LA LINGUA GENIALE: UN’IRRIPETIBILE IDEA DEL MONDO. INTERVISTA AD ANDREA MARCOLONGO

di Aretina Bellizzi

LA LINGUA GENIALE: UN’IRRIPETIBILE IDEA DEL MONDO. INTERVISTA AD ANDREA MARCOLONGO

di Aretina Bellizzi

LA LINGUA GENIALE: UN’IRRIPETIBILE IDEA DEL MONDO. INTERVISTA AD ANDREA MARCOLONGO

di Aretina Bellizzi

“La lingua geniale. Nove ragioni per amare il greco”. Intervista all’autrice Andrea Marcolongo

Nell’ultimo periodo si discute molto dell’utilità delle lingue classiche in generale e del greco in particolare: taluni vorrebbero ridurne le ore d’insegnamento, altri eliminarle del tutto o depauperarne fortemente il valore all’interno del sistema scolastico, atri ancora invece (e per fortuna sono molti!) credono che siano materie imprescindibili, necessarie a formare gli studenti pensando a loro in primis come esseri umani che devono affacciarsi alla vita ed essere capaci di affrontarla. Sorprende dunque che, proprio ora che se ne mette in discussione la validità, un libro interamente dedicato al greco stia avendo un grandissimo successo: si tratta de «La lingua geniale. Nove ragioni per amare il greco» (Laterza) di Andrea Marcolongo. A soli tre mesi dall’uscita ha raggiunto un risultato straordinario, al di là di ogni aspettativa: 50 mila copie e 9 edizioni. L’autrice, dopo aver frequentato il liceo classico ed essersi laureata in lettere classiche a Milano, continua ad interrogarsi su questa lingua che l’ha sempre affascinata. Dopo essersi specializzata in storytelling e aver fatto la ghostwriter, torna al greco, “l’amore più duraturo” della sua vita.
Abbiamo avuto il piacere e l’onore di farle qualche domanda e di capire così qualcosa di più su questo libro e su una lingua che pur essendo morta e muta ha ancora la capacità di parlaregreco

1. Credo che uno dei meriti fondamentali di questo libro sia quello di parlare del greco, una lingua spesso considerata difficile e appannaggio di pochi coraggiosi adepti, non con il tono della professoressa in cattedra ma ponendosi con umiltà dal punto di vista dell’ultima della classe. È forse questa una delle ragioni del successo che sta avendo?

E’ stata Virginia Woolf, nel suo splendido saggio intitolato “Del non sapere il greco” a scrivere che “è strano il fatto di voler sapere il greco, sforzarci di sapere il greco, sentirci attratti dal greco, e stare sempre lì a farci un’idea del significato del greco, magari sulla base di chissà quali incongrui dettagli, e di chissà quale vaga somiglianza con il significato reale del greco (…) perché nella nostra ignoranza saremo sempre gli ultimi della classe, visto che non sappiamo che suono avevano le parole greche, o dove di preciso dovremo ridere”.

Fin dalla prima pagina del mio libro anch’io mi definisco strana, perché non solo mi sono ostinata a sforzarmi di sapere il greco, ma persino a raccontarlo in una grammatica tutt’altro che convenzionale come è La Lingua Geniale. Mi definisco “ultima della classe” perché nel libro non ho voglia di dare lezioni, ergermi a paladina del greco e della sua gloria: ho sentito il bisogno di raccontare perché io, una giovane donna di 29 anni, amo il greco, senza voler convincere nessuno a studiarlo ma provare a trasmettere il senso della sua bellezza. Sì, credo sia forse questa la ragione del successo, rispetto ad altri libri dedicati, ad esempio al latino: mi metto a nudo raccontando le gioie e i dolori che mi sono accaduti nella vita (e nel greco) e lo faccio con ironia e umiltà, al punto che spesso mi si chiede se il mio saggio sia un romanzo, un racconto, una storia. Per me è una dichiarazione d’amore, per il greco e per la vita.greco

2. Il libro ha la capacità di parlare a tutti, con semplicità e leggerezza, a chi ha amato il greco, a chi lo ricorda come uno dei peggiori incubi di gioventù, a chi avrebbe voluto capirlo meglio. Cosa ha da dire invece a chi non lo ha mai studiato?

Sono moltissimi i lettori che si avvicinano a questo libro senza aver mai studiato il greco: proprio questo era il mio sogno quando lo scrivevo, mettendo a dura prova i miei amici non classicisti chiamati a leggere i capitoli e a dirmi se fossero per loro accessibili. Ricevo lettere da lettori che spaziano dai 14 ai 90 anni e nessuno mi ha mai chiesto conto, che so, di un problema linguistico o sulla mia opinione riguardo Tucidide: ognuno, che abbia fatto il liceo classico o meno, mi racconta dettagli della sua vita che non aveva mai considerato grazie alle prospettive nuove che scopre nella stranezza della lingua greca. Questo è un libro specchio, l’ho capito viaggiando senza sosta in tutta Italia, incontrando adulti, accademici (ho ritirato lunedì il prestigioso premio Angelini dell’Università di Pavia accanto a Paolo Mieli), ma soprattutto oltre 6mila ragazzi. Ciascuno, attraverso il filo del greco, legge se stesso, la sua vita, il suo modo di usare le parole -e la stranezza che abbiamo tutti e nuovi modi per andarne fieri nel mondo di ogni giorno. Un solo tratto accomuna i miei lettori: la curiosità di avvicinarsi ad un modo alternativo di vivere e di pensare (in italiano!)

