I comandamenti della letteratura dentro Dieci di Andrej Longo

di Natalina Rossi

I comandamenti della letteratura dentro Dieci di Andrej Longo

di Natalina Rossi

I comandamenti della letteratura dentro Dieci di Andrej Longo

di Natalina Rossi

C’è questo aereo che devo prendere. Che uno potrebbe pensare che me ne vado a vivere altrove perché voglio cambiare vita per spirito d’avventura. Niente di così letterario. Certo c’è quell’inquietudine giovane che, se ci penso delle volte, mi vengono le lacrime agli occhi.

Nessuna malinconia di sorta nella mia scelta.

E’ solo che me ne vado perché questo Paese ha un brutto gusto. Cioè la bassezza etica ha abbrutito ferocemente pure una certa gloriosa estetica.

La retorica manualistica sulle mancanze non m’interessa. Non credo che sentirò la mancanza dell’Italia, del cibo italiano, del clima, e della familiarità di questi uomini.

Preferisco una certa ruvidità nei modi, e la verità delle intenzioni.

E poi con il freddo si pensa meglio.

C’è però una cosa che mi mancherà mortalmente: la lingua italiana, e un certo modo di usare il linguaggio. E io per raccontarvela voglio parlarvi di questo libro, che poi è il testamento di tutti gli uomini, e della parola.

Andrej Longo, che uno potrebbe immaginarselo russo e pretenzioso, è uno scrittore italiano. Nato a Ischia, ha fatto pure il pizzaiolo. E c’ha una faccia aperta che uno a guardarlo gli vuole bene.

Dieci è una raccolta di racconti- ogni racconto ha il nome di un comandamento- ogni storia è quella del peccato umano.

Dieci non è solo una raccolta di racconti, intendiamoci. E’ la letteratura più alta che crea una lingua e la rende universale. Il dialetto di certe parole non è quello napoletano- è un linguaggio letterario- accessibile a tutti. E’ la bestialità degli uomini, che c’ha solo una lingua.

Eppure, dentro certi quartieri napoletani che sembrano gironi infernali e fogne volgari, Andrej ci mette in mezzo una cosa bellissima. La salvezza.

Non parlo della salvezza filosofica o religiosa. E’ un’altra cosa la salvezza degli uomini dentro gli anfratti cupi napoletani. E’ la salvezza che alberga dentro la semplicità. Nessuna banalità di sorta. Semplice non vuol dire mediocre. Certe volte la semplicità c’ha una purezza sconosciuta, che è andata persa dentro i ristoranti stellati e una sofisticatezza tutta dozzinale.

Il racconto numero 3, che è anche il mio preferito, si intitola: ricordati di santificare le feste.

La storia è quella Ciuciù ed Enzuccio. E’ la storia di una donna che da tredici anni aspetta il marito- lavoratore emigrato per qualche spiccio- tutti i martedì. Non è che fa niente di esaltante in termini intellettuali. Ma c’ha una roba miracolosa che neanche l’ostia la domenica di Natale. La gentilezza. Ciuciù c’ha la cautela nei gesti e nei desideri. Maneggia con cura i sentimenti attraverso un piatto di maccheroni, e un’attesa che sembra una nascita.

“Invece solo il martedì. Solo quella giornata come se era rubata. Non è che mi lamento. Lui mi vuole bene. Lavora come un disgraziato perché non deve mancare niente. Io ringrazio il cielo perché tutto va bene. Dice sempre- aspettiamo un altro poco- Ma la vita mica è eterna. Un giorno ti svegli con un dolore da qualche parte. e non ci sta più tempo di aspettare. Neanche per quel martedì ti resta tempo.”

E mentre Andrej Longo lo scrive, a me viene un po’ di commozione. Perché i comandamenti, quelli degli uomini semplici, Andrej li ha cristallizzati dentro una lingua che sembra una profezia. O forse il nostro personalissimo miracolo terreno.

 

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