Grande come una città: Christian Raimo apre gli spazi pubblici

di Sabrina Cicala

Grande come una città: Christian Raimo apre gli spazi pubblici

di Sabrina Cicala

Grande come una città: Christian Raimo apre gli spazi pubblici

di Sabrina Cicala

Grande come una città. E’ il ciclo di incontri organizzato dal III Municipio di Romache avrà inizio il 1 agosto con una lezione aperta del professor Luca Serianni, “La lingua italiana come cittadinanza“, nei giardini sopra la metro di piazzale Jonio. Di questa scuola di politica permanente e del ruolo dello spazio pubblico ci parla il promotore del progetto, l’assessore alla cultura Christian Raimo, scrittore, traduttore e professore.

  1. In cosa consiste il progetto “Grande come una città”?

Ci sono tanti spazi nel municipio che sono spazi pubblici ma non sono vissuti come tali, per esempio parchi, giardini, aree proprie del municipio. Questi non sono vissuti come spazi di aggregazione, come agorà, ma spazi morti in cui semplicemente si passa. Mi rendo conto che il municipio può fare poco dal punto di vista dell’organizzazione, anche per carenza di poteri. Può avere, però, u rinnovato ruomo nella educazione pubblica e di cittadinanza, dal punto di vista già del coordinamento. L’idea era partire con delle lezioni aperte. Ho chiesto ad alcuni intellettuali che conoscevo la disponibilità in questa ottica di gratuità e condivisione della cittadinanza. La prima è una lezione aperta di Luca Serianni, professore di lingua italiana, amatissimo dagli studenti, sul tema “Lingua italiana come cittadinanza”, che mette insieme molti degli spiriti che una iniziativa del genere ha come presupposti.

  1. Lei parla di cultura civica, non di educazione civica, che invece è espressione propria del lessico “burocratico” scolastico. Perché fa questa differenza?

Oggi c’è un fare politico che spesso è screditato, i politici sembrano persone che devono rispondere ai cittadini, oggetto spesso di capro espiatorio rispetto alle esigenze contingenti. Sembra che debbano solo fare. Oggi la classe politica è diseducante, non luogo di modello, educativo, esemplare. Questo è l’opposto di ciò che una classe politica di adulti dovrebbe avere. Fare cultura civica è un modo anche più ampio per rispondere alle esigenze di educazione civica e più ampio di parlare di un evento o qualcosa che è semplicemente intrattenimento e aggregazione. La cultura deve essere intesa come qualcosa che riguarda il vissuto della civiltà, in cui le persone hanno relazioni, mangiano, si sposano. Fare l’assessore alla cultura non vuol dire occuparsi del tempo libero, piuttosto del tempo liberato, in cui cresciamo, diventiamo cittadini e cerchiamo di evolverci. Non è solo un ritaglio di tempo dal tempo di lavoro: dovrebbero esserci momenti e luoghi di confronto per costruire un senso di comunità per poi tornare nel nostro privato e continuare a vivere la nostra vita. E’ significativo il fatto che molti partiti oggi non abbiano più le sezioni, che erano proprio luoghi di confronto. Abbiamo, invece, bisogno di un momento di condivisione, che spesso troviamo al bar o in una partita a calcetto. Questo momento si deve trovare anche negli spazi pubblici messi a disposizione dalla città, dove poter pensare di creare una propria coscienza politica.

     3. In politica, che è lo spazio pubblico istituzionalizzato per eccellenza, lo spazio pubblico assume le dimensioni del demagogico nel senso negativo del termine e, spesso, solo strumentale a fini elettorali. Il politico scende in piazza solo per fare campagna. Come si è arrivati a questa concezione?

C’è un processo di infantilizzazione in atto. Negli ultimi dieci anni c’è stata una crisi della politica nell’ottica dell’antipolitica. Nel 2008 esce “La casta” di Sergio Rizzo e Giantantonio Stella e nello stesso anno nascono il partito democratico e il Movimento5stelle. Negli ultimi dieci anni la politica è stata fatta nel nome della antipolitica, di cittadini che possono diventare classe dirigente da un momento all’altro senza avere una preparazione professionale o un curriculum politico. Ne è derivato un disastro. Non vuol dire che debba esserci una selezione all’entrata della classe dirigente, tutt’altro. Penso, invece, che sia fondamentale una educazione su come si gestisce il bene comune. Abbiamo bisogno di luoghi di confronto che oggi non esistono. Pensiamo al Movimento5stelle, che è stato all’inizio un tentativo di trovare luoghi di confronto su temi dai beni pubblici alla gestione della macchina amministrativa, oggi, invece, è più legato a piattaforme online dove si decide in maniera eterodiretta come avviene in altri partiti. Gli iscritti ai partiti sono calati drasticamente, si pensi al caso emblematico del PD. Ciò nuoce al tessuto democratico, come se ci fosse un apparato circolatorio in cui non scorre sangue.

Il dibattito pubblico oggi è attraversato solo da tifoserie e schieramenti pregiudiziali, credo invece sia necessario che vada al di là dell’insulto online per ritrovare una alfabetizzazione civica. Per questo la prima lezione sarà del professore Serianni, che parlerà di lingua italiana come cittadinanza in un momento storico in cui si invoca “Prima gli italiani”, senza che sappia bene cosa voglia dire. Ascoltare chi su questi temi ha riflettuto, studiato e ha contribuito a scrivere la legge italiana è un modo per provare a far scorrere sangue nel circuito.

5. Lei è un professore e come primo interlocutore ha scelto un professore. In un’epoca di rinnovati e reinstaurati fascismi, qual è il ruolo degli intellettuali e prima ancora dei professori?

Credo nella avanguardia della educazione. Tutte le rivoluzioni hanno pensato a cosa fare della educazione, oggi si sta realizzando un processo di trasformazione delle società. Ne “La pedagogia degli oppressi”, di Paulo Freire, si parla di coscientizzazione degli ultimi: non bisogna semplicemente occuparsi di chi non ha voce, ma occorre che sia coscientizzato. I cittadini non possono essere solo corpo elettorale, ridotti ad un like, ad una voce di cinque minuti di diretta Facebook di Salvini. Devono essere possessori di scelte e di progetti e, come tali, devono avere uno spazio, non riducibile ad un applauso.

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