“FOTOGRAMMI SOSPESI”, THE FREAK INTERVISTA IL POETA PIETRO MARIA SABELLA

di Enrichetta Glave

“FOTOGRAMMI SOSPESI”, THE FREAK INTERVISTA IL POETA PIETRO MARIA SABELLA

di Enrichetta Glave

“FOTOGRAMMI SOSPESI”, THE FREAK INTERVISTA IL POETA PIETRO MARIA SABELLA

di Enrichetta Glave

“FOTOGRAMMI SOSPESI”: LA SINTASSI DI UN CUORE SENZA DIGHE

The Freak srls e l’Associazione tutta rendono omaggio quest’oggi all’Amministratore delegato Pietro Maria Sabella che, lo scorso 30 settembre presso il caffè letterario “Mangiaparole”, ha presentato la sua seconda silloge, dopo “Instabilità”, intitolata “Fotogrammi Sospesi”. Il libro, la cui prefazione è stata curata personalmente da uno dei più illustri ed importanti poeti contemporanei viventi, Elio Pecora, ha riscosso immediatamente un notevole successo tra il variegato pubblico di lettori.

Tuttavia, le presentazioni, per il nostro giovane e talentuoso poeta, non sono terminate e continuano in diverse librerie e caffè letterari di tutta Roma. Infatti, il prossimo appuntamento, per chi non avesse presenziato alla prima del libro, è previsto per Sabato 22 ottobre alle ore 18:30 presso il caffè “Libro DiVino” in Via degli Zingari, a Rione Monti.

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L’estrema umiltà nonché correttezza del nostro CEO ha portato quest’ultimo alla pubblicazione del suo secondo libro in collaborazione con la casa Editrice “Progetto Cultura” evitando così un logistico problema di “conflitto d’interessi”, dato lo spazio che The Freak si è guadagnata nel mondo della piccola editoria emergente, a partire dallo scorso anno.

Pietro, come nasce l’idea di “Fotogrammi sospesi” e quale il senso più intimo di questo titolo?

“Fotogrammi sospesi” nasce davvero per un caso fortuito. Era novembre del 2015 ed avevo appena scritto una poesia: “In questo autunno”, che fra l’altro apre anche la silloge e una persona molto importante per me mi mostrò alcuni giorni dopo proprio il bando del concorso letterario promosso dallo IED di Roma, “Premio 13”, curato dalla Prof.ssa Serena Maffia ed al quale ha partecipato, in qualità di giurato, anche l’uomo che è divenuto il mio Maestro, il poeta Elio Pecora.
Provai ad iscrivermi e vinsi. Tra i premi principali vi era la pubblicazione di una raccolta, con la casa editrice “ProgettoCultura”.
Iniziai a raccogliere le poesie scritte nell’ultimo triennio, proprio come fossero delle singole fotografie, dei fotogrammi appunto, ognuno dei quali, in modo diverso, narra frammenti della mia vita e delle città in cui ho vissuto fra Italia e Spagna. Queste immagini in verso non potevano che rimanere “sospese”, imprigionate ancora in un percorso di vita in movimento ed in costruzione in cui l’uomo si muove fra gli eventi e cerca, ancora senza riuscirci, di carpirne il senso più profondo.

Com’è stato conoscere Elio Pecora e quanto i suoi consigli hanno influito sul tuo percorso di poeta?

Elio Pecora è un uomo di una cultura e di un’umanità irraggiungibili. E’ un pezzo di letteratura vivente; mi ha preso per mano e mi ha fatto capire che la libertà della poesia è comunque lavoro quotidiano, fatto di ragione e non solo di istinto, frutto di un labor limae in cui l’anima si fonde con la mente.

Il tuo libro si apre con una dedica rivolta a chi “ha un cuore senza dighe”, lasciando intendere che tu ti riconosci e senti di appartenere a questa determinata categoria di individui. Da dove deriva questa profonda consapevolezza di voler vivere ogni sentimento in maniera amplificata, senza condizioni né limiti, attraverso la sensibilità del poeta che è in te?

