Italian Rhapsody
con Buttafuoco

Italian Rhapsody:
l’intervista a Pietrangelo Buttafuoco

Intervista al giornalista, scrittore e rapsodo siciliano:
"La Lega è coerente. Renzi in Arabia? Un inciampo. Di Maio figlio delle scuole del sud"

di Dario Artale

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l’intervista a Pietrangelo Buttafuoco

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l’intervista a Pietrangelo Buttafuoco

di Dario Artale
Buttafuoco

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l’intervista a Pietrangelo Buttafuoco

Intervista al giornalista, scrittore e rapsodo siciliano:
"La Lega è coerente. Renzi in Arabia? Un inciampo. Di Maio figlio delle scuole del sud"

di Dario Artale
6 minuti di lettura

Pietrangelo Buttafuoco parla in corsivo, mette il grassetto sulle parole con un colpo di tosse, mentre io prendo nota dentro una Moleskine scura. Capace – come scrive Alessio Mulas sull’Intellettuale Dissidente – di fare “della cronaca un canto d’epica”: Buttafuoco è giornalista, scrittore e rapsodo, nonché siciliano.

Nella sua stanza al terzo piano di Palazzo Grazioli, teatro in questi anni dell’epopea berlusconiana, dove ha sede la Fondazione Leonardo per la quale dirige il sito online, Pietrangelo Buttafuoco si destreggia nel ginepraio della politica italiana in possesso della sua lira magica. Lo seguo, con l’inchiostro, a passo d’uomo.

Partiamo dal Medio Oriente, dove non troppe settimane fa Matteo Renzi ha indicato l’Arabia Saudita come “culla del Nuovo Rinascimento”.

Cosa intende lei per culla del Nuovo Rinascimento?

“Definire la ‘culla di un Rinascimento’ è cosa molto complessa, se non altro perché presuppone una rinascita, e bisogna adoperarsi per far rinascere qualcosa. Considererei quello di Renzi più un inciampo, che fa il paio con il disastro, quello sì, messo in opera da Donald Trump quando, proprio da quelle parti, se ne andò a indicare come facenti parte della spectre terroristica quelli che nel frattempo combattevano contro l’Isis”.

A proposito di inciampi, ritiene appropriato considerare Renzi come il demiurgo dell’operazione che ha portato Giuseppe Conte a lasciare Palazzo Chigi in favore di Mario Draghi?

“Matteo Renzi in un ‘vuoto di politica’ ha messo in atto la politica: ha fatto prima nascere il governo giallorosso, poco tempo dopo avrebbe volentieri staccato la spina, prima che la pandemia stravolgesse i suoi piani. Alla fine, malgrado la pandemia e alla luce della crescita e della centralità assunta dall’allora premier Giuseppe Conte, non ha resistito alla più irresistibile delle sue tentazioni”.

Durante il discorso di fiducia al Senato Draghi ha pronunciato per 10 volte la parola “donne”, per 9 volte la parola “giovani” e nemmeno una volta la parola “pensioni”. Considerato che Mr Bce è uomo, per necessità e virtù, molto attento alle conseguenze delle sue parole, trova che questo sia un buon segno?

“Se fosse ancora vivo Umberto Eco avrebbe sicuramente identificato tutti i passaggi di segno, di lingua e di linguaggio. Io ritengo che tra tutti il linguaggio più significativo resti ‘quello dell’orologio, vale a dire: le riunioni fissate alle 9 del mattino quando, dopo aver letto i dossier, a mente fresca, si lavora meglio…”.

Dalla politica alla polemica, una in particolare ha recentemente agitato il Partito Democratico. Le donne hanno contestato l’assenza di ministre dem nel nuovo governo. Che idea si è fatto?

“La sinistra è pur sempre erede del pensiero borghese, e trovo che la società borghese incontri numerose difficoltà a confrontarsi con la presenza femminile. La destra invece fa riferimento al pensiero tradizionale in cui, non da ultime le monarchie, non c’è scandalo nel vedere un sovrano donna. Mi è molto difficile, se non impossibile, trovare un Presidente degli Stati Uniti donna, laddove invece è ovvio, per esempio, trovarla ai vertici di un grande impero”.

