“Il giorno di cui non si parla”: tra non detto e vissuto con Nikita Placco

di Redazione The Freak

“Il giorno di cui non si parla”: tra non detto e vissuto con Nikita Placco

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“Il giorno di cui non si parla”: tra non detto e vissuto con Nikita Placco

di Redazione The Freak

Il giorno di cui non si parla è una storia sulla verità, sul potere distruttivo del “non detto”. Pubblicato dalla casa editrice Licosia, è li primo romanzo di Nikita Placco.

Luciano De Crescenzo, il padre di Così parlò Bellavista, dice di aver avuto la fortuna di nascere due volte, la prima come ingegnere e la seconda come scrittore. Possiamo dire che lo stesso sta accadendo a lei, che ha svolto la professione forense e oggi presenta il suo primo romanzo, Il giorno di cui non si parla. Com’è questa seconda nascita?

Bella e molto stimolante, sia da un punto di vista intellettuale che emotivo. Inoltre forse più consapevole, per l’età anagrafica e perché risultato di un’urgenza che mi ha accompagnato per tutta la stesura del romanzo. La gestazione è stata lunga e, in parte travagliata, perciò oggi mi godo ancora di più l’essere venuto alla luce una seconda volta.

 

Cosa racconta il suo romanzo d’esordio “Il giorno di cui non si parla”?

E’ un romanzo complesso che può essere letto a diversi livelli. Su una trama apparentemente leggera – una storia d’amore con tutti i suoi tormenti – ho innestato contenuti più corposi con cui ho intessuto gli strati più profondi della narrazione. Mi interessava indagare temi quali la verità come antidoto potente, il potere distruttivo dei non detti e la loro incidenza decisiva, la famiglia come luogo di incistamento dei traumi, i mandati famigliari e le scelte di libertà, la paternità sostanziale e non biologica. Il senso ultimo era raccontare una traiettoria di redenzione rispetto a un destino segnato.

 

Se potesse scegliere una sola frase del suo romanzo per descriverlo, quale sceglierebbe?

Quella che ne riassume potentemente il dna: La vita può essere diversa da quella che a volte ci viene data.

Valentina Gemelli, Nikita Placco, Giommaria Monti, durante la presentazione del libro “Il giorno di cui non si parla” presso l’Apartment Bar di Roma

Il non detto è la quotidianità di tutti. Perché ha deciso di dedicarvi il flusso della sua penna?

Perché sono convinto che, per quanto pane quotidiano per tutti, ci sono non detti quasi sempre risalenti all’epoca della nostra infanzia che condizionano, determinano o cambiano drasticamente il corso della nostra esistenza. Fare i conti con quello che potevamo o potremmo essere se solo non ci fosse stata quella rimozione è un compito ineludibile per chiunque voglia riappropriarsi compiutamente della propria vita e farsene autore, senza restare assoggettato al determinismo altrui.

 

“Con il massimo della finzione ho raggiunto il massimo della sincerità”, ha detto. Dalle verità processuali alle finzioni letterarie: ritrova un filo conduttore, una trama comune, una storia compiuta tra questi due antipodi che caratterizzano la sua vita?

Assolutamente sì. La verità processuale è per definizione una fictio: in un processo non si punta a ricostruire la verità assoluta, ma il suo parente più prossimo: la verità relativa attingibile attraverso le prove a disposizione. La finzione letteraria, al contrario, cerca le verità universali e la loro condivisione proprio attraverso una mise en scène fantasiosa della realtà. Sono figlie, in sostanza, di metodiche opposte: alla prima si arriva induttivamente, alla seconda deduttivamente.

 

Questa letteraria è una parentesi o ha già in programma altri progetti?

A dire il vero, appena conclusa la stesura del romanzo mentre ero ancora impegnato nella fase della sua revisione, ne ho iniziato un secondo che sto portando avanti. A questo si sono poi affiancati anche altri progetti narrativi (e qualcuno mi ha perfino chiesto il sequel de “Il giorno di cui non si parla”).

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