Infodemia, colpa
dell’algoritmo?

Infodemia, i lettori
vittima dell'algoritmo

I cittadini sono ancora liberi di scegliere quali notizie leggere?

di Luca Molinari
di Redazione The Freak

Infodemia, colpa
dell’algoritmo?

Infodemia, i lettori
vittima dell'algoritmo

Infodemia, i lettori
vittima dell'algoritmo

di Luca Molinari
di Redazione The Freak
Infodemia

Infodemia, colpa
dell’algoritmo?

Infodemia, i lettori
vittima dell'algoritmo

I cittadini sono ancora liberi di scegliere quali notizie leggere?

di Redazione The Freak
di Luca Molinari

L’ennesima recrudescenza della pandemia che attraversa il globo da oramai due anni, porta con sé l’ennesima riedizione anche di un diverso fenomeno, che ha poco di scientifico o medico, ma molto di umano: la infodemia.

Che cos’è l’infodemia?

Si tratta di un fenomeno di cui, ammetto, ho sentito parlare per la prima volta proprio all’inizio di questa periodo (era il febbraio 2020, ma sembrano passati vent’anni), e che riguarda non solo il numero di informazioni disponibili su un certo argomento, ma anche la loro attendibilità ed il modo in cui le stesse vengono veicolate alla platea di lettori/ascoltatori/utenti/etc.

Per dirla con il dizionario Treccani, per infodemia si intende [la]: “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”.

Pochi giorni prima di Natale (nel corso della consueta “scrollatura” dello schermo del mio cellulare) ho contato sulla homepage di uno dei principali quotidiani italiani – ad esempio – una cosa come quindici/venti articoli di fila dedicati al tema del Covid-19 (dai vaccini alle restrizioni; dal green-pass ai no green-pass; dalla variante Omicron al modo di proteggersi durante le festività natalizie; etc.), dai quali era impossibile ricavare alcuna informazione certa, univoca e chiara sul tema.

Ecco. Non credo si tratti di un fenomeno totalmente nuovo (chi, come me, non è – anche se per poco – “nativo digitale” ricorda l’incessante martellamento che i mezzi di informazione erano comunque in grado di mettere in campo, anche prima della diffusione di internet e dei social media); tuttavia esso, oggi, raggiunge un livello nuovo, di totale pervasività.

Covid e non solo

Ciò non dipende (almeno credo) dalla natura delle informazioni che vengono circolate in “quantità eccessiva”, ma dal mezzo di comunicazione con il quale queste informazioni oggi riescono a raggiungere l’“utente” (perdonerete l’utilizzo di questa locuzione dal tono commerciale, ma rende bene l’idea).

La verità è che, anche al di là della infodemia “da Covid” (che, pure, ha oramai assunto dimensioni del tutto irrazionali e preoccupanti) nel nostro quotidiano siamo oramai sommersi (o sarebbe meglio dire: immersi) da una quantità abnorme di notizie ed informazioni, che circolano e ci giungono in modo del tutto caotico, incontrollato e totalizzante.

Questo, anzitutto, perché oramai le notizie e le informazioni circolano in modo quasi istantaneo, e trovano mezzi di comunicazione del tutto privi di filtro o di controllo (pensiamo alle “notizie” che intasano le homepage dei social network; quelle che giungono sull’onda di un tweet o di un video su Youtube o quelle condivise sotto un’immagine postata su Instagram), che ne costituiscono poderosa cassa di risonanza.

ll ruolo dei mezzi di informazione tradizionali

In questo marasma, è piuttosto evidente come i mezzi di informazione tradizionali (penso alle testate giornalistiche o alle redazioni dei canali televisivi di approfondimento) si siano da tempo arresi alla necessità di scendere in questo nuovo agone, dove – tuttavia – essi abdicano al proprio tradizionale ruolo di “mezzi” di informazione, limitandosi – piuttosto – a partecipare a tale cassa di risonanza (sovente direttamente con propri profili social), rilanciando a loro volta – anche qui in modo spesso caotico e privo di costrutto – notizie, informazioni o pseudo-tali, “pescate” qua e là in quello che una volta veniva chiamato l’“etere”.

