In “Guatemala” con Sandro Outwo

di Redazione The Freak

In “Guatemala” con Sandro Outwo

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Guatemala Sandro Outwo

In “Guatemala” con Sandro Outwo

di Redazione The Freak

Guatemala” è il nuovo singolo di Sandro Outwo disponibile dallo scorso 29 maggio su tutte le principali piattaforme streaming per B.M.Records. Sandro Torres (classe 1989), in arte SANDRO OUTWO, viene da Polignano a Mare (Bari) e si avvicina al mondo del rap e dell’hip hop nei primi anni 2000. “Guatemala” è il primo brano estratto di “Consapevolessere”, il suo nuovo album: due le storie raccontate nel testo, la prima vissuta in prima persona, la seconda vissuta solo nella mente dell’artista. Il singolo è prodotto e interamente suonato da Stefano De Vivo, chitarrista del collettivo THINKABOUTIT, la cui scelta sonora, verniciata di colorazioni soul calde, trova evidente complicità con il rap delicato di Sandro Outwo. Mix e Master sono a cura di Gianluca Mav Delli Rociol. L’artwork della copertina è stato curato da Domenico Scagliusi.

Interessati da questo nuovo progetto, abbiamo deciso parlarne meglio proprio con Sandro.

– Ciao Sandro, innanzitutto grazie della disponibilità. Ogni volta che conosco un nuovo artista penso sia sempre fondamentale capire cosa c’è dietro al nome d’arte, credo dia anche una chiave di lettura importante per capire meglio i vari brani. Spiegaci cosa c’è dietro al tuo.

Grazie a voi per l’opportunità! Outwo è la versione italianizzata della formula chimica dell’ossigeno pronunciata in inglese: O2. All’inizio, lo scrivevo proprio così, ma le storpiature erano proprio dietro l’angolo. Oddio: non che oggi la situazione sia cambiata (rido molto). Outwo, però, è il protagonista del film Waist Deep, in Italia tradotto in maniera orrenda in Strade Dannate che aveva, tra i protagonisti, Tyrese Gibson, che è anche un discreto cantante R&B, Meagan Good e The Game. Quest’ultimo rapiva il figlio di O2, uscito di galera da poco, e chiedeva un enorme riscatto. Per riprenderselo, O2 cominciava a rapinare banche per racimolare un po’ di dollari. Ecco: non c’è nulla di più distante da me del mio nome, però l’ho scelto per l’amore incondizionato di un padre verso un figlio. Qualche anno dopo, ho deciso di aggiungere il mio nome di battesimo per renderlo meno cattivo e incazzato e per farlo assomigliare un po’ di più, almeno concettualmente, all’ossigeno, che è quello di cui necessitiamo per vivere.

– Hai mai avuto, o magari hai ancora, un artista di riferimento, a cui ti sei ispirato per il tuo percorso artistico?

Siamo quello che ascoltiamo. Da sempre e per sempre. Ho ascoltato tantissime cose diverse tra loro prima di capire effettivamente quale fosse il percorso musicale più giusto per me. Non cito Neffa, solo perché per me è Gesù e, in quanto tale, lo amo senza mai metterlo in discussione, ma cito il mio artista preferito in assoluto dal 2008 ad oggi, che risponde al nome di Ghemon.

– Ascoltando Guatemala mi verrebbe da definire la musica di Sandro Outwo come conscious rap. Sei d’accordo?

Sì, ma se guardiamo il tutto da una prospettiva diversa dalla “solita” etichetta di conscious rap. Ascoltandomi, le influenze del sopracitato Ghemon, di Common, dei The Foreign Exchange e di moltissimi artisti come Sade, D’Angelo e Anderson Paak si sentono lontane un miglio. Però, a differenza della definizione usuale del conscious, che si attribuisce a quel rap che parla di temi sociali, io rappo e canto di me, delle mie storie, di quello che vivo e delle emozioni che provo. La parola “conscious”, in inglese, significa proprio consapevole. E sta per uscire un disco che parla della mia consapevolezza ritrovata. Quindi sì: faccio conscious rap a modo mio (e già immagino i puristi del genere che storcono il naso davanti a questa licenza poetica).

– Scappare in Guatemala come metafora di una fuga dalla realtà. Perchè proprio il Guatemala? E perchè questa esigenza di fuggire dalla realtà?

