FIORE, UN FILM SULL’INNOCENZA

di Aretina Bellizzi

FIORE, UN FILM SULL’INNOCENZA

di Aretina Bellizzi

FIORE, UN FILM SULL’INNOCENZA

di Aretina Bellizzi

Fiore è un film sull’innocenza girato in carcere. È un film sulla purezza di un sentimento provato da due giovani che di puro attorno a loro hanno ben poco. L’amore tra due adolescenti è levità, candore ma anche desiderio, scoperta di sé e del mondo, del proprio dentro e del proprio fuori. Questa scoperta Daphne, protagonista di Fiore, il nuovo film di Claudio Giovannesi, la fa in carcere. È un carcere minorile quello dove è reclusa per rapina, è finita lì dopo l’ennesimo furto. E lì ha conosciuto Josh, anche lui rapinatore. I due stringono un legame che si fa tanto più forte quanto più impossibile da vivere. Un amore fatto di sguardi, di carezze sognate, di lettere proibite e di baci rubati. Un amore che è innocenza oltre la colpevolezza, che è leggerezza oltre la pesantezza delle sbarre, delle porte blindate, della punizione. La leggerezza con cui i due protagonisti (Daphne Scoccia e Josciua Algeri) vivono e si vivono al di là della reclusione, al di là del carcere, là dove arrivano solo i loro sguardi intensi e il loro desiderio di amore e libertà.

Per rendere più vera la privazione che sentono i ragazzi, il regista lavora per sottrazione. Se sentono stretto lo spazio intorno, se davanti non hanno altro che sbarre e divieti allora lui contribuisce a rendere claustrofobica la loro esistenza con piani sequenza che puntano dritto alle facce. Alla faccia di Daphne in particolare che basta da sola a dire la rabbia, il dolore, la solitudine, l’amore e il desiderio di non essere abbandonata, di sentirsi amata, di essere libera. Il campo si allarga solo nelle fughe quando anche la speranza si fa grande assieme al mondo intorno. Poi di nuovo si chiude quando Daphne torna a immergersi nell’eterno presente della reclusione, dell’oggi e del domani uguali a ieri, nell’eterno ritorno della solitudine, nel vuoto della mancanza d’amore e di comprensione. Nessuno sembra riuscire a colmarlo neppure il padre, un Valerio Mastandrea tanto bravo quanto vero nel suo ruolo. Anche lui che conosce il carcere da vicino, che lo ha vissuto non trova il modo di aiutare la figlia, non può, non riesce, quasi fosse impedito da un destino segnato, quello delle colpe dei padri che ricadono sui figli; quello delle colpe che i padri non riescono a evitare ai figli.
Giovannesi non giudica nè accompagna i suoi personaggi, è dentro di loro, vede il mondo con i loro occhi. La sceneggiatura asciutta e affatto retorica contribuisce a rendere tutto più vero, vero oltre che reale.
Non è un percorso di formazione Fiore, né di rieducazione. Non ha un messaggio paideutico o consolante da regalarci, è semplicemente una storia d’amore ma in questo sta la sua forza, la sua poesia, la sua bellezza. Il film finisce come era cominciato, con una fuga. Questa volta Daphne però non corre da sola. Non c’è catarsi né compassione per i due bravissimi protagonisti, veri fino al midollo, non la vogliono, l’unica cosa che desiderano è fuggire. Insieme.

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