ILLUSIONE E RIVOLUZIONE: LENÒR AL TEATRO TORDINONA

di Aretina Bellizzi

ILLUSIONE E RIVOLUZIONE: LENÒR AL TEATRO TORDINONA

di Aretina Bellizzi

ILLUSIONE E RIVOLUZIONE: LENÒR AL TEATRO TORDINONA

di Aretina Bellizzi

Donna Eleonora deve morire. Così gridava il popolo napoletano quel giorno di giugno. L’anno era il 1799, l’anno della speranza e della sua improvvisa e repentina dissoluzione. Gli intellettuali partenopei si erano illusi di poter ripetere a Napoli quello che era accaduto in America e in Francia anni prima: credevano di poter fare la rivoluzione. Fu così che le migliori menti del meridione fondarono una Repubblica la cui vita fu breve ma intensa. Tra questi una donna si distinse per coraggio, intelletto e determinazione: era Eleonora Fonseca Pimentel.

Portoghese d’origine, nata a Roma, ancora piccola si era trasferita a Napoli. Era cresciuta e progressivamente era cresciuto in lei l’amore per quella città, per i suoi contrasti, per la folla festante e ignorante che sempre riempiva le piazze e i vicoli di voci e di vita. Eleonora più di altri suoi compagni rivoluzionari aveva capito che non poteva esserci alcun vero cambiamento finché le masse rimanevano preda dei bisogni, finché era la fame a preoccuparle, prima dell’istruzione. Aveva intuito che era necessario tentare di ricucire il divario tra massa ed élite intellettuale e con questa consapevolezza si era dedicata anima e corpo alla causa della rivoluzione e al giornale che lei stessa aveva fondato, il Monitore Napoletano. Ma il popolo per il quale tanto si era prodigata non esitava, ora che la reazione aveva spento l’incanto della rivoluzione, a volerla vedere morta.

Ed è in questo giorno fatale che incontriamo Lenòr al teatro Tordinona. Con un accorato e intenso monologo, Nunzia Antonino, sola sulla scena, dà corpo e voce alla Pimentel, guidata dalla sapiente perché essenziale regia di Carlo Bruni. Le luci, aumentando e diminuendo d’intensità, accentuano il pathos quando serve. I momenti cruciali sono segnati dal ritorno insistente delle note dell’andate con moto di Schubert op. 100 nella versione che Kubrik ha scelto come tema per Barry Lyndon. Tutto concorre a rendere l’atmosfera intima di quel teatro, l’atmosfera di un incontro ravvicinato con una persona, più che con un personaggio. Con una donna che si racconta nel giorno in cui deve imparare a morire per disimparare a servire. Quando lo spettacolo si apre, Eleonora ci annuncia infatti che presto finirà impiccata insieme ad altri giacobini napoletani davanti ad una folla festante e assetata di sangue. Non le resta allora che ricordare prima di tutto a sé stessa chi è stata, come è arrivata fino a lì, in nome di quali ideali ha orientato la sua bussola, quali stelle l’hanno guidata nel cammino:

“Sono nata il 13 gennaio 1752. Sotto il segno del Capricorno. Credo nell’influsso delle stelle sul destino delle persone. Sono state le stelle a suggerirmi: continua, va avanti. E io, sin da piccola, sono stata curiosa, testarda, perseverante: pronta a prendere tempo, per poi esplodere all’improvviso. Da ragazza avevo due occhi di fuoco, ero sincera, fervida, non capivo il cinismo, volevo che le cose migliorassero, credevo che potessero migliorare, e non solo per pochi. Ero disposta a rinunciare ai miei privilegi. Forse ero ingenua. Ho combattuto.”

Terminato lo spettacolo, ci alziamo convinti che non tutto è stato vano, che anche il resto di niente è qualcosa: è la speranza che ha animato Eleonora Fonseca Pimentel mentre moriva, che ha illuminato i suoi occhi anche mentre li chiudeva.

In scena al Teatro Tordinona, Sala Pirandello (via degli Acquasparta , 16, Roma), dal 14 al 26 Febbraio, ore 21:00.

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