La Lega ha vissuto una lunga metamorfosi, dal primo raduno di Pontida fino all’ingresso nel governo Draghi; è cambiato nel tempo il rapporto con alcune aree geografiche del nostro Paese, nonché, da ultimo, quello istituzionale con l’Europa. Ci aiuta a mettere ordine?

“La Lega, dalla fondazione a oggi, è sempre stata coerente col territorio che la rappresenta. Non solo, ha sempre tenuto insieme ben due identità: una è quella che paradossalmente l’ha portata nel 2018 a governare con il M5S, ma che alle urne voleva dire ben altro, e cioè che ‘laddove c’è la Lega non c’è il M5S”; e un’altra radicata in un blocco sociale ben preciso, quello del nord che produce, e che non vede grandi differenze tra Bonaccini, Zaia o Fontana, semplicemente perché individua in loro dei pionieri capaci di portare avanti la locomotiva”.

E la presenza di questa seconda identità spiega congruamente l’adesione della Lega al Governo?

“Esatto, sorrido quando vedo ancora qualcuno meravigliarsi dell’adesione della Lega al nuovo governo o parlarne perfino in termini di contraddizione. La Lega che sta con Draghi è ancora, è sempre, quella dei manifesti nei quali squillava un unico slogan: ‘Più lontani da Roma, più vicini all’Europa’. La Germania, per esempio, è il riferimento immediato non tanto dei teorici o dei parlamentari, ma di quel preciso blocco sociale che la mattina, a Vicenza, sempre a mente fresca, alza una saracinesca per creare la componentistica da vendere ad Audi, Mercedes, o Volkswagen”.

Sarei curioso di fare una geografia anche del M5S…

“Il M5S è composto non da due, ma da tre gruppi sociali. C’è l’elettorato, gli attivisti e poi i parlamentari. Deputati e senatori aspettano, per conto loro, la fine della legislatura e a quella mirano. Gli attivisti hanno invece trascorso l’ultimo anno, soffrendo il fatto che nei territori hanno fatto di tutto per sbarazzarsi del Partito Democratico, per poi ritrovarsi a Roma il Movimento pronto ad apparecchiargli la tavola, con tanto di forchette e bicchieri da portare. L’elettorato, infine, incarna più che mai un consenso volatile, pronto a migrare, che si immedesima in un altro precisissimo blocco sociale, quello del sud”.

Per esempio?

“Per esempio Di Maio, quando fa i suoi ‘inciampi’, rappresenta, né più e né meno, quei suoi tanti coetanei che, vuoi per le scuole sfasciate, vuoi per la necessità di andarsene in fretta, non hanno beneficiato della forgiatura di un cursus honorum. Trovo comunque che quello di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio sia stato un esperimento riuscito, se non altro perché il M5S ha intercettato la transizione digitale, mettendo in crisi, ‘in forza di mouse’, le dinamiche tradizionali della politica italiana”.

Zygmunt Bauman, sul finire del secolo scorso, spiegava la postmodernità usando la metafora della società liquida nella quale “il cambiamento è l’unica cosa permanente e l’incertezza è l’unica certezza”. La nostra società, costretta dal 2020 nella morsa della pandemia, sembra somigliarle molto. Le chiedo se essere liquidi sia un’abitudine alla quale dar confidenza…

“Non vedo perché dobbiamo obbligatoriamente essere liquidi, tant’è che l’incardinarsi nelle giornate e nel divenire è sempre radice. Tant’è vero che, mentre noi siamo qui ad autoconsolarci con Bauman e sulla modernità liquida, ci sono altre realtà, perfino economicamente più forti, che non vanno necessariamente nella direzione dell’autoconsolazione. Perché non volgere lo sguardo verso l’Asia, per esempio? L’Asia è oggi una sterminata distesa di creatività, di produzione, di consumo… dove l’unico liquido possibile è quello del denaro”.

Una risposta

  1. Se in Asia l’unica cosa liquida è il denaro, in Italia tutte le certezze si sono liquefatte a suon di liquido contante.

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