo, non poteva aiutarlo nei suoi tormenti interiori. E quanti ne aveva …

“Lo credo bene che ho ragione” – ribadì Jean puntando i piedi. “Adesso dimmi, cosa ti succede Martin? Cosa ti turba?” Jean riacquistò il tono ingenuo di prima e senza neanche pensarci lo prese per mano e lo condusse nel piccolo soggiorno. Si accomodò sulla poltrona verde, quella meno comoda, con il sedile consumato. Lo invitò a sedersi di fronte a lei, sul divano di pelle macchiato di vino rosso dopo l’ultima festa che aveva organizzato.

Martin le fece fare. “Che sarà mai” – pensò. “Si tratta solo di parlare … “. Ma era un uomo avveduto e ben presto si rese conto che stava accettando di rivelare qualcosa di così sconosciuto e pericoloso  persino a se stesso che avrebbe cambiato il corso delle cose … e lo stava per raccontare a una ragazzina. Che fosse in gamba non lo avrebbe negato ma si trattava pur sempre di una sprovveduta e inesperta circa gli affari del mondo. Realizzò che era impossibile tornare indietro quando accettò di sedersi su quel divano macchiato e di togliere gli occhiali che gli correggevano sì la vista ma non certo le distorsioni del cuore, che poi erano quelle responsabili dei difetti della vista. Il senso comune vuole che gli occhi siano lo specchio dell’anima e diosololosa quanto ciò poteva dirsi vero per quell’uomo.

“Martin, con me puoi parlare … io ne ho passate tante, qualcosa ti ho raccontato però c’è molto altro … ma, ma, posso assicurarti che è roba grossa, guai seri insomma, una volta sono anche andata da uno strizza cervelli, quindi penso proprio di poterti capire, ok?”

“Jean sei adorabile” – le disse Martin dolcemente, quasi interrompendola.

Lei si sforzava di metterlo a suo agio e per farlo provava a coprire i suoi buffi calzini colorati stirandosi giù i pantaloni di flanella. Martin se ne accorse e trovò quel gesto di una tenerezza tale che il ritmo del cuore gli cambiò. Era più forte di lui, ogni volta che si accorgeva di essere amato si commuoveva e poi si sentiva piccolo, stupido e impaurito come un poppante. Poi d’improvviso: “Eccola di nuovo” – pensò tra sé e sé – “la paura”, e chiuse gli occhi.

“Martin, Martin oddio che hai? Stai male?”

La voce squillante e gli strattoni di Jean lo riportarono al presente. “No, no, tranquilla Jean, stai tranquilla. Sto bene … stavo solo, diciamo, raccogliendo i pensieri”.

Jean gli credette. D’altronde, lei credeva a tutto. “Bene Martin, dunque dimmi, cos’hai?”

Martin respirò profondamente e tutto d’un fiato disse: “Sai Jean io ho una crepa nel cuore. Ogni notte che Iddio ha creato faccio sogni orrendi, sogno di morire ammazzato, sgozzato, pugnalato. Poi ogni tanto, da che io ho memoria, anche da sveglio, dalla crepa esce qualcosa che poi diventa una bestia e mi costringe a comportarmi come se fosse vera, anche se io lo so, lo so benissimo che è un fantasma. Non riesco ad acchiapparla, poi lei sparisce e allora io penso che è tutto finito ma torna sempre a tormentarmi, torna sempre.” Lo disse con un sol fiato. Diventò rosso per la mancanza d’aria e dovette fermarsi un attimo per riprendere la lucidità.

“Martin ma è terribile!” – disse Jean con tono preoccupato. “E questo ti è capitato anche stamattina? La bestia ti è uscita dalla crepa del cuore?”

Martin abbassò la testa e un pò arrossì: “Si Jean, mi è capitato anche stamattina, e ora sono distrutto”.

“Martin e dove sta questa bestia? Ha un nome per caso?” – chiese concitata Jeane.

“Beh un nome, no, non ce l’ha, non che io sappia per lo meno” – rispose Martin stupito.

“E cosa aspetti a darglielo Martin, insomma, come pensi di poterla chiamare?” – disse Jeane con una tale serietà che non diede a Martin il tempo di pensare.

“Oddio sì un nome, dunque dunque, lasciami pensare …”

“Martin scusa se te lo dico così direttamente ma tu hai sbagliato, per questo ti trovi in questa situazione … come pretendi di trovarla se non l’hai mai chiamata? L’hai mai chiamata Martin, le hai mai dato un nome?” – disse quasi urlandogli contro.

“No, no, Jean, no, un nome, mai … te l’ho detto”, balbettò l’uomo.

“E cosa aspetti, dai, muoviti, non perdere altro tempo, dalle un nome”.

“Si chiama … si chiama Pain” e così dicendo Martin improvvisò.

“Pain, paaaaain” – cominciò ad urlare Jean e mentre lo faceva si alzò e si mise a cercare in ogni dove: sotto il tavolo, dietro le tende, arrivò persino in bagno per vedere dove si era ficcata quella bestia. Tornò a sedersi col viso stravolto.

“Non la trovo Martin, non la trovo. Dai, chiamiamola insieme, magari riconosce la tua voce e salta fuori!”

Come due pazzi si misero a urlare per casa quel nome appena inventato e più lo facevano più si convincevano della necessità di trovarla.

“La troveremo Martin, non preoccuparti, ti aiuto io” – lo rassicurò Jean.

Martin era confuso, urlava quel nome e la sua testa era così vuota che non poteva più ritrovarvi dentro nessun appiglio.

Passarono pochi lunghissimi minuti e Martin finì il fiato che aveva in gola. Ne fu spaventato. Prese Jean per un braccio e costrinse anche lei a fermarsi. La guardò dritta negli occhi e le disse: “Grazie Jean per avermi ascoltato, grazie davvero, sei stata un tesoro”.

“Ti senti meglio Martin vero?” – controbattè Jean con un sorriso che non avrebbe mai potuto ricevere una risposta negativa.

“Si Jean, mi sento meglio ora. Se non ti spiace voglio andare a riposare, devo riprendere le energie.”

“Oh sì certo Martin, va pure … e riposa bene. E prepara una cuccetta per Pain, magari salta fuori da qualche parte dopo tutto questo chiamarla. Io continuo a cercare”.

“Oh sì certo Jean, lo farò. A più tardi e ancora grazie” – disse Martin senza ironia.

Martin rientrò nella sua stanza e si lasciò cadere sul letto tutto vestito. Le sue mani erano madide di sudore e sentiva il colletto della camicia troppo stretto. Lo allentò e in pochi secondi, senza che potesse deciderlo o controllarlo, piombò in un sonno profondo, il primo senza sogni, dopo molto tempo.

Lo svegliò la fame e una luce insolitamente forte. Si alzò senza pensare, si sentiva stranamente leggero e saldo sulle gambe. Uscì dalla stanza e passò di fronte allo specchio del piccolo corridoio della casa, senza guardarsi. In pochi passi fu in soggiorno e vide Jean allegra, con i suoi soliti calzini ridicoli. Stava in ginocchio sul pavimento, aveva in mano un vecchio rocchetto e giocherellava allegra con Pain.

La ragazza si accorse di lui e senza grosso stupore, alzò gli occhi e gli sorrise: “Hai dormito tanto Martin, ben svegliato! Se hai fame c’è del pane fresco nella dispensa, serviti pure”. Così disse e tornò subito al suo gioco.

Martin rimase immobile di fronte a quella scena. Non sapeva cosa pensare e non sapeva nulla a riguardo. Decise che non gliene sarebbe importato e si diresse verso la dispensa. Aveva una fame da lupi.

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