IL CUCÙLIO DELL’ANNO: DIVERTIMENTO A DUE MANI E DUE TESTE

di Valerio Tripoli

IL CUCÙLIO DELL’ANNO: DIVERTIMENTO A DUE MANI E DUE TESTE

di Valerio Tripoli

IL CUCÙLIO DELL’ANNO: DIVERTIMENTO A DUE MANI E DUE TESTE

di Valerio Tripoli

Koukoulion, in greco, cucùlio, in italiano: nella laudistica ed innografia bizantina indicava il proemio del contacio, componimento fatto di stanze o strofe, (dette ichi), l’ultimo verso di ognuna delle quali veniva ripetuto dall’assemblea pregante in funzione di responsorio, quale vero e proprio ritornello. A proemio e inizio di tutta la preghiera stava, appunto, il cucùlio, vetta, cappello e vertice con funzione di introduzione e sintesi degli argomenti poi sviluppati nel resto dell’ode.

Se il cucùlio ritornava, una volta intonato all’inizio, alla fine di ogni stanza del contacio – che è antesignano greco della nostra, occidentalissima, canzone (canzone dello stil novo, per intenderci, non quelle di Sanremo) – cucùlio può ben dirsi, con metafora assai facile, l’inizio dell’anno. Se l’anno è l’intero componimento, Capodanno non può che esserne il primo verso: ma se l’anno è un canto, Capodanno ne sarà la tonica, tonalità principale che, dopo intermedi sviluppi, ritornerà tale e quale alla trecentosessantacinquesima battuta, alias 31 dicembre.

Ognuno avrà la propria, di tonica. Noi e il nostro illustre amico Andrea Merlo, nativo delle Venezie (di qui in poi ‘noi’) abbiamo walzer, marsche, quadrillenouvertüren e qualche polka, a seconda dei casi française – quando è più molla, ‘lanta’ e ‘cantilenònte’, appunto francese – oppure schnell – quando è veloce, spedita, rapida).

E – direte voi – dove mai trovate la forza e la voglia di ascoltare walzer, marce e polke la mattina di Capodanno? La mattina? Ma perché mai, esiste la mattina di Capodanno? Non è quel giorno strano in cui cambia l’anno, e per uno straordinario moto cosmico la notte del 31 si allunga fino almeno alle ore tredici del giorno dopo, notte quasi raddoppiata come per dar tempo ai tanti Zeus di concupire due e tre e otto e dieci volte, senza che la notte scorra mai, qualche bella ed aitante Alcmena?

Non sappiamo se sia forza o voglia, risponderemo, ché anche noi siamo con voi, come Sosia con Zeus (speriamo non come Anfitrione, cui comincia a crescere qualcosa in testa), nel tentare di riposare con qualche Alcmena. Eppure, spesso esausti, dopo la nottata eroica, vestiti di nastri rossi come armata napoleonica contro mai sopraggiunte orde zariste di russi, la mattina ci alziamo guidati da forza sovrana, accendiamo la radio precedentemente sincronizzata sulla frequenza di Rai RadioTre – detta dagli altri la radio della noia, ossia ‘cambia cambia, cheppalle’, da noi La Radio, ossia ‘la speciosa, la formosa, la preclara’ (il tutto con le ultime sillabe aperte come solo un palermitano sa fare) – e lì, comincia il nostro cucùlio.

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Onde dorate di suoni impalpabili si spandono, quali brume soffuse, nella stanza ancora addormentata nella luce diafana di un mattino assonnato. In un momento, l’abito della notte scorsa, violentemente gettato sulla spalliera di una sedia, nell’attesa di una mamma che possa renderlo nuovamente presentabile ed indossabile da umana persona, diviene livrea di ricevimento al palazzo imperiale di Schömbrunn. La cravatta rossa, sgualcita e madida di liquori i più vari, come se il party della sera prima si fosse tenuto in una drogheria di Palmyra al tempo della regina Zenobia, si fa fiocco di nastrino, insegna da collo di un cavaliere del Toson d’oro austriaco. Le pareti, ampliandosi all’inverosimile, si fanno immense murature rivestite di carte da parati damascata e, nel soffitto bianco di color stinto, si muovono ora nugoli su cui danzano scosciate ninfe arcadiche, con puttini obesi e ittèrici; satiri con corna stanno celati da siepi di mirto, tutti in vaga ora d’amore.

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Questo, l’effetto drogante delle note del concerto di Capodanno, in diretta dalla Sala d’oro del Musikverein di Vienna, palcoscenico sempiterno della musica della famiglia Strauss, e dei Wiener Philarmoniker.

