Politiche giovanili e giovani politici: intervista a Daniele Capezzone

di Sabrina Cicala

Politiche giovanili e giovani politici: intervista a Daniele Capezzone

di Sabrina Cicala

Politiche giovanili e giovani politici: intervista a Daniele Capezzone

di Sabrina Cicala

Un mio amico mi ha spiegato un giorno che avrei dovuto collocarmi in una delle fasce giovani: giovani 21-25, giovani adulti 26-34, adulti 35-54. Non compaiono, però, i giovani under 21. Cosa ha fatto la politica per gli under 21 negli ultimi anni, quanto è mancato il dialogo con loro?

Purtroppo, senza distinzione di schieramento, siamo davanti a un fallimento conclamato. C’è un libro americano, scritto per gli Stati Uniti ma letteralmente fotografico rispetto alla situazione italiana: si intitola “Plunder and deceit”, cioè saccheggio e inganno. L’autore è uno straordinario avvocato liberalconservatore, Mark Levin, il quale spiega benissimo una contraddizione. E’ paradossale che un po’ tutti – nella vita privata – tentino di fare il massimo per i propri figli (scuola, sport, eccetera), ma poi – nella vita pubblica – accettino politiche-killer nei confronti delle nuove generazioni: dall’accumulo del debito pubblico alle pensioni, per fare due esempi.

 

Da quando occorre, allora, iniziare ad interessarsi e a farli interessare?

Anche se non ti occupi della politica, la politica si occupa di te. E’ quella cosa che può ridurre i tuoi spazi di libertà, purtroppo. A maggior ragione occorre avere gli occhi aperti e, per chi vuole, impegnarsi. Certo, una svolta nella vita di tutti è il momento in cui inizi a pagare le tasse: e ti accorgi di quanto ti è sottratto dallo Stato.

 

Lei è stato segretario di Radicali italiani a ventinove anni e altri segretari radicali nel passato erano under 30. Quella radicale è una storia di eccezionalità, anche su questo piano, altri partiti non hanno concesso spazi realmente importanti giovani. Che spazi reali di vero coinvolgimento e vera partecipazione ha la vita politica e partitica oggi per i giovani? Sull’odierno diffuso disinteresse giovanile per la politica (che oggi si traduce nell’interesse per l’antipolitica) hanno più responsabilità la politica, i partiti o i giovani stessi?

Io non mi sono ricandidato alle ultime elezioni, ho lasciato la politica attiva. Scrivo per La Verità, per Italia Oggi, per Atlantico, sono vicepresidente di Acre (un’internazionale conservatrice e liberale), dirigo New Direction Italia, che è un think tank thatcheriano. Quindi ci sono molti modi, oltre all’impegno politico diretto, per far circolare idee, o auspicabilmente buone idee. I radicali hanno avuto anche questo merito in passato: di valorizzare persone giovani, consentendo loro di misurarsi con responsabilità politiche rilevanti. Con franchezza, non credo però che l’età sia un valore in sé: puoi essere un lucido ottantenne, come anche un trentenne cretino… Questo va detto con onestà.

Sopra abbiamo richiamato la suddivisione in fasce a metà tra l’anagrafico e il sociologico: dalla macrocategoria dei giovani sono esclusi gli over 35. Quando, in ambito lavorativo, non si è più giovani? Questa linea di confine corrisponde alle realtà? Si è davvero adulti superata questa età?

In Italia, e non è certo colpa dei ragazzi, che ne sono le prime vittime, si è “dilatata” la percezione della gioventù. Ma questo si deve al fatto che non trovi lavoro, spesso non sei in condizione di lasciare la casa dei genitori, e fatalmente persiste un cordone ombelicale di “dipendenza”. E’ un’anomalia che solo un ritorno sostenuto alla crescita economica può sanare.

 

Startup come forma di impresa giovanile: l’età media è 34 anni e quindi torniamo a chiederci: l’impresa per i giovani è già al confine tra gioventù e età adulta? E davvero stanno nel mercato in modo competitivo o sono “drogate” da finanziamenti iniziali e poi non sanno crescere?