Ecco quindi che, da una moltitudine di queste “pesche miracolose” si assiste al passivo diffondersi di notizie ed informazioni spesso prive di qualsiasi (ancorché) minimo vaglio di attendibilità e veridicità che vengono rilanciate, tel quel, da una impressionante moltitudine di siti di “informazione”, social network, testate giornalistiche online, etc.

ll clickbaiting

Quando queste notizie ed informazioni rientrano in quella congerie di news definibili da “colonna destra” (es. video di gatti; l’ultima trovata di qualche influencer; un evento controverso e/o divertente avvenuto dall’altra parte del globo), prolifera il fenomeno (a sua volta – e sempre a mio avviso – non innocuo) del c.d. “clickbaiting: notizie appositamente sottoposte al lettore (in una ubicazione e con una titolazione studiata appositamente) per attirare l’attenzione, in modo tale che questo “clicchi” sulla notizia, apra l’articolo (dal contenuto spesso più banale e deludente di quanto titolo ed immagine sulla home page facevano volutamente presagire) e faccia aumentare, così, le visualizzazioni di quel determinato sito internet.

Ma che succede se invece queste notizie ed informazioni sono importanti, riguardano la politica, una inchiesta giudiziaria, un grave fatto di attualità, un evento catastrofico?

Ecco, anche in queste ipotesi il “mezzo” di informazione appare essersi “appiattito” ad uno stile comunicativo inidoneo allo scopo (che sarebbe quello, appunto, di portare notizie ed informazioni alla attenzione dell’utente).

Anche qui, infatti, nella invincibile e totalizzante congerie di informazioni e notizie che ci circonda, anche notizie di rilievo vengono trasmesse in modo caotico, (spesso) privo di verifica e comunque con modalità poco trasparenti o intellegibili.

ll disorientamento dei lettori

Avete mai notato che spesso le notizie che leggiamo anche su primarie testate giornalistiche online sono poste, specie nella titolazione e nel seguente sommario che accompagna gli articoli  (il cui effettivo contenuto nella grande maggioranza dei casi neppure viene letto, perché riservato agli abbonati) in modo da contenere già in sé un giudizio di valore, un aggettivo, una indicazione (non richiesta) su quale sia l’opinione (asseritamente corretta) da assumere in merito a quel che legge, o leggerà?

Per non parlare, poi, di quell’ulteriore terribile fenomeno che porta le testate giornalistiche online (o alcune di queste, spesso quando si tratta di giornali “minori” – ma non per questo meno letti) ad impostare la impaginazione della propria pagina web, in modo tale che la stessa, oltre ai propri contenuti editoriali “suggerisca” all’utente una infinita elencazione di altre notizie, ed altri contenuti (spesso a pagamento) che, nella migliore delle ipotesi, disorientano il lettore.

E che dire dell’incredibile e talvolta grottesco abbinamento di notizie importanti e dall’alto disvalore (un omicidio, un attentato, una crisi politica) con notizie irrilevanti o da “colonna destra”? Un accostamento che, anche qui, disorienta il lettore e, spesso, finisce con lo sminuire il rilievo delle informazioni e/o notizie realmente importanti che vengono offerte in lettura, il tutto “appiattito” in un continuo e soffocante ammasso di notizie, articoli, immagini e contenuti.

Credo che ciascuno di noi possa avere a mente più di qualche esempio rispetto a quanto appena detto.

Queste poche righe sono ovviamente insufficienti anche solo ad iniziare l’approfondimento del fenomeno, purtuttavia consentono di individuare, almeno nei suoi tratti principali, uno dei principali vulnus della fenomeno infodemico nel quale (credo che su questo si possa essere d’accordo) siamo oramai completamente immersi. Altri ve ne sarebbero, ovviamente (pensiamo, ad esempio, all’irresistibile diffondersi di dati ed immagini personali del malcapitato protagonista della notizia “del giorno”, che si ritroverà “spiattellato” su centinaia di siti-web, social e testate on-line, con conseguenze che – sul web – potrebbero durare per sempre), ma meritano senz’altro un altro grado di approfondimento.

Dicevamo: chi controlla la notizia? Chi fornisce l’informazione?

L’origine delle informazioni

Se uno dei tratti caratterizzanti dell’infodemia è proprio la difficoltà o impossibilità di verificare accuratezza ed affidabilità delle informazioni (e ve ne è dimostrazione anche nelle varie declinazioni che, in concreto, la eccessiva circolazione di informazioni assume nel nostro quotidiano), ciò non di meno deve richiamare l’attenzione sul rovescio di quella medaglia: l’origine di quelle informazioni.

