Io e la mia famiglia
con due papà

Io e la mia famiglia con due papà

Intervista a Mattia Zecca, autore di "Lo capisce anche un bambino", edito da Feltrinelli

di Ludovica Tripodi

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di Ludovica Tripodi

Io e la mia famiglia
con due papà

Io e la mia famiglia con due papà

Intervista a Mattia Zecca, autore di "Lo capisce anche un bambino", edito da Feltrinelli

di Ludovica Tripodi

“Bambini come Lorenzo e Martino hanno una famiglia, due genitori che li hanno messi al mondo e che di loro si prendono cura ogni giorno, bambini come tanti altri, eppure scontano una diversità”. Mattia è il padre di Lorenzo e Martino, compagno di Nicola, avvocato e scrittore con la fortuna di non poter fare a meno di scrivere. Ci ha raccontato del suo libro “Lo capisce anche un bambino”, edito da Feltrinelli, che è la storia della sua famiglia “straordinariamente” tradizionale e della potenza, delicatezza e profondità dell’amore, concetto assoluto che forse non dovrebbe conoscere declinazioni.

“Lo capisce anche un bambino” di Mattia Zecca, edito da Feltrinelli

L’amore ignora sempre le leggi della fisica e della biologia, la legge talvolta, purtroppo, ignora l’amore. Iniziamo da qui. 

Uno degli aspetti che più mi premeva raccontare, attraverso la mia storia, è quel pericoloso e inaccettabile scollamento che talvolta si verifica tra la natura e il diritto. Famiglie come quella raccontata nel mio libro sono vive, esistono in natura e sono viste e riconosciute in ogni contesto sociale in cui si muovono. Bambini come Lorenzo e Martino hanno una famiglia, due genitori che li hanno messi al mondo e che di loro si prendono cura ogni giorno, bambini come tanti altri, eppure scontano una diversità: quella di non essere tutelati dall’ordinamento giuridico come gli altri. Famiglie come la loro – quindi, come la mia – sono invisibili per la legge. 

Che cosa è, quindi, che capisce anche un bambino? 

Un bambino capisce il mondo senza soffrire il peso di sovrastrutture ideologiche. Capisce che un albero è un albero, un lago è un lago, una famiglia è una famiglia, un genitore è un genitore. Capisce che l’amore è capace di generare nuovo amore, indipendentemente dal genere delle persone che lo esprimono. Un bambino – e, quindi, tutti noi che bambini lo siamo stati e, da qualche parte, lo siamo ancora – capisce di esistere perché si sente visto dagli altri. 

Nel tuo libro la genitorialità viene vista anche come un’occasione per mettersi in discussione e provare a imparare quello che fino a quel momento il mondo non è riuscito a insegnarci. Una sorta di opportunità per essere una versione migliore di sé stessi. È davvero così?

Diventare genitori è molte cose magiche e complesse, che è difficile esprimere senza correre il rischio di banalizzare. Diventare genitori credo sia assumersi, soprattutto, la piena responsabilità della vita che esiste grazie a noi, prendersene cura ogni giorno, insegnarle il bello e il brutto di questo mondo e, nello stesso tempo, impararlo anche noi, attraverso gli occhi dei nostri figli: scoprirsi invincibili e vulnerabili un momento dopo, scoprire dentro di noi risorse che nemmeno sapevamo di avere, scoprirsi anche imperfetti e, ciononostante, provare a mettere a beneficio dei nostri figli le nostre migliori peculiarità. 

C’è poi una tenera descrizione di una famiglia, la tua, che definirei straordinariamente tradizionale (e non farti ingannare dall’avverbio “straordinariamente”)Una storia d’amore bellissima con il tuo compagno Nicola e con i tuoi figli ed una serie di intermittenze emotive che scaldano il cuore. Quanto è stato difficile per te metterti a nudo e scavare nel profondo per raccontare così tanto di te? 

Il lavoro di scavo interiore richiede molte energie, ma ne restituisce sempre altrettante: prima di raccontarsi agli altri, credo sia molto importante trovarsi in profondo contatto con se stessi. Il potere delle storie di avvicinare le persone risiede anche nel grado di integrità e rispetto attraverso cui siamo capaci di raccontarle.

Cosa ti ha donato la scrittura? E, soprattutto, continuerai a scrivere?

La scrittura è, per me, una necessità cui non posso sottrarmi, perché è il modo più autentico con cui riesco a esprimermi e, nello stesso tempo, uno strumento che mi permette di sentire e interpretare la realtà. Continuerò certamente a scrivere: ho la fortuna di non poter fare altrimenti.

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