Gentili: “Ne usciremo
migliori? No, anzi…”

Veronica Gentili: "Da questa pandemia
non ne usciremo migliori"

Intervista alla conduttrice di Rete4 che ci parla
del suo primo libro "Gli immutabili", un diario della quarantena

di Cristina de Palma

Gentili: “Ne usciremo
migliori? No, anzi…”

Veronica Gentili: "Da questa pandemia
non ne usciremo migliori"

Veronica Gentili: "Da questa pandemia
non ne usciremo migliori"

di Cristina de Palma
Veronica Gentili

Gentili: “Ne usciremo
migliori? No, anzi…”

Veronica Gentili: "Da questa pandemia
non ne usciremo migliori"

Intervista alla conduttrice di Rete4 che ci parla
del suo primo libro "Gli immutabili", un diario della quarantena

di Cristina de Palma

Si intitola Gli immutabili il libro di Veronica Gentili, edito da La nave di Teseo, che segna l’esordio alla scrittura della giornalista di Rete4, conduttrice di Stasera Italia Weekend. L’abbiamo incontrata per farci raccontare questi mesi di pandemia e non solo…

Parlarci di questo tuo libro d’esordio

È un diario della quarantena che ho iniziato il 12 marzo. C’è una prima parte di racconto personale dentro le mura domestiche dove osservavo gli eventi intorno a me. Poi, grazie all’esperienza giornalistica, mi sono focalizzata sulle sensazioni provate dagli italiani in questi mesi di pandemia. Mi sono resa conto che più passava il tempo e più le persone tornavano ad essere quelle di prima. Come se avessimo perso l’appuntamento con la storia. Potevamo essere migliori, e invece…

E invece?

Siamo passati da “ce la faremo” all’essere disincantanti e cinici.  La mia teoria di base è che la specie umana ha una sua vocazione, una sua mutabilità che ci accompagna da sempre e che ci ha permesso di avere degli eccessi creativi. Ma poi siamo tornati ad essere quelli che eravamo all’inizio, vale a dire normali. Quando abbiamo capito che la pandemia sarebbe durata ancora, ci siamo resi conto che non era così facile mutare.  Nella prima fase, avevamo veramente paura, eravamo spiazzati. Poi ci siamo abituati a questa situazione anomala. 

Nel tuo libro usi la metafora della cyclette per indicare la situazione attuale, ovvero un pedalare senza meta, come un criceto nella sua ruota…

Esattamente, è la sensazione che avevamo se ti ricordi. Fai, fai, fai e poi disfai. Un po’ come la tela di Penelope. Avevamo la sensazione di fare tante cose che poi però non hanno lasciato tracce. La pedalata sul posto era per me l’emblema del nostro lockdown, un simbolo dell’immutabilità. 

In un capitolo parli di Lucia, un’amica che ha contratto il virus e che ti ha fatto immergere nella realtà dei malati. Pensi che la percezione del Covid per gli italiani sia strettamente legata all’avere amici o parenti contagiati? 

Assolutamente sì. Finché non succede a te, serve uno sforzo di fede per credere allo stato di emergenza o di calamità. Cito anche Houellebecq che parla dei “morti che accadano nel silenzio” da una parte perché sono lontane da te e dall’altra perché un virus non è una bomba nucleare, una cosa tangibile che puoi vedere. Non c’è sangue, alle persone viene raccontata la malattia, ma non la vedono realmente. Quindi la percezione cambia quando il virus si accosta alla tua vita. C’è come un cortocircuito. 

VERONICA GENTILI

È per questo che è importante rendere visibile il virus…

Durante il racconto, ho tentato di disegnare i tratti somatici del Covid. Era importante poter prendersela con qualcuno, visualizzare il nemico. Ad un certo punto del libro, scrivo proprio “Wanted” riferito al virus appunto. È una figura famelica, ne parlo come di un’entità. Le persone hanno bisogno di capire chi è che le costringe a casa, o che gli impedisce di fare cose che hanno sempre fatto. 

C’è la percezione che chi si è ammalato in fondo se l’è cercata, come se non fosse stato abbastanza attento, come se fosse colpa sua? 

All’inizio poteva essere così, mentre in questa seconda fase è subentrato un altro aspetto: quello del “l’ho sfangata” e ora sono più libero. Ho dei super poteri e anche se continuo a seguire le regole, in fondo sono immune e quindi invincibile. 

