IL CASO BABBO NATALE – UN MESE DOPO

di Edoardo Orlandi

IL CASO BABBO NATALE – UN MESE DOPO

di Edoardo Orlandi

IL CASO BABBO NATALE – UN MESE DOPO

di Edoardo Orlandi

Correre da un tetto all’altro con velocità assassina, senza pensare, evitando di voltarsi indietro”.

Fugge con la sacca piena di regali e la barba intinta nella cenere, sperando di non trovare ancora nuove barricate di bambini maliziosi dietro l’angolo o all’ingresso dei centri commerciali. La pancia lunga, il fiato corto e le vie di fuga che si fanno sempre più piccole, più rare, qui dove l’arrivo del Babbo non viene sperato, supplicato con le dovute cortesie a fine di ogni lettera, ma disprezzato, bandito con il ferro ed il fuoco. babbo natale giustiziato 2

1951, Digione, piccolo comune francese, Babbo Natale catturato dalle Digos giovanili viene bruciato sul sagrato della cattedrale dinanzi al giùbilo dei bambini. Nessuno se lo sarebbe mai immaginato; tanto meno sarebbe stato pensabile che il maggior esponente dell’antropologia strutturalista, Claude Levi Strauss, avesse preso in prestito l’accaduto come caso particolare di un discorso più ampio in merito al significato delle feste natalizie.

Chiede perdono, sono queste le sue ultime parole, anche se non sa bene quali siano le sue colpe né quale voce muova l’accusa. La barba prende fuoco e come per magia lui scompare. Rimangono solo pochi brandelli inceneriti, cartine nere svolazzanti.

Dietro il nastro rosso dei regali appena scartati si nasconde una lunga narrazione sulle festività che si sono succedute durante il corso della storia. Il duro agone ha visto per ora prevalere la celebrazione della natività sugli antichi riti Saturnali, che si svolgevano il 17 dicembre e si protraevano per sette giorni, e ha sancito la vittoria delle consuetudini statunitensi sulle altre: con il loro eccesso di luci e colori; con l’utilizzo puerile e barocco di alberi esplosivi ad ogni incrocio, di carta da regali decorata in molti modi e di tanti Santa Claus per i mercati da credere di essersi persi nel mondo fatato che tutti noi conosciamo pur non essendoci mai stati.

Basta indossare un cappello a punta e si è subito stregoni. Basta farsi crescere una barba e si è subito poveri. Ma Babbo Natale pur avendo entrambe non è nessuno dei due, e su questo bisogna riflettere se si vuole capire il senso del Natale. Perché Babbo Natale è tanto amato dai bambini? E, domanda ancora più centrale ma celata, quale motivo ha spinto gli adulti a inventarlo? A Digione i fanciulli hanno abbandonato il barbuto. Forse che siano prematuramente già divenuti grandi?

Sicuramente la risposta più ovvia per il primo dei quesiti è alla portata di tutti noi. Sappiamo, abbiamo vissuto quel tempo pregnante di attesa prima della notte o nelle prime ore della vigilia, quando l’immaginazione andava per conto suo e non si aveva la paura di essere considerati pazzi o menomati. Il bello dei primi anni era immaginare a tal punto da vivere nell’immaginazione, e di rendere la vita vissuta non un parallelo ma un tutt’uno con quella. Ricordi le case, le carte, le bambole, le sconfitte in battaglia? Dietro un albero un folletto, sotto il sole un mondo racchiuso nel sogno; qualcuno dietro la notte. Era completa e coordinata la vita che faceva di Babbo Natale uno dei tanti, il migliore se aspettavi da tempo quel pacco regalo croccante allo strappo ma liquoroso all’interno.

