Joker e la responsabilità dell’artista

di Matteo Tarascio Breveglieri

Joker e la responsabilità dell’artista

di Matteo Tarascio Breveglieri
Joker e la responsabilità dell'artista

Joker e la responsabilità dell’artista

di Matteo Tarascio Breveglieri

Se in Italia l’uscita di Joker è stato un evento cinematografico “ordinario”, avendo come unica sorpresa la vittoria come Miglior Film al Festival di Venezia, negli States la pellicola di Todd Philips è stata accolta da scetticismo e controversie. Oltreoceano, infatti, il Joker è stato già altre volte usato come simbolo ed “ispirazione” per atti di violenza: pensiamo ad esempio al massacro avvenuto durante la prima di The Dark Knight Rises in cui sono morte 12 persone e 70 sono rimaste ferite e il cui artefice voleva essere chiamato proprio Joker, dopo essersi anche tinto i capelli come l’eponimo personaggio. A questo si aggiunge la notizia che l’FBI aveva recentemente identificato delle possibili minacce online di un altro attentato che voleva emulare quanto già successo ad Aurora. Il clima che circondava l’uscita nelle sale del film con Joaquin Phoenix era quindi a dir poco teso, con molte persone che criticavano la casa di distribuzione, Warner Bros., e proponevano un boicottaggio dell’opera. Di fronte a queste reazioni sorgono spontanee alcune domande: quanto sono fondate le accuse al film di ispirare violenza? Ed in tal caso, quanto sono responsabili i creatori della pellicola – il regista-sceneggiatore Todd Philips e lo sceneggiatore Scott Silver?

Prima di dire la mia, vorrei ricordare che esistono già molti casi in cui dei film hanno ispirato in modo tangibile comportamenti negativi. Prendiamo Birth of a Nation: il lungometraggio del 1915 è ambientato nell’America post-guerra di secessione e ritrae il Ku Klux Klan in chiave eroica, presentando invece gli afroamericani come ottusi e stupratori. Il film divenne talmente popolare da causare un’immediata rinascita nei mesi ed anni successivi del Klan, che lo usò di fatto come mezzo di reclutamento. Ora, ciò che trovo particolarmente interessante è il fatto che una delle immagini più famose del KKK – la croce di fuoco – è stata creata e popolarizzata proprio da questo film: un vero e proprio caso in cui la vita imita l’arte. 

Un altro esempio, forse più sentito da noi italiani, lo possiamo trovare ne Il Padrino di Francis Ford Coppola. La pellicola con Al Pacino e Marlon Brando– ed il romanzo di Mario Puzo da cui è tratta – ha infatti dato vita a molti dei rituali e delle espressioni successivamente adottate da veri mafiosi italoamericani: il termine godfather, padrino appunto, è stato inventato da Puzo, così come il bacio all’anello del boss come giuramento di fedeltà. Alcuni italiani, in particolare siciliani, trovano che il film ci metta in cattiva luce come popolo e di conseguenza rifiutano di vederlo, di fatto privandosi della possibilità di vedere uno dei migliori film della storia del cinema.

Un fenomeno simile si sta verificando con la serie Gomorra di Roberto Saviano, che viene spesso accusata di dare una rappresentazione negativa dei luoghi in cui è ambientata – pensiamo ai ripetuti divieti di filmare in certe location. Che poi, certo che dà una rappresentazione negativa, ma proprio perché – purtroppo – racconta la vita reale: per citare l’autore napoletano, “cosa credono di fare, di salvare il proprio territorio dal racconto della realtà?

Ritorniamo un attimo al Padrino. Nel libro The Godfather Effect Tom Santopietro spiega come quello che apparentemente sembra un film che mette soltanto in cattiva luce gli italoamericani, in realtà abbia di fatto spianato la strada ad un’immagine della nostra cultura che va al di là degli stereotipi negativi precedenti. Sì, “gli farò un’offerta che non potrà rifiutare” è diventato un modo di dire che rappresenta l’italianità, ma allo stesso tempo l’opera ha mostrato quel lato completo di umanità che pellicole precedenti non avevano attribuito agli italiani, con personaggi complessi e non esclusivamente negativi. È possibile quindi che opere etichettate come immorali o diseducative possano assumere, nel tempo, valenza e simbologie positive, che vanno anche oltre le aspettative degli autori.

Arriviamo a Joker. Una delle critiche mosse al film è che non esplori a fondo alcuni temi che vengono soltanto abbozzati – lotta di classe, salute mentale, emarginazione dei più fragili – perché, quando Joker nel finale viene intervistato da Murray, se ne lava le mani, dicendo di non voler essere un simbolo per i manifestanti, e perché, quando infine accetta l’adorazione della folla, lo fa solamente per sentirsi visto. A questo si potrebbe rispondere che non avere principi morali è il tratto caratteristico del personaggio che, appunto, reagisce alle tragedie della sua vita abbandonandosi al caos ed al nichilismo. Personalmente, non so quale interpretazione mi convinca di più, ma ciò che conta secondo me è proprio la discussione che nasce dal film, che ci siano più possibili interpretazioni e che ognuno possa attribuire un significato all’opera in base al suo vissuto e a prescindere dall’intenzione dell’autore.

E con Joker sta succedendo precisamente questo. Come ho ricordato sopra, in America ci si preoccupava della possibilità che incels – involuntary celibates, uomini arrabbiati con la società perché privi di relazioni sentimentali – si riconoscessero in Joker e rivedessero nel rifiuto da parte del personaggio di Zazie Beetz le proprie esperienze con le donne, sentendosi legittimati a imitarne le azioni. Paure in parte giustificate, oltre che per la già menzionata sparatoria ad Aurora,  per il fatto che il Joker di Heath Ledger era già stato adottato dagli incel come loro simbolo. Eppure, ad oggi, l’impatto culturale più visibile del film non deriva dal sessismo temuto negli States prima dell’uscita, ma dal messaggio di disobbedienza civile che ha reso questa versione di Joker il simbolo di manifestanti a Beirut, Santiago, e Hong Kong. Sicuramente Todd Philips non poteva aspettarsi che il suo Joker, personaggio per definizione amorale, sarebbe diventato un segno di lotta per la libertà. E ciò non sarebbe potuto accadere se, come auspicato da certi, il film fosse stato boicottato o censurato. Quello che cerco di dire è che l’arte, una volta uscita dalla mente dell’autore, assume vita propria nell’interpretazione, o molteplici interpretazioni, che ne dà l’immaginario collettivo. Certo, alcune interpretazioni possono alimentare idee rischiose o problematiche, ma quello che possiamo fare noi come società è garantire che l’arte, nella sua imprevedibile e sorprendente esplorazione dell’umanità, possa ispirare positivamente le persone e farci scoprire qualcosa in più di noi stessi.

di Matteo Tarascio Breveglieri, all rights reserved

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