Alterazione e social control: intervista a Benito Ligotti

di Maddalena Crovella

Alterazione e social control: intervista a Benito Ligotti

di Maddalena Crovella

Alterazione e social control: intervista a Benito Ligotti

di Maddalena Crovella

La società virtuale chiede continuamente di soddisfare una richiesta e di aggiungere un tassello al grande quadro che costituisce la nostra identità digitale. La condivisione reiterata di informazioni innesca un meccanismo, spesso inconsapevole, di controllo sociale e l’identità diventa sfuggente: un’idea sempre più difficile da definire.
Benito Ligotti, classe ‘87 e avvocato di professione, ha espresso bene questo concetto nel progetto artistico Social Control, avviato nel 2013 e tutt’ora in corso di svolgimento, che propone una riflessione sulla massificazione dell’io digitale nell’epoca del controllo sociale.

Com’è nato Social Control?

Social Control nasce dall’idea che siamo tutti sotto controllo, un concetto di cui ognuno di noi si rende conto ormai. Non ho inventato nulla, ho espresso semplicemente il mio punto di vista che non è assolutamente l’unico. L’impronta è il simbolo di un’identificazione, è il segno lasciato da una persona che potenzialmente potrebbe essere chiunque, infatti guardando l’impronta è impossibile capire a chi appartenga. Tutto è concepito come una provocazione: la massa vive il paradosso di diffondere l’identità digitale in una società dove non c’è nessun incontro ma solo una condivisione sterile.

L’identità digitale è un concetto delicato anche dal punto di vista giuridico. Quanto ha influito la tua formazione universitaria sull’elaborazione di questo progetto?

Come chiunque mi sono sentito nella posizione di essere controllato e l’espressione artistica è stata anche un modo per scrollarmi di dosso l’impotenza legata a tutti questi fenomeni. La mia formazione giuridica ha senz’altro accentuato la riflessione, correlata molto al concetto di identità digitale, però l’idea è stata istintiva.

Sui social noi scegliamo consapevolmente di pubblicare qualcosa che ci identifichi, il tuo lavoro invece, imprime sulla tavola l’impronta che è unica ma che vista nell’insieme diventa anonima…

Si esattamente, ho fatto una catalogazione di informazioni che paradossalmente non rivelano nulla. Tutti i giorni quando pubblichiamo qualcosa, inseriamo i contenuti che ci dovrebbero rappresentare ma quello che appare non coincide mai con la realtà e rende distorta la percezione della nostra identità.

Qual è la reazione delle persone a cui chiedi di lasciare un segno? Sono consapevoli di darti qualcosa di strettamente personale o lo fanno con leggerezza?

Ci sono reazioni diverse perché si tratta di una provocazione molto forte: un perfetto sconosciuto ti chiede l’impronta digitale e in pochi istanti la tua mimica facciale rivela tutto quello che mi dirai. Se entro nel dettaglio del progetto artistico, molti ne restano colpiti e il coinvolgimento è immediato perché condividono la mia stessa idea e sentono di poter far parte di una creazione collettiva. Io e il pubblico creiamo l’opera, anzi, sono soprattutto loro a farla.

In che modo raccogli queste impronte?

Il momento in cui l’arte si realizza è nell’incontro con i donatori, la modalità di raccolta è casuale. Ho viaggiato in diverse città italiane, dove girando per strada ho raccolto le impronte. L’esposizione avviene soltanto in seguito ed è assolutamente subordinata alla raccolta che è il momento essenziale, anche se più faticoso.

Dal punto di vista estetico mi ha colpito molto l’essenzialità delle singole tavole che insieme ne compongono una intera: l’impronta immersa in questo spazio sospeso è isolata nell’anonimato che la circonda, allo stesso modo dell’individuo che, pur vivendo nell’era della condivisione, è sempre più solo.

Hai colto bene la mia intenzione, tutto il lavoro si basa sul paradosso del mondo digitale. La composizione visuale è stata studiata sulla base di due tonalità di colore, una chiara e una scura, con il fine di far risaltare questa traccia. Il nero dell’impronta è la testimonianza che l’incontro con il singolo ha lasciato un segno dal quale non s’intuisce nulla del donatore. Ho scelto di realizzare singole tavole e non direttamente una tela di due metri, per non esulare troppo dal progetto base: raccogliere le singole informazioni di un donatore anonimo, per una serie di incontri, da connettere insieme.

So che il tuo progetto è ancora in corso di svolgimento. Quando avrà fine?

Finché avrò vita.

di Maddalena Crovella, all rights reserved

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