In realtà, non è una fuga, ma un’evasione momentanea da una realtà che non mi sta per nulla stretta. Il mio Guatemala è un paradiso lontano dal paradiso che sono “costretto” a vivere ogni giorno. Non credo nella felicità assoluta, ma nella tranquillità e nella serenità che ho riacquistato con molta fatica negli ultimi 2 anni. Credo, piuttosto, che la nostra vita sia piena di piccoli momenti di felicità che raccogliamo ogni giorno e che ci portano serotonina al cervello: dopo qualche minuto o, nel migliore dei casi, dopo qualche ora, tutto torna nel suo stato di quiete. Il mio Guatemala è il posto in cui mi rifugio quando ho bisogno di serotonina costante e di non dover tornare alla tranquillità, ma ho bisogno di essere felice per un po’. L’ossimoro, però, è molto bello: il Guatemala esiste davvero. Il mio Guatemala forse. Esiste, però, nella mia testa e nella testa di tutti quelli che ci si immedesimano, quindi va bene così. Il titolo deriva da un aneddoto molto divertente. Mio padre, a Polignano a mare, ha un bar ed è famoso sia per essere un personaggio, sia per il suo gelato alla patata che è ha, praticamente, la mia età: 31 anni. Un giorno, una troupe di una TV australiana, gira un servizio su questo particolare gelato. Un artigiano polignanese, qualche mese dopo, telefona a mio padre dicendogli: “Peppino, ho visto il tuo servizio sulla TV australiana. Ma io sono in Guatemala”. Ecco: Guatemala perché ho sempre pensato che fosse un posto troppo lontano da raggiungere e che avesse una dimensione tutta sua.

– Il tuo nuovo progetto prenderà il nome di “Consapevolessere”. Spiegaci come nasce questo interessante neologismo e, più in generale, questa nuova avventura.

Inizialmente, avrei voluto chiamare il mio album “So Quanto Valgo, So Quanto Do, So chi Sono”, autocitazione che ripeto molto spesso soprattutto al genere femminile e che ho usato nella seconda strofa della title track. Il titolo, però, era di una lunghezza infinita. Decisi, quindi, di trovare qualcosa che spiegasse meglio il messaggio che volevo passasse: sono caduto, mi sono rialzato e sono pronto a raccontarvi la storia delle mie cicatrici. Come spesso mi accade, mentre facevo una doccia, ebbi l’illuminazione sulla consapevolezza e sull’essere consapevole. Da lì, decisi di unire le parole, coniando questo nuovo neologismo che, magari, l’accademia della crusca inserirà nei vocabolari tra 30 anni. È il giusto seguito de L’Ultimo Io, il mio primo album, che vedeva 4 me in copertina e che spiegava il mio cambiamento. Ho usato anche una parola per ogni titolo dei brani perché volevo che la gente capisse subito di cosa volessi parlare, lasciando un’impronta che spero sia indelebile. O, perlomeno, rimanga nella testa dell’ascoltatore per un po’, magari dopo essersi rivisto: racconto la mia storia, che non è molto diversa da quella di altri ragazzi della mia età. Le parole (e le tracce dell’album) sono esattamente 9, come il numero che mi perseguita e come i mesi di gestazione. A differenza del mio primo lavoro, “Consapevolessere” è stato scritto in meno di un anno, che rapportato ai 4 che ci avevo messo per il primo è un bel risultato. Il periodo di scrittura non ha fatto altro che confermare la mia tesi: scrivo se sono tranquillo e non se sto male. Infine, “L’Ultimo Io” ha cambiato il mio modo di intendere la musica fatta da me: lì ero stato molto impulsivo e molto lento. In “Consapevolessere”, però, sono stato più tranquillo, soprattutto nella scelta delle strumentali, e più diretto e veloce con la scrittura, segno di un’ispirazione che non mi ha abbandonato quasi per nulla tra marzo 2019 e gennaio 2020.

– La collaborazione dei tuoi sogni?

Bella domanda. C’è una parte di me che direbbe subito Ghemon, con cui ho un ottimo rapporto d’amicizia da più di 10 anni, ma forse non reggerei il confronto, quindi passo. Rispondo con il nome di un artista che amo alla follia da prima che diventasse quello che è adesso: Drake. Non dovesse essere disponibile per impegni vari, mi accontenterei anche di Anderson.Paak e 6lack, che sono due degli artisti che ho ascoltato di più negli ultimi 3 anni.

– Questo maledetto Coronavirus ha devastato l’industria musicale e, più in generale, il mondo dello spettacolo: album rinviati, concerti cancellati o spostati a data da destinarsi, stesso discorso per rappresentazioni teatrali e film. Da artista, che suggerimento ti sentiresti di dare a chi prende le decisioni che riguardano voi protagonisti?

L’unica cosa che mi sento di dire, in un periodo così delicato, è di rispettare il lavoro degli artisti, troppo spesso messo in secondo piano o non rispettato come un qualsiasi lavoro di ufficio o manuale. Chi fa arte ha il diritto di esprimere se stesso e il diritto di poter lavorare. Leggevo un’eventuale proposta per i prossimi concerti che prevederebbe la riduzione in modo consistente del numero degli spettatori, oltre alle già note misure di sicurezza che prevedono l’utilizzo di mascherine e la misurazione della temperatura. Sarebbe un primo passo importante, ma sarebbe ancora troppo poco. E la voglia di tornare a godersi un concerto dal vivo (e di fare un concerto dal vivo) è tanta e si tiene a fatica.

di Federico De Giorgi, all rights reserved

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