Il “vivere con un cuore senza dighe” significa non arroccarsi e non immobilizzarsi in pensieri, condizioni, stili di vita lasciando passivamente che essi plasmino l’esistenza in maniera immodificabile; significa volere cambiare sé stessi e le cose che ci stanno intorno, senza pregiudizi e senza lasciarsi travolgere dalle paure. Il senso della dedica è dunque quello di vivere e di non essere vissuti, di scegliere e di non essere scelti, di aprirsi ad ogni opportunità, sia che essa derivi dalle persone o dagli eventi. C’è sempre una lettura positiva negli accadimenti ed anche le tragedie devono essere accolte per poterne trarre gioielli. E’ un invito a non arrendersi e a non tramutare le “esperienze negative” in ostacoli insormontabili.

Il tuo libro si autodelinea attraverso un percorso di poesie che alternano immagini ora romantiche e ricche di passione, ora nostalgiche ed amare. Un continuo baluginare amoroso, tra donne che si manifestano intensamente e poi svaniscono insieme alle loro storie e altre che, invece, sono al tuo fianco e ci sono per restare e sui quali occhi “muoiono le infelicità”. Quanto la figura femminile ha saputo ispirarti? Parlaci, come poeta e prima ancora come uomo, del tuo rapporto con un universo talvolta di difficile comprensione ma dal fascino attraente agli occhi di un grande osservatore e sognatore come te.

Mi servirebbero pagine e ore di tempo per risponderti adeguatamente e comunque alla fine non arriverei a nessun punto. La figura femminile è l’origine di tutte le cose: è la storia ed il futuro del mondo in cui l’uomo si dibatte e si dimena in maniera incosciente per assorbirne una qualche virtù. La vita senza la donna sarebbe insolita e quindi non sarebbe questo tipo di vita. E’ sempre un’esperienza meravigliosa potere condividere del tempo con loro, amarle, averle come amiche o amanti. Alcune hanno inciso fortemente sulla mia esistenza e per questo – nel bene e nel male – gliene sarò sempre grato perché grazie a loro sono nato e poi sono cresciuto. Le donne rappresentano un universo, un’idea, una coscienza a parte e per questo diventano persino una sorta di paradigma nelle poesie, un punto di riferimento, lo scopo stesso di alcuni percorsi. Riempiono il cuore e non bisogna cercare di comprenderle con schemi tipicamente maschili. Poi la realtà è più complessa, spesso non ci si comprende o non si riesce ad essere fino in fondo sé stessi con le proprie debolezze. Ma provarci vale sempre la pena.

C’è tuttavia una Donna, in particolar modo, che insegue e plasma l’andamento del tuo polso poetico. Una donna, diversa dalle altre, più austera ed insidiosa, a cui però non sai rinunciare. La scelta sta nell’abbandonarla, ormai disilluso e amareggiato, oppure continuare ad amarla come fa un uomo “disposto ad amare una donna traditrice”.
Parlaci dell’idealizzazione della Sicilia come Donna fedigrafa e come Madre splendida ma, ahimè, disattenta verso i propri figli.

La Sicilia è un dono di Dio ed una condanna per chi vi ci nasce, perché da quel giorno fino all’ultimo, ogni siciliano onesto vivrà costantemente nell’idea di essere nato nel posto più bello del mondo e di vederlo gestito nel peggiore dei modi possibili.
La Sicilia è una terra generosa che nei secoli ha dato ospitalità a tutte le popolazioni, a tutti i viaggiatori che da lì son passati, accecandoli e costringendoli a restare per capire come la natura potesse essere così infame e fertile nello stesso luogo. La Sicilia non si abbandona mai veramente, il legame è perpetuo perché è nell’isola che siamo nati ed è l’isola che continuerà a viverci dentro, fino al ricongiungimento con essa.
Il partire non ha mai un senso definitivo. Posso solo auspicare il ritorno mio e di molti miei amici e colleghi prima della nostra età matura perché molto c’è ancora da fare.

