Il ritorno di Suspiria

di Gianluca D’Alessandro

Il ritorno di Suspiria

di Gianluca D’Alessandro

Il ritorno di Suspiria

di Gianluca D’Alessandro

In un periodo cinematografico caratterizzato fortemente da remake, sequel e reboot, l’idea di replicare Suspiria, capolavoro di Dario Argento, sembrava una follia.

Guadagnino conscio dell’impossibilità e dell’inutilità di riportare Suspiria al cinema con poche differenze rispetto al film del 1977, ha realizzato un’opera completamente diversa per scrittura, toni e messa in scena. Se perciò avete un po’ la puzza sotto il naso su questo remake (può succedere eh) potete andare in sala tranquilli, perché riconoscerete ben poco della pellicola di Argento, a partire dal modo opposto di approcciarsi al genere. Nicolas Winding Refn (Drive, The Neon Demon e molto altro) ha definito l’originale film del ’77 come “cocaine movie definitivo”, e mai definizione fu più calzante, in ragione della bellezza di scrittura ed estetica di un film folle che sembra durare un solo istante. Quest’ultima creatura partorita dal regista di Chiamami col tuo nome, invece, sovverte l’impianto argentiano e amplia, approfondisce, ridefinisce, ciò che conoscevamo di Suspiria.

Fatta questa doverosa premessa, iniziamo con l’analisi dura e pura.

1977, Berlino. Divisa in sei atti più l’epilogo, siamo catapultati nella pellicola in una fortissima crisi interna ed esterna al microcosmo costruito da Guadagnino. Fuori le mura della scuola di danza le azioni terroristiche della RAF (gruppo terroristico di estrema sinistra) scuotono l’opinione pubblica, mentre all’interno c’è una riorganizzazione dovuta ad una leadership debole e prossima alla disfatta. Susie Bannion (Dakota Johnson) arriva dall’Ohio per entrare nella compagnia e si accorge presto del subbuglio generale; la gerarchia stregonesca aspira al cambiamento e forse la nuova ballerina arrivata dall’America potrebbe essere la chiave di tutto.

Se c’è un talento meraviglioso che Guadagnino possiede, raro nel cinema italiano contemporaneo, è esprimere attraverso il peso dei corpi, l’erotismo. In Chiamami col tuo nome, Elio e Oliver erano due poli attrattivi che ti trasmettevano la voglia e la dolcezza del toccarsi; in Suspiria, invece, il talento in questione è finalizzato ad un maggiore coinvolgimento nei momenti di danza e d’incantesimo, dove la fisicità delle ballerine produce effetti di puro orrore. Quest’ultimo tuttavia non sovrasta il film, il quale ha anzi pochissime scene di terrore puro (pur avendo una durata notevole); questa “mancanza” comunque non affossa il prodotto, che resta dunque inquietante e tenebroso per tutto il minutaggio.

Quando non si danza, si assiste all’indagine di uno psichiatra che cerca di svelare il mistero tenuto nascosto dalla compagnia (alcune sparizioni hanno seminato il dubbio su quel luogo). E forse qui, a nostro parere, potrebbe rinvenirsi la nota dolente del film: il ritmo della narrazione si spezza perchè la nostra curiosità si concentra su ciò che accade all’interno della scuola. All’interno di essa ci sono due fazioni, chi vota per Helena Markos e chi per Madame Blanc: divisione e rinascita saranno due tematiche molto importanti per il film che è fin da subito “molto politico”. La linea matriarcale che sembrava perfetta probabilmente non lo è più e una rivoluzione non può che essere il risultato finale, dove l’impostore sarà smascherato e sostituito da un essere terrificante che speriamo di poter rivedere in un sequel, perché Suspiria deve diventare saga.

Noi ci speriamo almeno.

di Gianluca D’Alessandroall rights reserved

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati