Il gioco si è fatto tetro

di Leonardo Naccarelli

Il gioco si è fatto tetro

di Leonardo Naccarelli

Il gioco si è fatto tetro

di Leonardo Naccarelli

“Ebrea di m…..”, “ sionista del c…..”.

Mai avrei pensato, nella mia vita, di digitare su una tastiera parole così orribili. Tuttavia, qualcuno prima di me lo ha fatto e per questo sono costretto a scrivere questo articolo. Come probabilmente già saprete, la destinataria di questi graziosi epiteti è stata la senatrice a vita Liliana Segre, reduce dei campi di sterminio di Auschwitz. Potrebbe sembrare un caso isolato, solo una brutta pagina da lasciarci alle spalle. Potrebbe, per l’appunto. Ma sarebbe riduttivo e varrebbe soltanto a rendere più leggera una coscienza che non merita assolutamente di essere alleggerita. Occorre interrogarsi, qui ed ora, su cosa stiamo diventando e su quali siano le cause e le conseguenze di tutto ciò.

Diceva Karl Marx che la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia e la seconda come farsa. Chi pensa che quegli insulti siano normali è sicuramente grottesco. Lo è quando idolatra dottrine politiche ormai sconfessate da decenni. Eppure, caro Karl, io non rido e non sto per nulla tranquillo. Vedo un Paese che, giorno dopo giorno, si incattivisce sempre di più; constato una crescente difficoltà nel porre in minoranza affermazioni sempre più estreme; dilaga senza ostacoli un’ignoranza storica ed una conseguente tendenza a ripetere gli stessi errori. Per noi va male, direbbe Bertold Brecht.

Dal fatto che i messaggi di odio siano stati trasmessi mediante Internet è nato un dibattito circa la necessità di una sua regolamentazione. L’anonimato che garantisce la Rete è l’elemento più discusso e controverso. È vero che il web è soltanto uno strumento che, come tale, sta a ciascuno di noi decidere come impiegare, nel bene o nel male. Ci tengo, però, a far notare che è la stessa argomentazione che, in America, si usa per sostenere il libero acquisto e possesso di armi. Inoltre, da anni si sostiene che la realtà digitale sia divenuta una proiezione fedele della vita offline. Se ciò è vero, in base a quale privilegio sul Web è possibile compiere azioni per cui, nella vita vera, sono previste sanzioni molto severe? Quest’area di impunità che abbiamo incoscientemente formato è il frutto di una consapevole scelta ideologica? Oppure, come io credo, è il simbolo di una resa incondizionata di fronte ad un fenomeno che non possiamo regolare perché, prima di tutto, non siamo in grado di comprendere fino in fondo?

Di fronte quest’increscioso episodio è scoppiato, come si poteva ben immaginare, un caso politico. Giunto a questo punto, vorrei tanto spendere l’argomento dell’apartiticità. Le ragioni per farlo sarebbero molte e tutte molto valide. Non sarebbe incoerente definire l’antisemitismo un valore universale e poi affidarne la tutela ad una precisa fazione politica? Dare in pasto temi del genere alla lotta politica non vorrebbe dire minarne la funzione di principio guida della nazione? In un contesto politico normale, le risposte alle due domande sarebbero due convinti sì. I recenti sviluppi, tuttavia, indicano come la condizione di cui sopra non solo manca ma l’abbiamo persa, colpa forse più grave.

Non posso infatti non parlarvi della destra italiana. O meglio, della destra vera più Forza Italia che, con un fiatone poco dignitoso, rincorre. Negli scorsi giorni si doveva votare in Parlamento per costituire una Commissione Parlamentare contro l’odio razzista ed antisemita. È lo strumento più efficace per contenere il fenomeno? Non lo so, forse sì. Quello che non si può negare è la forte carica simbolica delle votazione: ad aver proposto la commissione era proprio Liliana Segre. La destra parlamentare si è astenuta e ciò disgusta su vari livelli. In primo luogo, per l’astensione in sé considerata: per quanto si sforzi ad apparire moderata, pemane un imbarazzo della destra italiana nel condannare episodi del genere. “Certe crisi son soltanto segno di qualcosa dentro che sta urlando per uscire” per citare Guccini. Sempre che non si voglia dire che quel qualcosa è già uscito: la presenza di esponenti di Fratelli d’Italia alle celebrazioni della Marcia su Roma; i legami sempre più stretti di Matteo Salvini con l’estrema destra italiana sono solo gli esempi più lampanti. In secondo luogo, a lasciare sbigottiti sono le argomentazioni alla base dell’astensione. Matteo Salvini si chiede “Chi siamo noi per giudicare delle opinioni altrui?”. Risposta facile: uno Stato di Diritto. Giorgia Meloni sostiene di essersi astenuta per tutelare la famiglia. Un verdonesco “In che senso?” ci sta molto bene.

Per concludere, abbiamo una politica che non trova un’unità nemmeno per affermare l’ovvio: una persona si critica per le idee e non per la propria religione. A ciò si unisce un mezzo di comunicazione, il Web, sempre più spersonalizzante e deresponsabilizzante. Ne deriva che, da anni, abbiamo ritenuto un gioco innocente e lecito esprimere opinioni sempre più estreme ed azzardate in assenza di conseguenze visibili. D’improvviso ci accorgiamo che il gioco si è fatto tetro. Non ce lo meritiamo ma qualcuno faccia qualcosa, per favore.

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