L’attaccamento verso la tua terra d’origine è, per l’appunto, quello di un figlio verso la propria madre. Nel tuo libro è manifesto un legame che definirei trilaterale tra Te, la Sicilia e l’essenza della tua vera Madre. Una sorta di Trinità inviolabile e colma di sacralità. Puoi confermare questa interpretazione? Se sì, condivideresti con il pubblico di The Freak un ricordo o un momento vissuto che lascia trasparire questa tua certezza di vita?

So che ti riferisci alla poesia “Qui non venite – In Sicilia”, dedicata alla figura di mia madre e alla terra in cui sono nato. Penso a due dei film di Tornatore: “Nuovo cinema paradiso” e “Baarìa” e a quelle scene di partenze dovute che lasciano il sapore dell’amarezza e che vibrano di un attaccamento indefettibile verso i luoghi della propria infanzia; ed è in queste immagini che mi sono ritrovato. E quindi penso a quando ho lasciato casa, appena poco più che adolescente, con un mucchio di valigie e l’incertezza del futuro e poi l’esperienza dei ritorni periodici per le feste o per altre occasioni e la costante consapevolezza che mi perdevo molto delle persone che avevo lasciato seguito dal costante maturare  dell’esigenza di vivere con più profondità i pochi momenti vissuti a Palermo. Ecco perché occorrerà tornare anche per cambiare le cose.

Intervista

Parlare di certezza e sacralità, in riferimento al tuo vissuto e ai tuoi valori, non può che far pensare ad un’altra colonna portante della tua vita e della tua essenza, la Legalità. In
che modo vivi la Legalità, nella tuo quotidiano, come giurista, uomo siciliano e cittadino cosmopolita?

In Sicilia veniamo abituati a scegliere fra tre vie fin da subito: bianca, nera o la grigia dell’omertà e del silenzio e per questo, sin da giovani, siamo portati o a riconoscere il valore della legalità o a respingerla oppure, peggio ancora, a farcene scudo solo in piazza, sempre fino a quando qualcuno non venga a chiederci qualcosa o a chiederci di non dirla.
Per cui cresci con le idee ed i riferimenti di una agiografia laica che vede una contrapposizione costante fra illegalità e legalità in ogni contesto della vita quotidiana. Quando, in prima media, i professori parlavano di Giovanni Falcone o di Paolo Borsellino, alcuni miei compagni di classe cantavano “Noi siamo la mafia” e, cercando di soverchiare la voce dell’insegnante, si vantavano di conoscere il luogo in cui latitava Provenzano. Poi alcuni di loro li trovavi ad intimidirti nei giardini pubblici e infine, durante le campagne elettorali, a puntarti il coltello se denunciavi un fatto illecito. E’ un climax crescente che si rinnova in ogni età della vita e che purtroppo, in assenza di uno Stato forte, si rinnoverà di generazione in generazione, con la sola differenza che i nostri nonni battagliavano da operai o contadini, nobili decaduti o giovani poliziotti, mentre noi tutti lo faremo con una simile laurea in mano. Ed è così che la grande macchia grigia si allarga e si allunga insieme a la “Linea della Palma”che è giunta fino a Roma e ancora più a nord, dove vive benissimo perché è stata in grado di minare la linea di demarcazione che esiste e deve esistere tra lecito ed illecito, facendo apparire tutto come “normale”.

Non mancano, inoltre, versi dedicati a Paolo Borsellino. Quanto questa figura ha ispirato i tuoi ideali ed influito nel tuo percorso di studi e nella tua poesia?

Paolo Borsellino è stato un vero e proprio martire della Repubblica Italiana e per questo lo inserisco nell’enciclopedia dell’agiografia laica del nostro Paese. Martire perché, pur consapevole della sua imminente morte, ha scelto di perseverare nel suo lavoro. Ed i versi sono dedicati a lui in particolare per la straordinarietà umana oltre che professionale di un magistrato che ha dato tutto per un’idea di legalità oggi ancor più sfuggente.
Il suo stile di vita come quello di decine di altri uomini dello Stato e della società civile italiana, uccisi dalla mafia o da altre organizzazioni che hanno usato lo scudo della mafia, rappresenta un’eredità che ogni cittadino non dovrebbe non accettare e portare avanti. Le loro idee devono camminare sulle nostre gambe. Ormai questa frase è stata fin troppo abusata da chi ha voluto strumentalizzare le vite di queste persone ma resta pur sempre valida e operativa. Per cui se si aprono gli occhi, questi gesti non possono non influire fortemente sull’esistenza di ognuno.

