Afrodite era nella Grecia Antica la dea della bellezza e dell’amore.
E proprio la bellezza e l’amore vengono evocati ascoltando il quarto album di Antonio Dimartino, cantautore siciliano classe 1982.
Quattro anni sono tanti nella vita di un artista, ancora di più nella scena musicale attuale in cui è fondamentale sfornare continuamente nuovi singoli, adattare il proprio genere e svolgere infiniti tour per cercare di rimanere sulla cresta dell’onda.
Quattro anni sono quelli passati da “Un Paese Ci Vuole”, e si sentono eccome.

Dimartino si è evoluto, è maturato facendo proprio il successo di Brunori Sas che circa 2 anni fa mostrava come in Italia ci sia ancora spazio per nuovi cantautori.
Ha osservato da lontano l’esplosione del fenomeno indie TheGiornalisti e del loro suono quasi 70s in Completamente Sold Out.
Quell’album fu lo spartiacque musicale/commerciale della band di Tommaso Paradiso, grazie ad un operazione sonora di “svecchiamento-invecchiandosi” fortemente voluta dal produttore Cantaluppi.
E con una sorta di tocco alla Re Mida, il produttore riesce a ripetere la formula con Afrodite portando sul mercato un fantastico mix tra sintetizzatori “old-school” alla Battiato/Battisti e il cantato-urlato di nuove leve come Brunori o, appunto, Dimartino.
Dalla descrizione sembrerebbe una sorta di all-in quindi sicuramente vi starete domandando : ha funzionato?
La risposta (azzardata a Febbraio) è che Afrodite sarà in molte delle Top 10 annuali a Dicembre 2019.
Il prodotto è azzeccato da ogni punto di vista, dalla scaletta ai singoli brani, tanto da poter esser ascoltato sia tutto d’un fiato che con il “modello Spotify”.
Personalmente l’unico appunto da fare è sulla copertina, che ho trovato leggermente kitsch anche se in linea col lato più psichedelico degli anni 70.
Fortunatamente anche nel caso del packaging di un album vale il concetto per cui la vera bellezza va ricercata, assaporata.
Un concetto che appunto ci ricollega alla divinità di un titolo scelto sia per questo motivo, che per un evento fondamentale come la venuta al mondo di una figlia.
Come racconta il cantante, infatti, dopo la sua nascita è uscito dall’ospedale a riordinare le emozioni. E in quel momento si è accorto della presenza di un castello nella nebbia del Monte Erice sovrastante: il castello di Venere, costruito dove un tempo si trovava il tempio di Afrodite, un nome che evoca nel cantante a suo dire una forza “antica/psichedelica”.
Questa considerazione ha portato Dimartino a pensare a come sarebbe il mondo se “Nelle città ci fossero Statue di Afrodite invece che di Padre Pio, se i bambini fossero stati educati al culto della bellezza”. Al culto del godersi le cose ed analizzarle a fondo per capirne il vero significato. Come si nota già dal titolo le tematiche dell’album mischiano quindi i ricordi personali con discorsi universali, come il rapporto tra quotidianità e amore.

