Integrazione: da “La classe” a “La strada” (Drumul)

di Alessandra Carrillo

Integrazione: da “La classe” a “La strada” (Drumul)

di Alessandra Carrillo

Integrazione: da “La classe” a “La strada” (Drumul)

di Alessandra Carrillo

Integrazione: da “La Classe” a “La Strada” (Drumul)

Lo spettacolo al Sala Umberto ed un intimo racconto all’Altrove Teatro Studio: il potere dell’arte

Quant’è difficile la vera integrazione, al giorno d’oggi?

La profondità dietro le storie di vita di chi cambia ciò che considera casa per necessità non è spesso compresa e forse l’arte può farsi meglio mezzo di decodificazione di emozioni, paure e speranze.

E così ci si ritrova di fronte a due racconti che, nella verità delle parole, abbracciano lo spaesamento, la violenza e quel guizzo negli occhi di chi vuole farcela.

Al Teatro Sala Umberto va in scena fino al 25 Novembre “La Classe”, scritto da Vincenzo Manna e con la regia di Giuseppe Marini in un tipico impianto scolastico: un preside (Claudio Casadio), un giovane professore di storia, Albert (Andrea Paolotti) e sei studenti in una classe di recupero crediti (sei giovani attori bravissimi Brenno Placido, Edoardo Frullini, Valentina Carli, Haroun Fall, Cecilia D’Amico e Giulia Paoletti).

Ognuno dei ragazzi però ha una propria storia che si scontra (anche violentemente) e si incontra con quelle degli altri in una scuola fredda (scene di Alessandro Chiti), dove una stufa arrivata tardi accomuna un po’ nella mediocrità della vita, dopo aver fatto a botte per sopravvivere alla rabbia in una città non definita, ai confini con lo “Zoo”, il più grande campo profughi d’Europa.

Il professore Albert, che non incontra i favori di questi giovani difficili, multiculturali essi stessi nei fatti ma che nutrono quella paura del diverso sempre verso qualcuno, riesce a scardinare quelle corazze attraverso la ricerca su un Olocausto fin troppo vicino, quello dei profughi dello “Zoo”.

La musica incombente (a cura di Paolo Coletta) ed il gioco di luci forti (light designer Javier Delle Monache) accompagnano questa ricerca/scontro con la verità, l’insicurezza nella prevaricazione, il dolore nell’orrore del chiuso, l’odio nelle generalizzazioni: e la metafora delle galline, con le unghie ben piantate a terra, ma che se volessero potrebbero arrivare sulla luna, forse racchiude quella speranza di sguardo oltre i margini che resta nel petto di chi guarda questo spettacolo potente, a tratti ironico e così contemporaneo.

Invece, all’Altrove Teatro Studio (una bella nuova realtà teatrale in zona Cipro) è stato in scena in una tre giorni tutto sold out Marius Bizău con “Drumul – La Strada”, scritto e diretto da Lorenzo Di Matteo e con le musiche dal vivo di Daniele Ercoli: uno spettacolo che racconta intimamente la strada che Silviu Marius Bizău ha fatto dalla Romania all’Italia, dalla dittatura di Ceaușescu all’Accedemia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico.

Parte dai luoghi comuni, dal suo essere lo straniero cattivo in Italia nei ruoli che gli vengono affidati e poi dolcemente torna a raccontare da dove è venuto: un fagotto in braccio ad una mamma tenace che vuole sopravvivere alla lotteria del comunismo, quei sapori mancati di latte e cioccolato compensati dal miele nella camomilla, quel peso della grande incertezza dopo la fucilazione del 25 dicembre 1989. Trionfa nel suo racconto la figura di una madre, incontenibile sovietica, che affronta le violenze familiari e cerca un futuro, altrove: quella forza di chi arriva in Italia lasciandosi dietro Silviu e sua sorella Monika, passati di mano in mano tra conoscenti e parenti che gli preparavano gli spinaci con aglio e latte e le uova al tegamino, prima di poterli finalmente portare nella terra del sole dopo un lungo viaggio dall’amata Timișoara in pullman con Fantozzi a raccontare loro l’Italia.

Marius racconta Silviu senza mai cadere nella monotonia: un monologo che attraversa Paesi, paure, violenza e speranza con ironia e poesia (quella del verde e della libertà della campagna rumena e quella del teatro e di quella passione che gli nasce dentro), che affronta quell’integrazione di cui è stato protagonista una volta arrivato in Italia, in un esilarante primo giorno di scuola ed in quei silenzi di musica sospesi, quando si cerca di capire il rifiuto, la derisione dietro quelle insicurezze. E poi il sorriso e la gioia del sentirsi anche Italiano, in una commistione di percezioni, di parole, di lingue, di usanze e tradizioni, di vite e strade che si intersecano, in quel sentirsi Rumeno, Italiano e forse anche qualcos’altro: una terza nazionalità che racchiude tutto e che è in quegli occhi che non perdono mai la speranza.

Due spettacoli, insomma, che aiutano a sentire: a cercare dentro ognuno di noi il senso di quella paura, a confrontarci con storie che aprono al mondo, a scoprire la bellezza in quello sguardo oltre i margini ed i confini.

 

di Alessandra Carrillo, all rights reserved

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