La poesia, grazie al suo forte potere evocativo, sa emozionare e trasmettere al lettore un messaggio intenso ma allo stesso tempo sottile. Puoi dirci, cosa vorresti che i tuoi versi, per così dire più “impegnati”, trasmettessero o suscitassero in chi legge, soprattutto
nell’animo dei più giovani?

Vorrei che servissero per mantenere acceso un faro: bisogna sempre parlare dei tumori della nostra società e bisogna stare ancora più attenti quando vengono sottaciuti per farci credere che non esistono più. È proprio in quel momento che manifestano la loro maggiore forza e questo vale per la mafia e per ogni fenomeno che danneggia la nostra società, in tutto il nostro Paese.
Questi versi servono per testimoniare ancora l’esistenza e l’esigenza di affrontare determinate problematiche, siano esse connesse al fenomeno mafioso, alle tragedie dovute ai flussi migratori, ai danni nella terra dei fuochi, alla disoccupazione giovanile alimentata a voucher, alle divisioni in Europa, alla corruzione ecc.

Hai più volte parlato del tuo non aver paura della morte. Falcone diceva che il Coraggio è una virtù ed, in quanto tale, rappresenta una forma matura di consapevolezza di vita. È per questo che il Coraggio si distingue dall’Incoscienza.
Pietro Maria Sabella, oggi, si sente un uomo coraggioso?

Non lo so, credo che lo testimonieranno i fatti quando le scelte più importanti mi chiameranno all’appello. Adesso posso solo dirti di non avere mai avuto paura delle scelte operate e di avere subito delle ripercussioni sulla mia pelle che, tuttavia, non mi hanno fatto cambiare strada.

Dal tuo punto di vista, come poeta ed in tal senso Vate, in che misura pensi debbano intervenire le Istituzioni per forgiare cittadini onesti e coraggiosi e non più uomini inermi dinnanzi al fenomeno mafioso?

La risposta nasce come cittadino. La poesia può solo rappresentare uno strumento di comunicazione di idee e messaggi. Io credo che non sia possibile continuare a convincerci che debbano essere le Istituzioni e quindi una sorta di terzo Deus ex machina il soggetto pronto a salvarci dalla condizione di sofferenza in cui viviamo. Se non riparte tutto dai cittadini, le Istituzioni, quelle più disinteressate, continueranno a non rimarginare le ferite perché non ci sarà una reale domanda di cambiamento alla base. E questo è palese. Non serve pensare ai grandi fenomeni e ai grandi eventi, basta immaginarsi l’atteggiamento delle persone al bar della piazza del mio paese per capire che le Istituzioni non possono fare nulla senza che noi desideriamo realmente cambiare.
Nella mia città, un assessore di cui non farò il nome, impose un sistema di smaltimento dei rifiuti fondato sul riciclo di plastica, metallo, vetro e carta già nella seconda metà degli anni ’80; i componenti di qualche organizzazione mafiosa del territorio legata a centri di interesse hanno iniziato a dare fuoco e a distruggere tutti i contenitori dopo diverso tempo dal loro inserimento, ovvero dopo che per un anno circa la maggior parte dei cittadini aveva continuato a buttare i sacchetti di spazzatura con tutti i rifiuti indistinti fuori e dentro i cassonetti ordinari, lanciandoli persino dai balconi e lasciando che dalle campane della raccolta del vetro emergessero persino i pannolini sporchi.
Quando oggi vedo ancora i miei vicini buttare i rifiuti fuori dai cassonetti, accettare che nelle nostre piazze si possa spacciare perchè quelli sono i figli delle stesse madri che si limitano a contestare le ztl e a chiedere favori su favori, capisco perchè le Istituzioni locali non possono davvero farcela da sole. E mi rammarico ancora di più pensando che la spinta verso la legalità nata dalle gesta di molti uomini ed organizzazioni sembra essersi assopita.
Alcuni dicono che bisogna ripartire dalla scuola. E’ vero ma le nostre scuole funzionano bene perché il nostro corpo insegnanti, nonostante tutto, eccelle nella maggior parte dei casi ed i loro insegnamenti sono prima di tutto di matrice civica, perché è dapprima nello studio delle lettere, della storia greca e romana, della filosofia, che si impara ad essere cittadini pensanti. Adesso vogliono “rimodulare” i nostri licei, togliendo il greco, eliminando alcune ore di filosofia. Di contro, io credo che bisognerebbe trascorrere più tempo a scuola e fare innamorare i bambini della bellezza delle cose, della nostra storia, delle nostre capacità e soprattutto dei nostri diritti, perché finché non accetteremo appieno di essere titolari di diritti e portatori di doveri, non potremo cambiare davvero questa società.