Ed in effetti, meno controlli ci sono, più dilagante ed incontrollabile è la circolazione delle informazioni, più incerta ne diventa la verifica dell’origine, con ogni conseguenza in punto di trasparenza dell’informazione.

Meno trasparente è l’informazione, più è facile dirottarla, mutarla e condizionarla, secondo schemi che sono ben più risalenti dell’odierno contesto tecnologico di riferimento. Schemi che, tuttavia, in un contesto ove molte delle notizie ed informazioni che giungono all’“utente” non sono filtrate neppure dai mezzi di informazione, ma giungono e “compaiono” senza filtro direttamente nella home page del proprio profilo social, diventano ancora meno intellegibili.

A tale problema se ne aggiunge un altro.

Chi decide a quali informazioni ho accesso?

E’ infatti vero che, oggi, la ricerca (attiva) di una informazione è enormemente facilitata dalle infinite potenzialità che internet mette a disposizione di chiunque abbia una connessione sufficientemente stabile e potente da sfruttarne appieno i mezzi.

Tuttavia vi è una informazione che giunge, viceversa, passivamente ad ogni utente, tramite i social network o l’informazione giornalistica online (spesso, come sopra accennato, sempre più “debitrice” di informazioni e notizie proprio dai primi). E’ a questo secondo tipo di informazione che, almeno personalmente, faccio riferimento quanto mi riferisco al fenomeno della “infodemia”.

Dato per assunto che sia impossibile che al singolo utente giungano tutte le notizie e tutte le informazioni disponibili in quel determinato momento nell’“etere” (o anche solo nel singolo sito internet o app al quale questi abbia fatto accesso), si deve porre il quesito su chi/che cosa stabilisca quali informazioni o notizie giungano o vengano trasmesse a quel singolo utente.

Non si tratta di un interrogativo meramente stilistico. L’accesso alla informazione è, d’altronde, principio di libertà che caratterizza gli ordinamenti (come il nostro, e come quelli occidentali in generale) c.d. a “democrazia pluralista”.

E’ proprio tramite l’accesso all’informazione che il cittadino (o l’utente?) forma il proprio convincimento, le proprie idee e le proprie opinioni su quanto lo circonda. In tal senso, può dirsi che l’accesso all’informazione è un momento essenziale del giuoco democratico, e come tale va tutelato in via prioritaria.

Ebbene, scendendo per un istante dalla “giostra infodemica” nella quale siamo quotidianamente immersi, ci si può rendere agilmente conto come le specifiche norme di tutela e regolamentazione della libertà di dare informazione e di quella di riceverla (libertà, quest’ultima, che impone ai mezzi di informazione specifici obblighi e responsabilità) risultano del tutto superate ed inattuabili nell’attuale contesto di riferimento.

La perdita dell’autodeterminazione

Tale de-regolamentazione de facto finisce con il lasciare il cittadino/utente (ma anche gli stessi mezzi di informazione) privo di tutela nei confronti di chi dà l’informazione, finendo con il ledere – in nuce – la stessa capacità di determinarsi in modo consapevole.

E infatti, al di là del problema – enorme – della attendibilità delle notizie e della opacità delle fonti, i sistemi di profilazione attualmente in uso nei social network e motori di ricerca che quotidianamente utilizziamo, “disegnano” attorno al singolo utente (o cittadino?) un profilo specifico, al quale vengono messe a disposizione solo un certo tipo di informazioni e notizie, provenienti da un certo tipo di fonti.

In altre parole, l’accesso all’informazione (se non altro sotto il profilo “passivo” di cui si è detto, che rappresenta – in un contesto infodemico – la gran parte dell’informazione che giunge al cittadino/utente) appare oggi vincolato alla “bolla” in cui l’algoritmo, di volta in volta, ci pone.

Che conseguenze ha tale “bolla” sulla capacità del cittadino/utente di determinarsi autonomamente? Che effetto ha, dunque, sulla libertà di scelta del cittadino/utente?

E’ tema importante, che – quando ci scontriamo con il marasma di notizie ed informazioni che ci circondano – deve ulteriormente rafforzare lo sforzo di lettura critica che già quotidianamente siamo chiamati a fare.

E’ la libertà. Bellezza.

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