I numeri che contano

di Redazione The Freak

I numeri che contano

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I numeri che contano

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Il 23 gennaio 2019, come da protocollo si è concluso il secondo giorno dello sgombero del centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Castelnuovo di Porto, situato a 50 chilometri da Roma. Abbiamo assistito ad un gesto simbolico di una presa di posizione contro il delirio di onnipotenza fatto di decreti per supposte emergenze, di divise indossate senza meriti e baciamano in piazza.

 La deputata di Leu, Rossella Muroni, era l’unica rappresentante parlamentare presente e si è fermata davanti al primo dei tre pullman mentre stava uscendo dal cancello, impedendone temporaneamente il proseguimento.

Dopo una mattinata trascorsa tranquillamente in cui gli ospiti del centro non potevano fare altro che accettare passivamente il loro ricollocamento verso mete ignote, questo è stato l’unico episodio a creare una breve tensione: l’onorevole si è inoltre preoccupata di chiedere se le donne vittime di tratta sarebbero state trasferite in strutture adatte per proseguire la loro riabilitazione conseguente ai traumi subiti, sottolineando che a bordo c’erano persone e non animali da considerare come numeri.

Se è consuetudine enfatizzare i numeri nel Governo attuale per fronteggiare le loro emergenze di ordine pubblico, ci sono storie dietro a questi numeri che hanno il diritto di continuare ad essere vissute per il tacito principio di dignità proclamato dalle democrazie moderne.

535 sono le persone che hanno soggiornato nel Cara, un paradiso antropologico di culture, lingue, etnie e diverse generazioni che grazie alla dedizione dei 107 lavoratori, che hanno creato dei percorsi d’integrazione di diversa durata.

Namin, 20 anni, viene dal Senegal, ha abitato nel centro per un anno e mezzo parla fluentemente italiano. Il suo vero dispiacere è lasciare la maglia numero dieci della squadra di calcio locale: è considerato uno dei più forti e vorrebbe fare il calciatore qui in Italia. Salim, 29 anni, è pakistano. Dopo aver abitato 5 anni a Bilbao mi spiega, in perfetto spagnolo, che ovunque lo portino lui è contento di poter rimanere comunque in Italia ed è grato per aver trascorso sei mesi nel centro.

Non distanti invece altri ragazzi si lamentavano delle scarse condizioni igieniche e della mancanza dei riscaldamenti nel centro ma allo stesso tempo mi mostravano con orgoglio il loro permesso di soggiorno ed il desiderio di parlarmi in italiano, perché ovunque saranno portati il loro obiettivo è quello di continuare a crearsi una vita in Italia.

Saluto i ragazzi dicendo che oggi c’è una rete di ferro che ci divide ma magari nei prossimi anni ci vedremo alle uscite di scuola dei nostri figli.

Attraverso la rete, riesco a parlare anche con Padre José Manuel Torres, sacerdote messicano dei Servi di Gesù, ogni mercoledì puntualmente si recava nel Cara, dove mi conferma essere forte la volontà d’integrarsi da parte dei richiedenti asilo:” Loro sono come noi, si erano integrati a fare vari lavori, un processo complesso che doveva continuare. Ed è vero che ci sono i pregiudizi è quindi nostro compito rieducarli.”  

I metodi discutibili su come si sta gestendo la chiusura, stante Decreto, del primo di una serie di centri non potrà frenare i processi d’integrazione, emotivi e culturali, che questi ragazzi hanno cominciato né potrà impedire loro di rendere il nostro Paese casa.

di Federica Mirto, all rights reserved

 

 

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