Durante la prima presentazione del tuo libro, hai parlato di “Fotogrammi sospesi” come un libro più maturo rispetto a quello precedente “Instabilità”, ma non ancora pienamente arrivato. Hai ribadito, inoltre, che questa silloge racchiude in sé un senso di sospensione dettato. dall’incertezza del futuro. Come vivi questa condizione di continua ricerca di te stesso? Quale ruolo credi possa rivestire la poesia in questo?

Con enorme gioia anche se spesso non mi dà serenità. Spero che l’esigenza di scoprire e rinnovare me stesso e di capire il senso delle cose che esistono intorno a me non cesserà mai. Qualora cessasse, mi auguro che qualcuno venga a scuotermi ed in questo la poesia aiuta sempre a sentirsi vivi, ad interrogarsi più che a dare risposte certe.

C’è una poesia che preferisci o un verso a cui sei legato particolarmente? Se sì, puoi chiarire il motivo della tua scelta?

“La felicità è quel pezzo di alba che, mordendo il mare, per istinto si aggrappa al cielo con tutte le sue forze”; bisogna sempre cercare la felicità.

Tra i tuoi progetti futuri, si può già parlare di un nuovo libro che chiude un ciclo di esperienze di vita e ne apre uno nuovo, di uomo ormai adulto?

No, al momento no, anche perché nella poesia non è sempre così semplice tracciare dei confini ex ante. Sicuramente sto continuando a scrivere e la scrittura inevitabilmente risentirà della mia crescita e delle mie esperienze. Ciò che voglio, adesso, è fare in modo che la poesia torni ad essere strumento di impegno civile e descrivere l’attualità e le necessità di cambiamento.

La grande personalità del nostro CEO e l’autentica passione che guida ogni suo verso ma anche ogni sua scelta di vita, hanno già fatto sì che conseguisse degli eccellenti risultati, sia nel mondo letterario che in quello lavorativo.
L’impegno civile di talune poesie presenti in “Fotogrammi sospesi”, la sfumatura sentimentale e romantica volutamente accentuata in altre, oltre che l’onnipresente musicalità dei versi fanno del libro un vero e proprio scrigno di emozioni ed intime riflessioni. Un viaggio in ascesa verso una consapevolezza di vita che si rivela effimera, sospesa per l’appunto, ma così pregna di significato da regalare al lettore un intenso momento di dialogo con il proprio Essere.

Dunque, è questo il vero compito del poeta: cominciare dove l’uomo, nella sua corporeità e distratta quotidianità, finisce.
Una poesia od anche un solo verso sanno restituire, in via amplificata, l’importanza della bellezza del mondo e della sua umanità, condannandone sbagli ed ingiustizie.
Non ci resta che augurare al nostro talentuoso Pietro Maria Sabella di non perdere mai questa naturale propensione alla Vita e a quella continua ricerca della Verità che, seppur soggettiva, ha già mosso qualcosa di grande.

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