In tutto questo però c’è un altro grande protagonista: Palermo. Da un lato pezzi come “Daniela balla la samba” o “Pesce d’aprile” sono ispirati ad episodi ed immagini quasi cinematografiche della vita di periferia in Sicilia, dall’altro “Ci diamo un bacio” (pezzo preferito dell’autore) è un vero e proprio canto sulla/alla città.
Dimartino in varie interviste descrive Palermo, ed i siciliani , come un continuo mix tra amore e odio, come un luogo dove ogni giorno si può notare un integrazione tra sentimenti e culture contrapposte.
Da un lato abbiamo quindi la bellezza della quotidianità che si può trovare in piazze, bar o bingo ed è presente in brani come “La luna e il bingo”; dall’altro il cantante è quasi fiero nel descrivere come la città stia cambiando riprendendo il proprio ruolo di “calderone” di popoli, ceti sociali e religioni differenti nonostante continui a fronteggiare difficoltà politiche/violenze.
Palermo viene quasi vista come un sinonimo dell’uomo di oggi, che vive in un tempo in cui ci “Sono giorni buoni, fatti di ore crudeli”.
Ovviamente la nascita della figlia ha anche indirettamente contribuito alle nuove sonorità. In un aneddoto Dimartino racconta infatti dei suoi dubbi nella direzione musicale da intraprendere dopo i precedenti dischi “acustici”, della enorme quantità di brani ispirati dal momento emotivo che non erano ancora stati definiti musicalmente.
Grazie ad Instagram e Spotify è venuto a conoscenza della playlist “Cantaloop”, in cui Cantaluppi mischiava generi totalmente differenti (dalla classica al cantautorato), ma che hanno spinto Dimartino a provare queste nuove sonorità ispirate alla musica autoriale/psichedelica di Battisti-Battiato-Gaetano.
Il risultato è un grandissimo album pop, bello come la Dea del titolo.
1. “Giorni Buoni” = “Balliamo sotto i neon , vicino a una spiaggia. Tu Ascolti i Pixies, mentre io scrivo canzoni leggere”. Una delle prime frasi dell’album e già abbiamo questo mix tra nuova e vecchia scuola. Potrebbe tranquillamente essere un mash up tra le lyrics di Vasco Brondi, lo stile vocale di Gaetano e i suoni di Battisti. Il tutto però, cantato da Dimartino.
Tematicamente è un esempio della contrapposizione quotidiano/universale dell’album.
2. “Due Personaggi” = Qui andiamo nel campo delle ballad indie italiane. “Siamo due personaggi in cerca d’amore, ma viviamo nel dramma di una vita normale”. Dimartino semi-cita Pirandello, mostrando ancora la contrapposizione tra qualcosa di forte come l’amore e le difficoltà/malinconie della vita quotidiana della classe media, che quasi non ha tempo per amare essendo sopraffatta da altri problemi più “terreni”. Nel finale però l’amore è talmente forte che ci “ritroviamo sempre, sempre, sempre”.
3. “Cuoreintero” = Canzone più rock e commerciale dell’album, che chiude il bellissimo trittico iniziale di Afrodite. Come dichiarato dallo stesso Dimartino la canzone parla dell’importanza della solitudine oggi, della difficoltà che le persone hanno a stare soli e bene con se stessi.
“Forse dovrei ripartire da zero per amarmi da solo”.
4. “Pesce d’aprile” = Un pezzo che ancora narra di Palermo, e di un’episodio osservato da Dimartino. “Pesce d’aprile c’è un terrorista in cortile. Un autobomba alla scuola, Entriamo in seconda ora o rischiamo di morire”. E’ evidente che il cantante abbia assistito ad un “falso allarme” di fronte ad una scuola, e ciò gli ha fatto capire delle difficoltà e le paure che ancora sono presenti nella città siciliana, in cui il senso di “tragedia” fa quasi parte della quotidianità.
5. “Feste comandate” = La canzone più vicina al vecchio Dimartino e che personalmente trovo leggermente più debole del resto dell’album dal punto di vista musicale. Il testo invece è ancora su livelli alti, potendo riferirsi sia a come sia cambiata la vita con la nascita della figlia, sia alla difficoltà di fronteggiare una nuova tormentata storia d’amore: “Io tutto questo amore sono sincero no, non l’avevo previsto”.
6. “Ci diamo un bacio” = Dimartino canta una Palermo psichedelica. Una canzone che oscilla tra immagini quotidiane (“Palloni bucati sui balconi di via Roma”) e visioni oniriche ( “E c’è una ragazza che ha i capelli del colore del cielo”), sia musicalmente che testualmente. Pezzo preferito del cantante, lo ritengo anche io una delle prove più riuscite. “Ci diamo un bacio prima di farci male” è forse la frase simbolo delle tematiche dell’album, dei contrasti tra amore e odio, da un lato dei Siciliani con la propria terra, e dall’altro di ognuno con le persone a noi più vicine.
Palermo per Dimartino è una città di integrazione e violenza, è quasi un simbolo dei giovani di oggi bellissimi e deboli allo stesso tempo: “E ho visto un mostro ingoiare la città”.
7. “Liberaci dal male” = Altra bella canzone, e a questo punto dell’album possiamo dire che non è una novità.
I temi rimangono gli stessi, l’amore verso e la bellezza di Palermo: “Questa sera di amori violenti, di cuori spenti, di negozi aperti , ci basterebbe una bellissima luna per liberarci dal male”.

8. “La luna e il bingo” = Dimartino ha coraggio nello sperimentare. Una canzone quasi “neo-melodica”, come da lui stesso sottolineato, molto al di fuori dei binari “indie” di oggi. Anche questa narra di una storia dolce-amara: una coppia prova ad uscire dalla povertà giocando al bingo, e ciò a causa della voglia di riscatto e di non rassegnarsi alla propria difficile condizione: “Andiamo a prenderci la Luna dentro la sala bingo”.
9. “I ruoli” = Personalmente pezzo preferito dell’album, nonostante sia quasi passato in sordina rispetto ai precedenti. Qui il cantante parla di come le difficoltà in una coppia non giungano tanto dal dover adattarsi ai cambiamenti dell’altro (“Abbiamo deciso i ruoli , tu sei la cattiva io sono chi tu vuoi“), quanto piuttosto nel dover superare le proprie paure personali (“E lotto contro me, lotto contro me”).
Nel finale ancora una volta la voglia di riscatto di una persona sconfitta dalla vita, “Perchè non ho più voglia di perdere”.
10. “Daniela balla la samba” = Torniamo a Palermo, e ad eventi vissuti da Dimartino. Nessuna descrizione può essere migliore di quella data dallo stesso cantante.
“Nato più di dieci anni fa, 4 di mattina ed ero un pò sbronzo. Mi fermo a fare benzina e vedo una ragazza ballare sul tetto di una macchina la musica di Gilberto Gil proveniente dal mio stereo”. Una visione chiaramente cinematografica di un episodio della vita quotidiana a Palermo.
“Daniela è quindi simbolo della bellezza che si trova nel quotidiano, una specie di Afrodite della periferia di Palermo”.
di Stefano Frisenna, all rights reserved
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