Freddie Mercury (1946-1991). I STILL LOVE YOU

di Diego Mongardini

Freddie Mercury (1946-1991). I STILL LOVE YOU

di Diego Mongardini

Freddie Mercury (1946-1991). I STILL LOVE YOU

di Diego Mongardini

Vent’anni fa si spegneva una delle luci più fulgide del rock: Freddie Mercury (1946-1991). Vent’anni che suonano come un requiem, una messa lacrimosa in ricordo di un gigante, annientato da un male vigliacco. Leader dei Queen per vent’anni, ma ricordato anche per capolavori da solista, voce inconfondibile, tenorile, senza confini, teatrante della musica, atleta mimico, sensibile, ironico. Una personalità  pericolosa, che provoca assuefazione, ingordigia, nelle orecchie divoratrici di più generazioni. Quarantacinque anni eccessivi, spensierati, folli, profondi, schiacciati all’ultima battuta da un vuoto senza nome. Un ultimo grido, poi il silenzio. Lo spettacolo deve continuare, ed è continuato certo, ma non col lo stesso ritmo, con lo stesso spessore; solo con un eco di ciò che è stato e che non si ripeterà . La cenere ha da tempo preso il posto del fuoco e la melodia di un cantante si è spezzata senza ritorno. Un pilastro del suono è stato crocifisso dal tempo, ma continua a risorgere ancora e ancora, incalzante, ineluttabile, come un sogno da cui non ci si vuole svegliare. Ecco il sogno, l’immortalità , la vittoria nella sconfitta. Freddie era un geniale frullatore, in cui tutti i generi musicali trovavano posto e venivano scomposti, disaggiustati, rinnovati: ‘Bohemian Rapsody’ e ‘Innuendo’ ne sono gli esempi più imponenti, vistosi. Il gusto per il particolare, per l’invenzione, per il dandismo, trasformarono la musica in spettacolo, il cantante in performer. Tutto ha un suo spazio ben preciso nel caos squillante dei Queen, nei loro video festosi, intimisti, acrobatici. Il gioco diventa arte, la citazione novità , la trasgressione un classico privo di fatica. Inutile tentare definizioni per Freddie, perché le definizioni riducono, inscatolano, mentre la Regina era libera e il suo palazzo era il mondo.

Poi c’è la commozione, una commozione senza rifugi nè palliativi, che culmina alla fine del suo ultimo video ‘These are the days of our lives’: la malattia lo stava rendendo uno scheletro sonoro, la presenza era ridotta ai minimi termini, testimoniata solo dal movimento delle mani e dalla voce, dal respiro. Il video termina con Freddie che sussurra queste parole, che ora mi sento di confessargli, come un piccolo uomo alle orecchie di una statua di marmo bianco: ‘I still love you’…

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