Il sovranismo
è finito?

Il tramonto del sovranismo?
Analisi post voto

Salvini e Meloni sono al capolinea?
E qual è la prospettiva da seguire per il centrosinistra?

di Pierluigi Smaldone
di Redazione The Freak

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è finito?

Il tramonto del sovranismo?
Analisi post voto

Il tramonto del sovranismo?
Analisi post voto

di Pierluigi Smaldone
di Redazione The Freak
Voto

Il sovranismo
è finito?

Il tramonto del sovranismo?
Analisi post voto

Salvini e Meloni sono al capolinea?
E qual è la prospettiva da seguire per il centrosinistra?

di Redazione The Freak
di Pierluigi Smaldone

Il voto ha rappresentato senza dubbio un banco di prova per un’Italia che si sta lentamente trascinando fuori da una crisi pandemica a tratti fantascientifica. Un’Italia provata ma al tempo stesso desiderosa di guardare avanti ha provato ad esprimere se stessa nella sua più autentica e preziosa prerogativa quale è il voto delle elezioni amministrative. Uno spoglio a cui ha fatto da cornice il “lunedì nero dei social”. Sette ore di pausa da quella sovrabbondanza di comunicazione in cui siamo immersi e da cui difficilmente riusciamo ad affrancarci che, però, ci hanno consentito di ritrovare il gusto per rispolverare una vecchia usanza.

Riflettere sui risultati, arrovellarsi in (in)utili tentativi di individuarne le cause o prevederne gli effetti. Una sana analisi del voto (così si usava chiamarla quale appuntamento fisso presso le sezioni dei partiti tradizionali) è quello che ci vuole.

Partendo da un dato che appare inconfutabile, le coalizioni di centro-sinistra, nella loro proverbiale e mutevole composizione sembrano poter cantare vittoria. Ovviamente per quanto ciò possa valere o essere utile. Un mondo tradizionalmente multiforme e frammentato, capace di estendersi dai ravveduti e più razionali ex grillini, ai rampanti “azionisti” con il loro piglio aziendalistico, sembra aver trovato la quadra. O, quantomeno, è risultato, nonostante tutto, assai più convincente agli occhi di un elettorato che non credo più allo sgangherato tandem Salvini-Meloni.

Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, l’Italia post-pandemia sembra aver mal tollerato l’atteggiamento schizofrenico e lo sciacallaggio quotidianamente esercitato dai rampanti leader della destra italica. Ricordate la Giorgia nazionale partita ardente sostenitrice dell’obbligo vaccinale, ritrovatasi custode delle libertà costituzionali, minacciate da un’iniezione, solo pochi mesi dopo?

Per non parlare dell’altalenante Matteo, pronto a contestare qualsiasi provvedimento dell’esecutivo emergenziale per poi finire al Governo a braccetto con quelli che fino al giorno prima aveva dipinto come dei mostri da film horror (ndr Lamorgese e Speranza). Il deficit di credibilità conquistato con impegno in questi mesi non avrebbe potututo portare a risultati diversi. In fin dei conti, l’Italia che ha osannato il Salvini pronto ad arringare folle urlanti, aveva sperato di potersi liberare in un solo colpo delle due categorie di cattivi del nostro tempo: i burocrati europei e i migranti. Il tutto per poi ritrovarsi candidamente la Lega nel più europeista dei Governi della storia repubblicana. E il punto è proprio questo: quegli elettori di cui obiettivamente non condivido la linea ma di cui inevitabilmente comprendo le paure e la rabbia, non meritavano di essere delusi e presi in giro.

Non lo meritavano come non lo merita nessun cittadino italiano o di qualsiasi altro stato, chiamato ad esercitare la propria sovranità in nome di principi che rappresentano il vero fiore all’occhiello della cultura occidentale moderna. Non mi meraviglierei se vedessi a breve la competente e indubbiamente fattiva classe dirigente leghista veneta o lombarda dimostrare la propria insofferenza abdicando al “malpancismo” salviniano in nome del ben più pragmatico approccio moderato alla Giorgetti

Sul versante opposto, però, un punto deve essere ben chiaro: al fine di evitare un’altra delle numerose vittorie di Pirro a cui la sinistra italiana degli ultimi decenni ci ha tristemente abituato, non si potrà ignorare ancora a lungo il grido d’aiuto di un Paese che, seppur stanco delle effimere soluzioni degli sciamani, dimostra un improcrastinabile bisogno di rinnovamento. Se non si ristabiliscono in maniera chiara e seria gli equilibri interni al centro sinistra, il cammino non sarà lungo.

Un centrosinistra che non potrà prescindere dal sostegno strutturale, non più saltuario dell’area razionale e lucida del M5S, ma, al tempo stesso, non potrà ignorare il vento di cambiamento a cui aspira un tessuto produttivo che si è fidato ciecamente della competenza di Calenda. Ovviamente con la speranza che il tutto non si esaurisca in una rottamazione cieca ed aut celebrativa di renziana memoria

Se la spinta vincente che viene dai territori sarà interpretata con maturità ed autocritica dalle segreterie di partito questa speranza non sarà vana. E solo allora si potrà davvero gridare alla vittoria, attribuendo un vero significato di respiro nazionale ai traguardi raggiunti con fatica nei macro e microcosmi degli eroici amministratori locali.

A cura di Pierluigi Smaldone, Avvocato e consigliere comunale del centrosinistra a Potenza

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