Riguardo agli adulti la risposta appare più ardua, visto che mette in gioco una serie di riflessioni non per niente banali. L’occhio arguto di Strauss ha tradotto la ritualità natalizia secondo un paradigma esistenzialista semplice ed immediato: la vita o la morte. Il difficile sono le sfumature che si possono intravedere quando il concetto teorico viene applicato alla vita reale. babbo natale giustiziato

È vero che i bambini, un po’ come i malati, o come le donne e gli schiavi in passato, non sono parte attiva della comunità e del lavoro sociale. Pur vivendo nel contesto non sono considerati vivi, ma viene concesso loro uno spazio sociale intermedio, diverso e lontano da quello funzionale degli adulti sani e completi. Sicuramente l’occasione del Natale, del cenone caldo e rumoroso, è un momento sacro di comunione, ciononostante è anche il tempo di una separazione inconscia, e per questo più profonda, tra adulti e bambini: tra vivi e morti. A Natale si evidenzierebbe la differenza e, con il gesto del dono, si cercherebbe di acquietare le richieste che i bambini, incarnazioni degli spiriti maligni e della morte, fanno con grande lena: strattonando il giubbotto con insistenza o indicando l’ultimo modello.

Di fatto questa generale analogia tra bambini e spiriti non ci dovrebbe essere troppo paradossale visto che fin già dall’ultimo giorno di ottobre essi bussano alle nostre porte cercando di saziare la fame dantesca dei loro antenati, pena la persecuzione dei vivi. L’invasione demoniaca si protrae fino agli ultimi giorni dell’anno, quando Babbo Natale riporta in terra una pace risolutiva che libera i vivi dalle pene dei morti. Egli non è un santo, visto la sua natura pagana, né un eroe mitologico, ma una semidivinità che con l’aspetto da vecchio benevolo risponde a una logica differenziale delle classi di età.

Il Babbo è nato dalle menti degli adulti per ricordare ai bambini che non sono ancora pronti per entrare nel loro mondo vitale, ma anche che, in questo stato semivivente, hanno piena facoltà a disturbarli. Solo attraverso i riti di passaggio si permette all’infante di diventare adulto, e di non credere più. Sono stati gli adulti quindi ad inventare Santa Claus anche se molti di loro, lo si può ben vedere, non sanno il perché.

Basterebbe lasciare il regalo sotto l’albero, ma cosa ci vuoi fare? Sara è ancora piccola e, per quanto si è stanchi, è giusto farla credere. E di fatti è proprio zio Sandro quello che vedi dietro la porta socchiusa che cerca in tutti i modi di far entrare lo stivale rosso più piccolo di una taglia. Si sentono i bisbigli, si intravede zia che lo aiuta con la barba. Ascolti piccole bestemmie interposte come ritornelli.

Scenderebbe dal camino ma è troppo pericoloso. Citofonare sarebbe troppo irreale. Compare allora nella casa, non si sa come, salendo le scale e richiamando ad alta voce tutta l’attenzione. Le luci si spengono, e in sala sale la meraviglia. Tutti sgranano gli occhi e si rivolgono a Sara che rimane sbigottita, quasi impaurita.

Babbo Natale non si avvicina troppo per non essere scoperto e capisci in un istante quanto tutto questo sia simile alle feste in maschera che avvengono tra gli altri popoli. Ma zio Sandro è tutt’altro che un antenato o un dio e si domanda invece cosa abbia fatto di male per meritarsi questo. È adulto e si trova indifeso vestito così, in un ruolo che non gli appartiene. Nella vita è il pane quello che lavora la notte ed odia pure farsi crescere la barba. Ora lo vedi incarnare un vecchio regale, e l’ultima cosa cui penserebbe è di allontanare in questo modo la morte dalla cerchia dei presenti.

Gli adulti hanno altro a cui pensare, sono figli ormai delle preoccupazioni. Eppure continuano a decorare, preparare e a indossare Babbo Natale. Sentono, così vestiti d’un’illusione, di essere pronti e bravi a far credere. Pensano, illusi, mentre reggono la teatralità con fatica, di non avere mai più bisogno di credere.

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