Insomma, ancora tra il sonno e una veglia fatta di cerchi alla testa, senso di nausea e gambe squinternate dal «cozzar di mille antenne ne la sala del banchetto» della notte passata, noi siamo irradiati e indiati, sballati dagli Strauss.

D’altronde, signori, lo sbattere dell’ale del pipistrello, nero sorcio notturno, reso dalle prime note dell’ouverture di Giovanni Battaglia il Nico (per gli altri, Johann Strauss II), diretto nel 2010 da Giorgio Prezio (per gli altri, George Pretre) come solo un dio avrebbe saputo fare; quella cosa per cui non vale nome umano a renderne il prodigio, che è l’ouverture del Minchiazizzobàron (Der Zigeunerbaron per gli altri), riscritta, è il caso di dire, nell’epocale concerto di Capodanno del 1992, da Carlos Kleiber, dio per davvero; Die Fledermaus (Pipistrello) del 2010, dunque, e Der Zigeunerbaron del 1992 sono la dimostrazione, ed essi soli basterebbero a ciò, di come la musica degli Strauss, protagonista del concerto di Vienna, NON sia della musica commerciale. E di come sia della musica geniale.

Il cucùlio dell’anno è fatto di questi suoni.

Cosa ha offerto di mirabile il concerto di capodanno del 2016, diretto da Maris Jansons (per noi, Mario Giansonio)? Lo Schatz Walzer, il walzer del tesoro, in cui il tesoro è la ripresa del tema di walzer che sta dentro la sopracitata ouverture del Barone Zingaro (Der Zigeunerbaron); lo Sphären-Klänge, celestiale walzer di Joseph Strauss, fratello del nostro Giovanni Battaglia il Nico (Nico perché omonimo del di lui padre, anch’egli Johann Strauss). La Auf der Jagd, ‘Alla caccia’, frenetica polka schnell, con colpi di fucile che sembra di essere su, per le montagne degli Abbruzzi, nei primi di ottobre, quando riprendono a correre i levrieri. E, tra diverse esecuzioni meno frequenti e meno eclatanti, classico fra i più classici, il Kaiser-walzer, il walzerone dell’imperatore. Esso, a seconda del direttore che lo dirige, fa pensare ora a gonne a volant che scoprono tenerissime carni fin dove non dovrebbero, accanto a cornucopie magnifiche da cui angeli gettano miriadi di petali di rose (si ascolti il nostro George Pretre, e il suo sguardo da bimbo furfante sembra essere quello di un putto che assiste alla scena in prima fila), oppure ad una compassata marcia faraonica, per non dire gioventùhitleriana -style, se diretta da uno come Erberto delle Cajanne (per gli altri, Herbert von Karajan).

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Ringraziamo Jansons per averci risparmiato le melodie da taverna di quel Von Suppé, buono solo se diretto da Er mascella (per gli altri, Riccardo Muti), o se suonato dietro la vara di un santo in processione.

Certo, non c’erano Pretre, Abbado o Kleiber. Ma sappiamo che, ugualmente, questo cucùlio del 2016 lo canticchieremo per tanto, e tanto tempo.

Sappiamo che Vienna, piaccia o meno, tedii o meno, è immagine e melodia presente in ogni tavola di ogni casa d’Italia. Che Italia? Di tutto il mondo. E sappiamo che, dopo l’Anschluss – l’annessione della vecchia madre Austria al regno delle tenebre che prese posto, per dodici anni, sulla terra, da Amburgo al Tirolo, dal Reno alla Boemia – quel concerto dedicato alla famiglia Strauss, non più espropriazione culturale da parte dell’occupante nazista, si è trasformato in una simbolo di pace e fratellanza, europeissimo simbolo, proprio da Vienna, che dell’Europa, oltre ad esserne centro geografico, è pure capitale storica mancata.

È assolutamente eccezionale come, con ballabili e operette, la famiglia Strauss abbia radunato tutte le sfumature del mondo e dell’animo umano, messe nell’alambicco della partitura e cernito vette assolute della musica. Si entra nella dimensione del sogno, tanto è immediata, profonda, la loro musica. Ecco perché, alla mattina di Capodanno, i sogni possono e meritano di esser fatti ad occhi aperti.

P. S. Nei due link qui di sèguito stanno le due ouvertüren da Der Zigeunerbaron (Kleiber 1992) e Die Fledermaus (Pretre, 2010). Abito identico, dei due direttori, direzione speculare, con Kleiber che si muove con amplissime falcate e talora saltando, ma con il viso imperturbabile come l’Apollo del Belvedere, mentre Pretre, che quasi non si muove, ma il cui volto parla quasi più della musica che dirige. Sono le esecuzione più alte di questi due capolavori di Johann Strauss. E sono i due cucùlii per eccellenza.

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di Valerio Tripoli (e Andrea Merlo)

 

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