Nel tuo diario di bordo, utilizzi categorie antropologiche generate dall’emergenza sanitaria per classificare le persone: ci sono i guardinghi, i finti disinvolti, i miscredenti, gli allarmisti e i riduzionisti.  In quale categoria ti sei riconosciuta di più?

Ci sono dei passaggi da una categoria all’altra. Non sono mai stata riduzionista o miscredente però. Nella prima fase ero guardinga: facevo attenzione quando uscivo di casa. Avevo la mascherina, i guanti, mantenevo bene le distanze. Guardavo gli altri pensando “tu chi sei, cosa vuoi da me?”.  

Concludi il tuo libro con questa riflessione: “Le parole lockdown e coprifuoco vengono suonate come dei gong per catturare la nostra attenzione, quel qualcosa che imponga a ciascuno un cambio radicale nella gestione della propria quotidianità. Il lockdown toccherà sicuramente anche loro, la malattia magari no”. È veramente così?  

È proprio lì la questione: gli assembramenti di questi giorni fanno capire bene cosa intendo. Se hai prontezza di quello che sta accadendo veramente, quando ti trovi circondato da valanghe di persone, non puoi non pensare che la situazione non sia grave. Se invece ti sei abituato a questo stato di emergenza e hai perso le antenne, tu alla fine fai lo struscio in mezzo alla gente. Per questo parlo di immutabilità delle persone. 

Quale è stato il picco della massima mutabilità delle persone?

Ci sono varie fotografie emblematiche di questa epidemia, ma una su tutte è stata l’immagine dei camion con le bare a Bergamo. In quel momento, abbiamo tutti preso uno bello schiaffo in faccia e lì poteva succedere qualcosa nei nostri atteggiamenti e pensieri. Ma poi tutto è tornato alla normalità. 

Da giornalista televisiva, come è cambiato il tuo lavoro nel corso di questi mesi?

È stata una chiamata alla serietà. Se all’inizio si poteva discutere o chiacchierare, ad un certo punto invece abbiamo dovuto prendere la realtà in mano e raccontarla nel modo più serio possibile. Ho cercato di restituire quello che stava accadendo con il massimo rigore e senza filtri di sorta. Eravamo il trait d’union tra il Governo e i cittadini. 

Non siamo ancora arrivati a Natale e già si parla della terza ondata, alcuni virologi addirittura della quarta…

Ne parlavo l’altro giorno con mio fratello. Non abbiamo ancora finito la seconda ondata, che già si parla della terza? Trovo che sia folle. Per ogni cosa c’è una bulimia e un bisogno di anticipare le cose che non serve.

Secondo un recente sondaggio Ipsos, solo il 24% degli italiani è intenzionato a vaccinarsi. Il 53% aspetterà per capirne l’efficacia e il 16% invece non lo farà.  Qual è la tua posizione? 

Io lo faccio anche stasera. Se hai una dose, puoi venire anche ad iniettarmela immediatamente (ride, ndr). Il problema vero non è l’obbligatorietà, è il poter avere le dosi per tutti. Prima di pensare a chi imporre il vaccino, sarebbe giusto capire se ci sono le dosi per tutti. 

E cosa ne pensi dei centri vaccinali a forma di Primula progettati da Stefano Boeri e presentati dal commissario all’emergenza Arcuri? 

La bellezza fa sempre piacere, ma in questo momento abbiamo altre priorità e problemi da risolvere. Il tempo per l’extra proprio non c’è. 

Come passerai queste vacanze natalizie?  

Sto pensando di passare le feste unicamente con il mio fidanzato. Poi andando sempre in onda è difficile poter organizzare qualcosa. Il punto è che le cene e i pranzi sono sempre pericolosi perché sono gli unici momenti in cui non porti la mascherina e contagiarsi è facilissimo perché ti lasci un po’ andare. Per questo bisogna sempre stare attenti. 

Cosa ti manca di più della tua vita di prima? 

Mi mancano molto gli aperitivi e le cene con gli amici. Per non parlare dei viaggi. L’idea anche solo di poter progettare un weekend è liberatorio e consolatorio. Poi magari il viaggio progettato lo facevi mesi dopo, ma intanto potevi pensarlo.  

È il tuo libro di esordio. Sei stata attrice, opinionista, conduttrice e ora scrittrice. In che ruolo ti riconosci maggiormente? 

Sono tutti pezzetti di un unico puzzle. Ogni esperienza è stata utile per formarmi, per aiutarmi a crescere.

C’è una parola che ti rappresenta? 

Ce ne sono due in realtà: buona e testarda.

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