La mia opinione è che si dovrebbe fare come in Inghilterra, penso in particolare all’esperimento degli “start up loans”. Non solo prestiti per avviare un’attività per chi abbia buone idee, ma anche un aiuto manageriale per far partire davvero la tua impresa. Tra una buona idea e la nascita di un’impresa solida c’è di mezzo un mare di difficoltà operative, che non vanno sottovalutate.

 

Crowdfunding o aiuti di famiglia per le nuove iniziative imprenditoriali: dallo Stato cosa arriva realmente, oltre a bonus e sussidi variamente denominati, che altro non sono se non il malcelato camuffamento statalista-assistenziale della paghetta dei genitori? Cosa dovrebbe fare piuttosto che incentivare la accomodante, ma irresponsabile sensazione che sia possibile (forse anche conveniente) essere bamboccioni ad interim, prima gravando sulla microeconomia familiare poi sulla macroeconomia statale?

Per carità! Sono d’accordo sulla diagnosi negativa rispetto all’esistente. A mio avviso servirebbero solo tre cose. Primo: nel periodo scolastico e universitario, uno strepitoso potenziamento di borse di studio e premi per il merito. Secondo: start- up loans sul modello inglese per le nuove attività che partono. Terzo (per tutti, giovani e non) un taglio choc di tasse e burocrazia. E’ quella l’unica via che può riportarci a una crescita vibrante, fuori dalla prigione degli “zero virgola”.

 

Il 16 maggio del 2016 trecento pullman organizzati da CGIL, CISL e UIL portarono nel centro di Roma trentamila pensionati. Non è un mistero che la maggioranza assoluta degli iscritti ai sindacati confederali siano pensionati, cioè ex lavoratori. Hanno ancora modo per cambiare rotta e dirigere parte della loro attività alla tutela dei giovani?

I sindacati, al di là della buona volontà di alcune personalità, sono ormai fuori dal mondo. Difendono solo gli attuali pensionati e chi il lavoro ce l’ha già. Ma giovani, disoccupati, sottoccupati, outsider sono totalmente fuori da qualunque ombrello sindacale. Ecco perché (lo dico senza accusare, ma solo descrivendo) la trimurti sindacale è un rottame del passato.

 

Quando i giovani non saranno più giovani: Lei ha proposto nuove forme di previdenza volte a garantire degni livelli di qualità di vita per chi oggi non ha ricevuto ancora lavoro e quindi ancor meno è propenso ad occuparsi di quando lo avrà concluso. Quali sono queste forme e come attuarle?

E’ l’unica via. Aprire al mercato. Rompere il monopolio Inps, incentivare davvero la possibilità di una pensione privata, istituire un meccanismo che ti consenta (ogni momento) di sapere quanto avresti se ad un certo punto decidessi di ritirarti. Ognuno scelga come investire i propri contributi: nel privato o nel pubblico, l’importante è che tutti abbiano una copertura previdenziale. Se invece manteniamo il sistema attuale basato sul monopolio Inps, è fatale che per i giovani non ci sia speranza. Se guardo al modello ideale futuro, dovrebbe essere basato su tre pilastri: un pezzo di pensione pubblica, un pezzo di pensione privata, e una terza gamba di titoli di stato di durata lunghissima (anche cinquantennale) che i genitori possano prendere per i propri figli come investimenti di lunghissimo periodo. Così, da grandi, anche gli attuali giovani avrebbero tre pilastri a cui appoggiarsi, non uno solo sempre più traballante.

 

Dalla gioventù di quale Paese dovrebbe prendere esempio quella italiana?

Da noi stessi. Abbiamo talento e cultura. Occorre ritrovare motivazioni, e anche un po’ di orgoglio italiano. Il mondo ci ammira molto più di quanto pensiamo. Ricordiamocelo.

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