In fuga per tre dal golpe che non c’è

di Lilith

In fuga per tre dal golpe che non c’è

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In fuga per tre dal golpe che non c’è

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In occasione della presentazione – alla Mostra internazionale del cinema di Roma – del film distribuito da Cinecittà  Luce “I primi della lista”, che uscirà  nelle sale italiane l’11 novembre, The Freak ha incontrato Roan Johnson e i tre protagositi della sua opera prima: un insolito Claudio Santamaria con gli esordienti Paolo Cioni e Francesco Turbanti. La pellicola racconta una storia vera, successa il 1 giugno 1970, un momento in cui l’Italia si trova a un bivio tra le utopie del ’68 e una stagione di tensione sempre più alta.

Intervista a cura di Lilith Fiorillo

Come è nata l’idea?

Roan Johnson: In realtà  è stata la storia che ha scelto me. In parte già  la conoscevo perché a Pisa è una leggenda metropolitana che si racconta la sera se sei abbastanza brillo. Poi quattro anni fa mi sono imbattuto in un breve racconto di Renzo Lulli, ai tempi appena più che maggiorenne ed ora sessantenne. A quel punto ho pensato di farne un documentario perché ero convinto che il soggetto fosse troppo strano e buffo per farne un film.. e poi dai, non c’era una donna in tutta la vicenda! Ma I produttori mi hanno dato fiducia e da lì ci siamo messi a lavorare alla sceneggiatura.

Come è stato raccontare un periodo in cui tu ancora non eri nato?

Roan Johnson: Il riferimento agli anni ’70 per me è stato naturale, in quanto ho sempre studiato quel momento e ho cercato di raccontarlo filtrandolo con l’esperienza vissuta nel movimento studentesco anni ’90, il cosiddetto periodo della Pantera.

Quanto c’è di romanzato nella vicenda?

Roan Johnson: L’unico cambiamento evidente riguarda l’incontro con i militari. Nella realtà  infatti questi andavano verso Roma per la parata del 2 Giugno, mentre i ragazzi salivano. Abbiamo deciso di girare la scena in autogrill per due motivi: impossibile per quesitoni di budget fare la colonna militare in autostrada e così, drammaturgicamente, era molto più forte il materializzarsi della loro paura a contatto con i militari. Il Gismondi poi s’è un po’ arrabbiato ( ride) perché la carta d’identità  l’aveva lui e non il Lulli, ma soprattutto perché non abbiamo utilizzato la sua 500 perché non aveva il bagagliaio e per fare le riprese ci serviva per metterci dentro l’operatore. Così ho scelto la A112 che mi sembrava perfetta poiché non abusata nel cinema e con una linea che mi piace molto, anche se per il direttore della fotografia e il fonico è stato un po’ un inferno stare rinchiusi nel bagagliaio di quell’automobilina.

Approposito di luoghi e particolari: il carcere?

Roan Johnson: Quella è la parte che preferisco di più, perché oltre ad essere un punto fondamentale della storia, in cui c’è una vera presa di coscienza,  girare in quella sorta di teatro di posa ha facilitato le riprese, consentendoci di  ripetere e perfezionare le sequenze. Un vantaggio  quasi assente quando si gira all’aperto.

Claudio, come hai preso questo ruolo e questo genere di commedia?

Claudio Santamaria: All’inizio non avevo molta voglia di fare una commedia ma dopo, un incontro con i rispettivi agenti e una giornata di prova sulle scene ho capito subito che ci saremmo presi. Il Masi poi l’ho conosciuto solo l’ultimo giorno di set, nella scena in cui siamo insieme. Avevo ascoltato le canzoni più famose e guardato qualche video-intervista. Era comunque molto materiale e poi non dovevamo fare un film biografico.

A proposito di inerviste, in una recente, Pino Masi ha definito la differenza tra un cantautore – qualcuno che ti scegli- e un cantastorie- qulcuno che capita. Dopo aver interpretato diversi personaggi musicali, come Rino Gaetano, hai colto questa sfumatura?

Claudio Santamaria: Certo, è qualcosa di evidente: basta anche guardarsi intorno e qui faccio riferimento al lavoro di Andrea Rivera. In ogni caso la musica è una parte importante del film, ma non il tema fondamentale.

Come te la sei cavata con il pisano?

Claudio Santamaria: Prima di capire se potevo fare il film o no, Roan mi ha mandato dei file con il pisano registrato con la sua voce (ride) e poi se sbagliavo mi correggevano gli altri.

Come si potrebbe classificare la tua opera prima, un road movie, una commedia?

Roan Johnson: È una commedia, ma non in tutti i sensi, ci sono molte oscillazioni nel grottesco. Si gioca sull’ironia, ma un’ironia vista da fuori, che i personaggi non vivono. Infatti non sono smaliziati e il loro è un vero percorso di formazione.

Perché avete scelto la canzone di De André?

Roan Johnson: Alla fine ci serviva una metafora che raccontasse quello che avrebbe vissuto di lì a poco quella generazione e nello specifico i tre protagonisti: una sconfitta. La canzone di Fabrizio De André incarna quel senso di sconfitta, di chi è rimasto ai margini, ma lo fa con un certo orgoglio. In realtà  la vera fuga è continuata nella loro vita: Lulli vive in Marocco, Gismondi è tornato a Pisa da pochi anni, mentre Masi è un po’ ai margini della società  normale. Poi bisogna ricordare che Masi ha suonato con De André.

La fuga può essere oggi come allora uno strumento di protesta? E approposito di protesta, cosa ne pensi di quello che è successo a Roma il 15 Ottobre?

Roan Johnson: Allora la fuga poteva essere un’alternativa valida, compiuta a fronte di un nemico reale. Oggi sarebbe solo una fuga dalle sabbie mobili. Sulla protesta, beh, io il 15 ero in piazza ed ho assistito agli scontri. Mi è sembrato tutto assurdo, una sconfitta. In una dinamica anni ’70, qualcuno avrebbe portato la protesta verso i palazzi del potere. Invece c’è stato lo scontro fine a se stesso, è stata una sconfitta ed è rimasta solo l’inerzia.

La pagina facebook del film:

http://www.facebook.com/pages/I-Primi-della-Lista-il-Film/162406123848312

Guarda il trailer e la galleria fotografica:

 

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