3. A proposito delle tragedie e delle commedie greche dici nel libro “lì è custodito il senso primitivo e feroce dello stare al mondo”. Chi ha la “fortuna” di leggere e capire i testi in greco antico ha effettivamente la sensazione di avvicinarsi quanto più possibile all’essenza delle cose, al loro significato primo e insieme ultimo. Tu tenti di dimostrarlo scrivendo, più che una grammatica greca, una “grammatica dell’anima” scoperta attraverso lo studio del greco.

Sì, io credo davvero che tutta l’essenza dell’essere umana sia racchiusa nelle tragedie greche, compresi i lati più profondi, sotto ogni superficie delle cose e di noi stessi -amo particolarmente la Medea di Euripide, su cui mi sono laureata. E sono certa che nei testi antichi oggi noi leggiamo noi stessi, ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra vita di donne e uomini del 2016 e non del 500 a.C.
Il mio libro è un racconto del modo di pensare attraverso la lingua, non certo una grammatica convenzionale.
Ogni lingua serve per esprimere un’irripetibile idea di mondo. Il greco era una lingua umana, nel senso che lasciava ai suoi parlanti una grande libertà di scegliere come dire come si sentivano riguardo alla vita: molte delle particolarità che racconto nel libro non erano “obbligatorie”, ma affidate alla sensibilità di chi il greco antico lo parlava o scriveva. Ci sono almeno cinque parole, con cinque sensi diversi, per indicare il mare, il numero del farsi coppia, il duale, è utilizzato solo se si ha bisogno di esprimere con una sola parola una relazione speciale fra due persone (come gli innamorati, una madre con un figlio in grembo, due occhi che guardano nella stessa direzione), l’ottativo serve per fare i conti con se stessi ed esprimerli a parole. In sintesi, la bellezza della lingua greca sta nell’avere un modo preciso per esprimere tutte le sfumature della vita, anche le più minuscole, e affidarlo alla libera scelta degli uomini. E ora quella responsabilità di vivere e di scegliere sta a noi.greco

4. A proposito del dibattito sull’utilità delle materie classiche non è forse il presupposto di partenza ad essere sbagliato? Non credi sia assurdo chiedersi se siano “utili” (è ovvio che lo siano)? Dovremmo forse chiederci piuttosto come adattare lo studio delle lingue antiche ad un mondo che cambia sempre più rapidamente?

Il liceo classico, così com’è, grazie anche agli insegnanti che hanno accolto il mio libro volendosi mettere in gioco, è quanto di più reale e vivo che ci sia.
Ai giornali e alla TV che discutono di liceo classico manca invece il contatto con il reale: definisco il dibattito riguardo l’utilità del liceo classico più antico del greco antico! Odio la parola “utile”, non sono “utenti”, ma esseri umani che si formano. Ad oggi ho incontrato 7000 ragazzi, da Torino a Brindisi, che, secondo i media, sarebbero “nativi digitali” incollati al cellulare 24 ore al giorno. Non è così: ho conosciuto una generazione molto migliore della mia -i cosiddetti millennials cui era stato promesso tutto e tutto si è schiantato con la crisi economica-, una generazione che accetta la sfida del mondo adulto a 14, 15 anni, che non ha paura di alzare la mano per chiedere conto, che è fedele alle sue idee, che non si fa dire da qualcun altro “cosa” deve essere (un medico, un dentista, un marinaio), ma preferisce riflettere e formare “chi” vuole diventare, come uomo e come donna. E soprattutto è meno prigioniera di Facebook e affini di noi 30-40enni!
Ogni materia è degna di studio e di rispetto, dal cinese alla fisica. Tuttavia, le cose importanti hanno bisogno di tempo e di grazia (ecco perché il primo capitolo del mio libro, dedicato all’aspetto, è il più amato dai lettori). Non credo che la facilità sia un valore: il greco è difficile, la vita è forse facile? Lo studio del greco richiede costanza e tenacia, forse un sogno, un amore, uno sport, una professione no? La velocità è un valore degli esseri umani o di treni e aerei?
Nel mio libro ne parlo: il greco apre la mente, ma verso l’età adulta, ovvero insegna a vivere, da ragazzi (non dimentichiamoci che al liceo classico si vive qualcosa di molto più complicato del greco, ovvero l’adolescenza!), tutta le sfumature delle emozioni che si vivranno poi da grandi. Fallire davanti ad una versione non è semplice, fallire dopo dieci versioni e non mollare è difficilissimo. Recuperare e saper gioire della fatica che ha comportato non è altrettanto semplice. Ma un giorno ci troveremo davanti ai compiti in classe, non del liceo, ma della vita. L’aspirapolvere (come nel mio caso!).

5. Ti sei occupata anche di storytelling, hai fatto la ghostwriter, quanto ti è stata d’aiuto la conoscenza del greco in questo settore?

Il greco, il suo modo di pensare, è da sempre parte di me. In fondo storytelling non è che la parola moderna per descrivere il lavoro di Omero: raccontare, in una storia, l’identità di un mondo, quello greco. Ho sempre portato il greco nel mio lavoro, ecco perché ora sono molto amata anche da aziende “insospettabile” -e fantastiche nell’accettare sfide tanto attuali come la presunta inattualità del greco! Mi piace definirmi il perfetto, ossia il risultato, di tutti i presenti che sono stata. Spero che il mio nuovo presente sia continuare a scrivere.

Ringraziamo Andrea Marcolongo per averci concesso l’intervista e per averci fatto scoprire delle ragioni in più per amare il greco.

di Aretina Bellizzi, all rights reserved

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